Un piccolo favore

“Un piccolo favore”, in sala il 13 dicembre, è l’adattamento cinematografico del romanzo di Darcey Bell. Un mistery che stravolgerà la vita di Stephany Smothers, mamma blogger che cercherà di scoprire la verità sulla scomparsa della sua migliore amica. Una ricerca piena di colpi di scena che le farà comprendere quanto realmente poco conoscesse la bellissima Emily e quanto oscuro fosse il suo passato.

Paul Feig, regista della pellicola, esce dai suoi schemi e si proietta in un Noir moderno in grado di stupire emotivamente lo spettatore in sala. Noto per commedie come “Le amiche della sposa” o “Spy”, gioca mescolando un sottile e intricato black humor alla tensione tipica del thriller, in un plot twist che spinge all’evoluzione i personaggi principali oltre che l’intera storyline. Un noir che viene spezzato da una comicità brillante richiamata dall’esasperazione del normale o del banale; facendo diventare la routine collante per lo straordinario, una follia che viene interrotta dal canonico.

Riesce, inoltre, a smembrare quegli archetipi femminili che ancora oggi sono presenti nel mondo del cinema e della letteratura, rappresentando in chiave moderna le difficoltà che il ruolo di madre oggi giorno ha assunto. Il merito di una tale profondità nella caratterizzazione dei personaggi e nei temi trattati va sicuramente riconosciuto anche alla sceneggiatrice Jessica Sharzer, che ha lavorato all’adattamento del libro.

Una lode la si deve sicuramente riconoscere al montaggio sonoro di Theodore Shapiro. La musica dall’inizio alla fine riesce a costituire quasi uno scheletro per il ritmo della narrazione, riuscendo a scandire, attraverso l’atmosfera, una chiave di lettura per la storia.

Le due protagoniste magistralmente interpretare rispettivamente da Anna Kendrick e Blake Lively, all’apparenza, non potrebbero essere più diverse. In realtà, man mano che i segreti vengono dissipati, ci si rende conto di come queste due donne non rappresentino altro che le due facce della stessa medaglia. La loro specularità è in grado di mostrare la complessità di un universo, quello femminile, che si muove tra pubblico e privato, ma anche tra solitudine e ricerca di una vita perfetta, con l’aggiunta di un po’ invidia che si intreccia alle omissioni. Parlando di archetipi sembra quasi banale, iniziato il film, individuare la madre buona in Stephany e la femme fatale in Emily, ma la modernità della pellicola si mostra soprattutto nel modo con cui i ruoli si invertono tra le due donne.

Davanti a un buon Martini ci si rende conto delle maschere indossate dalle due nella sfera pubblica e il lato oscuro che tentavano di nascondere viene presto a galla.

Non di minore rilevanza è il ruolo del marito di Emily, Sean che mostra quasi negativamente l’universo maschile e la soggezione della virilità alla manipolazione femminile. Sean è l’uomo che si assumerà le colpe delle due donne, uno scrittore fallito che per inseguire la donna si svilisce confermando quanto negativamente l’uomo possa ragionare con altre parti del suo corpo escluso il cervello.