Turner
Ve lo ricordate il primo incontro tra James Bond e Q in 007: Skyfall? I due si davano appuntamento alla National Gallery di Londra di fronte a un quadro di Turner, riguardo cui esprimevano pareri contrastanti. Ben Whishaw prediligeva l'idea romantica del progresso che intacca la dignità di un passato glorioso ma definitivamente archiviato, Daniel Craig descriveva in termini piuttosto spicci la scena. Ecco, il Turner di Mike Leigh sarebbe decisamente d'accordo con l'agente di sua Maestà.
Sono due gli elementi che spiazzano lo spettatore di fronte a questo monumentale ritratto degli ultimi venticinque anni di vita ed attività del celebre pittore inglese William Turner, definito il maestro della luce. Il primo, giustamente premiato a Cannes, é la magnifica interpretazione data da Timothy Spall, scelto da Leigh perché "aveva letto i suoi Dickens".
vimager1, 2, 3
Con i suoi tratti rudi e il suo fisico ingombrante, Spall ci regala una grande performance, lontanissima da certi stucchevoli ritratti idealizzati dei grandi del passato. Il suo Turner é un uomo rude e taciturno, capace di grande affetto ma anche dei tradimenti peggiori a chi gli é più vicino, ora grezzo e ora prepotente sul piano sessuale con il genere femminile. A elevarlo non é nemmeno il rapporto con l'arte, che vive nella stessa dimensione fisica e carnale, sputando sulle tele per realizzare le sfumature e reagendo agli elogi con imbarazzato distacco.
Il secondo elemento che rende Turner un vero, grande film biografico é lo sguardo che regala sul mondo attorno al pittore, l'Inghilterra vittoriana tanto amata e celebrata dalle arti passate e presenti. Turner non é uno strambo inserito in un atmosfera di rigore ed eleganza con cui il cinema ha codificato quel periodo, bensì un uomo come tanti altri in una Londra sporca, dove le governanti hanno la pelle devastata da infezioni, e tutto, dal cibo al sesso, viene vissuto con un'immediatezza e una carnalità estreme e immediate. A questa logica vengono piegate anche la fotografia di Dick Pope e i costumi della bravissima Jacqueline Durran; ad entrambi viene impedito per tutto il film di scostarsi anche solo di un millimetro dalla dimensione realistica e quotidiana in cui si muove il pittore.
Il taglio biografico invece é squisitamente contemporaneo, focalizzandosi solo sull'ultima porzione della vita del pittore. Il film si apre con Turner già affermato a livello professionale ma ancora stabile a livello affettivo, esplorandone via via le inquietudini artistiche e personali, derivate da una serie di lutti per lui importanti. Turner é un gran ritratto biografico figlio di una scelta che non fa compromessi. Tuttavia questo approccio che rifiuta ritmo e consequenzialità e si prende un minutaggio monumentale (oltre due ore e venti) lo rende poco adatto a una buona fetta di pubblico.
Sono due gli elementi che spiazzano lo spettatore di fronte a questo monumentale ritratto degli ultimi venticinque anni di vita ed attività del celebre pittore inglese William Turner, definito il maestro della luce. Il primo, giustamente premiato a Cannes, é la magnifica interpretazione data da Timothy Spall, scelto da Leigh perché "aveva letto i suoi Dickens".
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Con i suoi tratti rudi e il suo fisico ingombrante, Spall ci regala una grande performance, lontanissima da certi stucchevoli ritratti idealizzati dei grandi del passato. Il suo Turner é un uomo rude e taciturno, capace di grande affetto ma anche dei tradimenti peggiori a chi gli é più vicino, ora grezzo e ora prepotente sul piano sessuale con il genere femminile. A elevarlo non é nemmeno il rapporto con l'arte, che vive nella stessa dimensione fisica e carnale, sputando sulle tele per realizzare le sfumature e reagendo agli elogi con imbarazzato distacco.
Il secondo elemento che rende Turner un vero, grande film biografico é lo sguardo che regala sul mondo attorno al pittore, l'Inghilterra vittoriana tanto amata e celebrata dalle arti passate e presenti. Turner non é uno strambo inserito in un atmosfera di rigore ed eleganza con cui il cinema ha codificato quel periodo, bensì un uomo come tanti altri in una Londra sporca, dove le governanti hanno la pelle devastata da infezioni, e tutto, dal cibo al sesso, viene vissuto con un'immediatezza e una carnalità estreme e immediate. A questa logica vengono piegate anche la fotografia di Dick Pope e i costumi della bravissima Jacqueline Durran; ad entrambi viene impedito per tutto il film di scostarsi anche solo di un millimetro dalla dimensione realistica e quotidiana in cui si muove il pittore.
Il taglio biografico invece é squisitamente contemporaneo, focalizzandosi solo sull'ultima porzione della vita del pittore. Il film si apre con Turner già affermato a livello professionale ma ancora stabile a livello affettivo, esplorandone via via le inquietudini artistiche e personali, derivate da una serie di lutti per lui importanti. Turner é un gran ritratto biografico figlio di una scelta che non fa compromessi. Tuttavia questo approccio che rifiuta ritmo e consequenzialità e si prende un minutaggio monumentale (oltre due ore e venti) lo rende poco adatto a una buona fetta di pubblico.