Tiro al piccione, recensione: come s’intervista una vera spia inglese

Il premio Oscar Errol Morris prova a mettere a nudo l’anima del più grande scrittore di romanzi di spionaggio della storia: ne nasce una contesa memorabile tra persone che per lavoro estorcono la verità agli altri.

Tiro al piccione recensione come sintervista una vera spia inglese

Errol Morris è considerato uno dei più grandi intervistatori viventi. Regista e documentarista, negli anni si è fatto conoscere proprio per la capacità rara di tirare fuori anche quello che i soggetti dei suoi film non volevano far vedere. Una capacità che gli è valsa anche un premio Oscar: quella, armato solo di parole, di scavare fuori verità inattese, spesso da soggetti abituati per professione e indole a nascondere la propria personalità privata.

In "The Fog of War - La guerra secondo" e nel successivo "The Unknown Known" Morris ha conversato con Robert McNamara e Donald Rumsfeld, dimostrando una certa attitudine al duellare verbalmente con chi ha conoscenza e dimestichezza con gli apparati della sicurezza nazionale, l’intelligenza, l’arte della guerra. Morris ci sa fare, ma se "Tiro al piccione" è solo parzialmente riuscito la colpa, o il merito, è dell’avversario formidabile che si trova davanti: David Cornwell. Nome che dice poco, almeno rispetto all'alias da romanziere che l'ex spia britannica adottò nella sua carriera da scrittore: John Le Carré.

Tiro al piccione, recensione: come s’intervista una vera spia inglese

"Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré" è un duello tra due persone che, per lavoro e indole, sono formidabili a fare domande agli altri ma molto restie a parlare di sé stesse. Due persone che, più o meno esplicitamente, hanno studiato a fondo l'opera uno dell'altro per arrivare preparati a un'intervista documentario che diventa da subito una schermaglia tra menti brillanti.

Cornwell vuole raccontarsi, forse consapevole del fatto che sarà l'ultima volta e sceglie come narratore forse il più grande documentarista in questo senso. Morris invece vuole tirare fuori il vero Cornwell da dentro la maschera di Le Carré, tanto che a tratti l'intervista sfocia in un interrogatorio. Estrapolare verità che vorrebbe tenere segrete però è ciò che una spia è addestrata a fare e Cornwell, prima di creare una delle spie letterarie più famose di ogni tempo, è sceso sul campo durante la Guerra fredda. Se l'esperienza e la professione non bastassero, il suo passaporto inglese aggiunge un certo distacco, un considerevole dose di humour tagliente e capacità invidiabile di dire una cosa e lasciare a intendere che la verità è un’altra, forse opposta.

Continua a leggere la recensione di "Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré":

Di cosa parla Tiro al piccione

"Chi sei tu?" è la prima domanda che John Le Carré pone a Errol Morris, a inizio film. Una domanda che suona quasi come un avvertimento: David Cornwell è pronto a rispondere alle domande del documentarista, ma non senza opporre una certa resistenza.

Registrato e realizzato un anno prima della sua morte, concluso dopo una lunga gestazione in cui da miniserie è diventato film, "Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré" prende spunto dall'autobiografia che lo scrittore ha scritto del sé letterario che lo ha reso celebre in tutto il mondo. Evidentemente Le Carré non era soddisfatto del lavoro fatto dal suo biografo e ha deciso di prendere in mano la sua narrazione.

"Tiro al piccione" infatti non è una biografia classica e onnicomprensiva. Cornwell si muove in un perimetro che ha tracciato lui stesso: dice anche nel documentario "non parlerò della mia vita sessuale", tacendo del tutto anche i suoi legami sentimentali, piuttosto turbolenti, raccontati anni prima.

Le Carré ha selezionato alcune delle figure e degli avvenimenti della sua vita che l'hanno portato prima a diventare un membro dell'intelligence britannica, poi uno scrittore che ha raccontato le vere spie al mondo, distruggendo l'aura romantica di 007 e dei romanzi di Ian Fleming. Morris lavora proprio a partire dal canovaccio imbastito da Le Carré, che ricollega il suo destino a una famiglia più che disfunzionale in cui è cresciuto. Da una parte la madre, dileguatasi all'improvviso, che ha creduto morta per gran parte della giovinezza. Dall’altra un padre artista della truffa, bugiardo, giocatore, che fa dentro e fuori dalla prigione mentre in qualche modo riesce a pagare un’educazione di primo livello al figlio.

Cornwell ebbe modo d’incontrare e conoscere anche Kim Philby, gentiluomo inglese ai vertici dei servizi segreti britannici che si scoprì d’improvviso essere un doppio giochista al soldo di Mosca, gelando governo e opinione pubblica.

Tiro al piccione, recensione: come s’intervista una vera spia inglese

Eppure, Morris si concentra su altro, a partire dall’infanzia solitaria e contraddittoria di Cornwell, scavando nei suoi ricordi da agente distanza nella Berlino divisa dal muro, nell’educazione spalla a spalla con un elite inglese a cui non apparteneva, delimitando l'ombra del padre e dei suoi raggiri, sempre dietro l’angolo.

Il discorso poi si fa più teso, più importante: qual è il senso della vita per un uomo cresciuto da un maestro dell’inganno e arruolato dal suo paese per estorcere le verità di potenze straniere o manipolare quelle domestiche?

"Tiro al piccione" è un ritratto intimo e ricco di tensione

L'immagine più potente di questo documentario è quella del titolo. Cornwell racconta che da giovane seguiva il padre in vacanza in un hotel di Montecarlo dalle cui terrazze gli ospiti abbienti sparavano ai piccioni. Volatili che venivano catturati sul tetto dell'edificio e liberati in un tunnel buio, che finiva proprio in uno spazio antistante al balcone pieno di uomini armati di fucili, come una sorta di macabro tiro al piattello.

I piccioni che sopravvivevano, spiega Cornwell, tornavano a fare la vita di sempre sul tetto, in attesa di essere di nuovo catturati e costretti a percorrere il tunnel. Non c’è bisogno di spiegare che, vero o inventato che sia, questo aneddoto è già un sunto della visione del mondo di Le Carré. Un’immagine vaginale, scherza Morris, che gioca con Cornwell come il gatto col topo.

Le Carré sta a gioco e sorride sornione, poco propenso a interpretare il ruolo del topolino. Non è semplice fargli mettere il piede in fallo, l’impressione è che dica quasi sempre solo quello che voglia dire. Non ci consegna la sua ultima verità, bensì quella verità che quasi ottantenne ha deciso sarà il suo testamento. Il destino e una brutta malattia polmonare hanno infatti reso "Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré" un addio.

Le impressioni più forti che si ricavano dal documentario sono tre e valgono la visione. La prima è che Morris, mai a corto di soggetti poco collaborativi per i suoi documentari, si ritrovi per le mani un’avversario formidabile. Da qui una continua, sotterranea tensione tra i due, che si ammirano ma si studiano, guardinghi, decisi a non scendere alle condizioni l’uno dell’altro. Morris può al massimo aspirare a un pareggio: Le Carré gli concede qualche punto, ma porta con sé gran parte dei suoi segreti inconfessabili. Quando è in difficoltà, concede di essere uno scrittore, di aver plasmato bugie per tutta la sua vita.

La seconda impressione forte che si trae dalla visione di "Tiro al piccione" è che quando un documentarista sceglie come soggetto del suo lavoro una persona ambigua e poco affidabile per definizione, il risultato non è un documentario che dà risposte, ma che mette a fuoco domande e misteri. Un po’ come avveniva in "Kill Me if You Can" di Alex Infascelli (che abbiamo intervistato in merito), il massimo a cui puoi aspirare è mettere in luce incongruenze e zone d’ombra, mettere a fuoco domande, che però rimangono senza risposta esplicita.

Tiro al piccione, recensione: come s’intervista una vera spia inglese

È singolare come il figlio di un truffatore che ha dedicato parte della sua vita a un’istituzione regolatrice come l’Intelligence si presti molto bene a essere comparato a criminali di guerra, politici, uomini che hanno qualcosa da nascondere. Sulla carta Cornwell è stato un impiegato dell’Intelligence di livello così basso da non aver mai avuto per le mani segreti cruciali, un uomo distintosi solo per la straordinarietà della sua opera letteraria.

Eppure, nei suoi momenti più riusciti Morris riesce a mettere a fuoco per qualche attimo tutto quello che c’è dietro, lasciandoci con il sospetto che l’enorme irrisolto che si porta dietro Cornwell dato il suo complicatissimo rapporto con la figura paterna l’abbia reso prima la spia, poi lo scrittore, infine l’uomo che è diventato. Per rimanere in metafora, uno dei pochi piccioni che ha capito da subito il funzionamento del mondo, della vita: il tetto, le gabbie, il tunnel, il gioco al massacro quando dal hotel cominciano a sparare addosso ai volatili.

La grandezza del soggetto scelta da Morris è pregio e insieme limite della sua ultima opera: La Carré "confessa" solo ciò che aveva già preventivato di rivelare, lasciando intravedere a tratti la straordinarietà della sua intelligenza, ma celando quasi del tutto ciò su cui l'ha messa all'opera, le conclusioni sulle grandi verità umane a cui è arrivato. Se però il punto è capire quanto poco gli esseri umani siano in grado di penetrare gli uni la mente degli altri, allora "Tiro al piccione" è indubbiamente un successo.

Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré

Rating: Tutti

Durata: 92'

Nazione: Regno Unito

7

Voto

Redazione

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Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré

La grandezza del soggetto scelta da Morris è pregio e insieme limite della sua ultima opera: La Carré "confessa" solo ciò che aveva già preventivato di rivelare, lasciando intravedere a tratti la straordinarietà della sua intelligenza, ma celando quasi del tutto ciò su cui l'ha messa all'opera, le conclusioni sulle grandi verità umane a cui è arrivato. Se però il punto è capire quanto poco gli esseri umani siano in grado di penetrare gli uni la mente degli altri, allora "Tiro al piccione" è indubbiamente un successo.

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