Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri

C'è qualcosa di assurdo in questo Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri; un regista britannico di origine irlandese, (che in passato a girato un film ambientato in Belgio In Bruges - La Coscienza dell'assassino) che si mette a raccontare i difetti di una società americana in costante evoluzione ma ancorata a pregiudizi provenienti da echi passati. Una follia così particolare che solamente attraverso una black comedy in pieno stile Coen (i déjà vu con Fargo ci sono e anche piuttosto frequenti) poteva far esplodere in un fragorosa e riflessiva visione.

Manifesti come specchi dell'anima?

Nella cittadina di Ebbing (Missouri) a distanza di diversi mesi dallo stupro e successiva uccisione di sua figlia, Mildred Hayes (Frances McDormand) aspetta ancora notizie da una polizia locale apparentemente pigra e fastidiosamente silenziosa. In un dolore che sembra difficile da gestire, la donna decide di affittare tre cartelloni pubblicitari su un'anonima strada statale, lasciati in totale disuso dopo la costruzione dell'autostrada. Su questi tre manifesti rivolge una pesante accusa alla polizia locale di totale negligenza; questa sarà soltanto la miccia per una serie di vicende che coinvolgeranno varie figure della cittadina.

C'è una frase, in particolare, che mi ha colpito; non tanto per il senso assoluto (anzi, a dirla tutta è anche abbastanza banale) quanto per il modo perfetto in cui si incastona all'interno degli elementi sviscerati dal racconto: ”la rabbia genera solamente altra rabbia”.

Una frase che racchiude l'escalation che il film tenta di raccontare con il piglio e la mano di un cineasta che dimostra di saper stare perfettamente nel genere: Martin McDonagh. Il britannico aveva già dimostrato di sapere lavorare con un genere che mischia grottesco e reale, portandolo all'eccesso in modo da far quasi ridere, amaramente.

Ma se nei precedenti film del regista si andavano a toccare argomenti “più leggeri” qui si gioca sul filo della psicologia umana; si sfruttano i difetti umani e quelle parole che oscillano sempre sul pericoloso equilibrio fatto di false speranze, bugie e contraddizioni. Un lungo cavo teso che "camminato" con pericolo arriva ad un finale che non incornicia o preconfeziona una risposta, ma che al contrario ti spiazza e ti fa riflettere, chiedendoti quasi di immedesimarti in ognuno di quei personaggi.

Perché più che in 7 Psicopatici o In Bruges il vero cuore pulsante della storia passa dagli isterici sorrisi e la violenza gratuita di Sam Rockwell, dal cinismo quasi fastidioso della McDormand, dalla spiazzante sensibilità di Harrelson. Un cast perfettamente diretto, all'interno di una sceneggiatura - a cura sempre dello stesso McDonagh che riesce sempre a tenere alta l'attenzione, pur usando molti personaggi che si intersecano tra di loro.

Tre manifesti ad Ebbing, Missouri è la classica spirale dalla quale è veramente difficile uscire. Una storia che porta emotivamente lo spettatore nella pellicola, ma che più di ogni altra cosa, cerca di lasciarti alla fine delle domande più che delle risposte. Da tenere d'occhio per gli Oscar.