Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità
"Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità" appartiene a tutti gli effetti alla categoria dei film artistici. Non soltanto per il tema trattato, ma anche per il background e per l'idea di cinema del regista Julian Schnabel.
Schnabel è un ex pittore che ha centellinato come punti sparsi nella sua esperienza artistica alcune pellicole perlopiù omaggiate dalla critica (in primis "Lo scafandro e la farfalla", per cui fu nominato al Premio Oscar per la miglior regia nel 2008). E sembra aver contrassegnato tutti i suoi singoli film, spesso intervallati da lunghe pause, dalla voglia di trasmettere sentimenti ed emozioni più che da un racconto oggettivamente razionale.
Da pittore prestato alla settima arte, decide dunque di affrontare la sfida di un film sull'artista olandese Vincent Van Gogh. Una scelta che però doveva necessariamente tenere conto di precedenti illustri e della necessità di conciliare la storia coi propri desiderata artistici. Van Gogh, infatti, è una vera e propria croce e delizia per la storia del cinema. Il pittore piace molto ai registi cinematografici perché i suoi quadri sono cinema prima che il cinema nascesse: i movimenti, i paesaggi, la tavolozza e il blu.
Nel corso degli anni il pittore è stato rappresentato in vari modi: fu Kirk Douglas per un film di Vincente Minnelli ("Brama di vivere" del 1956"). Fu Tim Roth per Robert Altman per un film televisivo. E addirittura venne interpretato da Martin Scorsese nel crepuscolare e (ovviamente) onirico "Sogni", la terzultima pellicola del maestro giapponese Akira Kurosawa.
Più di recente Van Gogh è stato al centro anche di sperimentazioni, come ben palesa lo splendido "Loving Vincent" di Dorota Kobiela e Hugh Welchman, il primo film della storia interamente in olio su tela, coi quadri del pittore che diventano set naturale ed in cui i personaggi si muovono come nel vecchio videogioco "Missione Van Gogh" della Media Factory.
Come realizzare un film su Van Gogh su queste basi? Come farlo nell'ottica di Schnabel? Attraverso due elementi: gli attori e la tecnica. "Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità" è infatti in primo luogo un film degli interpreti. Il film dove Willem Dafoe (premiato con una nomination agli Oscar come miglior attore protagonista) interpreta il ruolo del pittore nell'ultimo periodo della sua vita, nel culmine della sua pazzia e della sua esperienza in Francia.
Rubert Friend interpreta il fratello del pittore, Theo, l'uomo che più di tutti (e sopratutto a sue spese) cercherà di risollevare le sorti di una mente ormai destinata ad eclissarsi nella sua follia. Oscar Isaac è Paul Gauguin, vero e proprio alter ego del protagonista mentre Schnabel affida a due dei suoi attori feticcio (Mads Mikkelsen e Mathieu Amalric) il ruolo rispettivamente del prete e del dottor Gauchet.
L'impostazione dell'opera in effetti tende ad assumere caratteristiche quasi teatrali, per come sono caratterizzate le interpretazioni e i costumi. Non vi è la volontà da parte del regista (nonostante questo sia anche un film di paesaggi) di raccontare una vera e propria storia. Ma quella di realizzare una riflessione sulla vita, prendendo come esempio il personaggio storico di Van Gogh.
In quest'ottica i dialoghi tra Gauguin e Van Gogh, ma sopratutto tra il pittore e il prete interpretato da Mikkelsen sono una riflessione in primo luogo sul ruolo dell'artista nei tempi moderni e sul logorio che le convenzioni sociali impongono col proprio conformismo.
Vi è un nesso tra i bambini che bistrattano il pittore nei campi, perché considerato strano, e l'incomprensione che anche gli "adulti" provano nei confronti di Van Gogh. Autore di dipinti che valgono milioni oggi. Ma allora, pittore squattrinato che nel corso della sua pur tardiva carriera riuscì esclusivamente a vendere un quadro. Secondo il principio del peccato di lungimiranza, anche se sei troppo avanti coi tempi a suo modo sei colpevole. E non puoi aspettarti la comprensione del prossimo.
Ma in questo caso è proprio la modalità di pittura ed il modo di fare di Van Gogh ad allarmare la società ed a mettere ai margini lo scomodo artista. Non è un errore di valutazione artistica che spinge a non comprendere l'opera di pittore da parte dei suoi contemporanei, ma è la stessa società che rifiuta espressamente il fatto che ci possa essere un modo di originale di dipingere e di essere.
Un conformismo dunque che non è sepolto. E che vive tutt'ora. Nel suo segno opposto. Ovvero nell'accettazione della genialità di Van Gogh. Schnabel sembra voler mostrarci come l'incomprensione di ieri sia identica all'acclamazione del presente. Il conformismo uccise quell'uomo, e lo stesso conformismo spinge oggi a ritenerlo un genio. Il tutto (gli interpreti, i dialoghi filosofici, le introspezioni) costellato da una tecnica cinematografica ben definita: macchina da presa a mano, che si muove, nella natura, mentre in quadra in soggettiva il volto del protagonista ed il suo lento logorio.