Triple frontier

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Mark Boal ha un debole per le storie dei veterani: dopo Nella valle di Elah, The hurt locker e Zero dark thirty questo è infatti il quarto film dello sceneggiatore Premio Oscar che segue le vicende di uno o più reduci di qualche conflitto e ne racconta la vita dopo il fronte. Spesso alle prese con il ‘devastante’ ritorno alla routine familiare oppure impegnati in qualche operazione speciale da mercenari, sempre comunque con l’obiettivo di sfuggire ai tormenti della guerra, eventualmente anche immergendovisi fino al punto di non ritorno.

Conosciamo così cinque amici ex forze speciali in congedo (Affleck, Isaac, Hunnam, Hedlund e Pascal): ognuno con le sue ferite – nel corpo e nell’anima – ma tutti in cerca di riscatto, anche economico. La grande occasione è data dalla possibilità di eliminare un potente narcotrafficante sudamericano e incassare così una grossa somma di denaro: una classica operazione ‘non ufficiale’ da contractors, da portare a termine nel cuore della regione compresa tra Paraguay, Argentina e Brasile (la triple frontier del titolo).

Triple frontier parte, quindi, come una via di mezzo tra lo spy e l’heist movie. L’individuazione dell’obiettivo, la presentazione dei protagonisti, l’elaborazione del piano: per una buona metà la pellicola segue fedelmente (e mischia) i canoni di entrambi i generi. Poi, però, gradualmente si trasforma in qualcosa di diverso e rimette al centro del racconto la condizione dei protagonisti: uomini che la guerra ha trasformato in implacabili macchine di morte e che per sopravvivere si aggrappano al codice d’onore del plotone e allo spirito di squadra.

Triple frontier

L’action puro, quindi, lascia spazio a un survival movie – scappare col malloppo non sarà così facile – dove l’approfondimento psicologico dei personaggi, in particolare dei due protagonisti principali (il pragmatico capo squadra Oscar Isaac e il tormentato stratega Ben Affleck), diventa il racconto non banale di un gruppo di compagni d’armi incapaci (forse) di sfuggire a un destino di morte e violenza.

Leggendo le note di produzione scopriamo che il film avrebbe dovuto essere diretto nel 2010 da Kathryn Bigelow e avere Tom Hanks, Johnny Depp, Will Smith e Mahershala Ali nei ruoli principali. Con quei nomi in campo ne sarebbe venuta fuori un’opera migliore? Non è dato saperlo. Di una cosa però siamo certi: senza lo script di Mark Boal ci troveremmo, probabilmente, a commentare l’ennesimo prodotto Netflix di scarsa qualità e invece, ancora una volta, lo sceneggiatore newyorkese riesce nell’intento di raccontare una generazione di commilitoni il cui percorso umano trascende la missione a cui sono chiamati.

Un bel passo in avanti per la piattaforma di streaming, che finora ci aveva abituati solo a pellicole, senza mezzi termini, troppo scarse per la distribuzione theatrical.

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