Transformers: L'ultimo Cavaliere
Michael Bay è affezionato ai “suoi” Transformers. Un senso di "ossessione" che nasce dalla necessità di produrre qualcosa di sempre più grande, visivamente glorioso e in grado di rompere tutti canoni del cinema. E in un certo senso, con questo quinto capitolo della saga, il regista ce l’ha fatta…
Tanto, forse troppo
Nei 150 minuti di Transformers: L’ultimo Cavaliere c’è talmente tanto di quel materiale che potrebbero essere prodotti non uno, ma bensì due o tre sequel. Bay ha portato moltissimi spunti all’interno della pellicola, e se è vero che tutto ruota ancora una volta attorno alla figura di Cade e alla guerra tra Autobots e Decepticon, a cambiare è il contesto.
Siamo infatti arrivati al punto in cui i Transformers sono diventati una minaccia, e vengono cacciati grazie alla formazione di una unità governativa che cerca e stana questi robot (con tanto di Cuba che permetta la libera circolazione dei Transformers per le strade!). Optimus Prime è andato alla ricerca del suo pianeta natale, e solamente il nostro amico Cade (Mark Wahlberg) è rimasto a “protezione” dei robot.
In questo contesto già di per se instabile e ricco di fazioni, se ne inserisce una terza; una sorta di ordine che, sin dai tempi di Re Artù, tramanda e protegge la leggenda dell’arrivo di questi robot sulla terra. Una serie di personaggi illustri e storici, che hanno come ultimo discepolo e superstite Sir Edmound Burtun, interpretato dal sempre bravo Anthony Hopkins. E giusto per non farsi mancare nulla perché non inserire una figura, chiamata Quintessa, che punta a trasformare la terra nella nuova Cybertron.
Tutto questo porta ad una storia fortemente squilibrata nelle fondamenta, in cui la parte umana torna ad essere si preponderante, ma allo stesso tempo gancio per una serie di momenti d’azione dall’impatto visivo devastante (ancora di più se visto in una sala IMAX). A favore di Bay va poi sottolineato che, finalmente, le fasi di combattimento sono molto più pulite e comprensibili, con i vari Transformers che vengono mostrati in maniera chiara e meno arzigogolata. Purtroppo però i pregi si fermano qui, perché la “strabordante” passione del regista di Los Angeles verso questo franchise l’ha portato a realizzare un film che sicuramente intrattiene, ma allo stesso stordisce e disorienta, a causa dei sopracitati disequilibri che mancano totalmente (una scena finale di circa mezz’ora per un film di 150 minuti, forse è davvero troppo).
Il paradosso è proprio questo, se vogliamo: L’ultimo cavaliere è indubbiamente migliore della trilogia uscita dopo il primo capitolo, ma allo stesso tempo non riesce ad arrivare alla sufficienza per una serie di limitazioni che paiono fin troppo oggettive. Intendiamoci, i fan della saga, che se ne fregano di certe logiche, qui troveranno davvero pane per i loro denti, e tanti di quegli spunti di riflessione che fanno tipicamente aizzare (in positivo o in negativo) gli appassionati di un brand. Per tutti gli altri, si tratta di un film tutt’altro che semplice da digerire e che potrebbe scoraggiare per colpa di una struttura narrativa deficitaria.