Wakanda Forever, recensione: il nuovo Black Panther è un film ambiziosissimo, che non ha mai paura
La morte di Chadwick Boseman è la stella polare del sequel di Black Panther: Marvel stavolta non ha paura di sporcarsi le mani e si concede un film adulto, duro, con un cattivo stellare.
Black Panther: Wakanda Forever è un film schiavo del suo punto di partenza, della sua stella polare: la morte di Chadwick Boseman, il popolarissimo interprete di quello che sarebbe dovuto essere il protagonista assoluto di questo secondo lungometraggio. Un fatto così improvviso, sconvolgente e ineludibile che l’intera narrazione fittizia ruota attorno a una morte che nemmeno la potenza narrativa del Marvel Cinematic Universe può cancellare. Anzi, a ben pensarci è pazzesco quanto la necessità di confrontarsi con una morte irrevocabile e definitiva (così poco da Marvel, un universo narrativo dove la resurrezione è sempre dietro l’angolo) abbia portato Kevin Feige a dare luce verde a un film ambizioso e duro come non si vedeva da tempo in casa MCU.
Wakanda Forever è l’antitesi di Endgame
Quando Boseman è morto, il regista e sceneggiatore Ryan Cooger stava lavorando da mesi a una sceneggiatura che si è rivelata inutilizzabile. Wakanda Forever è così stato cancellato ed è dovuto ripartire da zero, anzi, da un evento luttuoso, improvviso e drammatico, l’antitesi della morte eroica, gentile e piena di significato che in tempi recenti ha costituito la svolta del MCU: quella di Iron Man in Endgame. Avrebbe potuto essere un disastro, oppure l’intero progetto avrebbe potuto venire congelato e abortito. Invece Cooger ha scritto con partecipazione e passione un film sin troppo legato alla morte di un interprete, ma che nell’affrontare questo lutto con lo spettatore tira fuori qualcosa che latita da tantissimi film Marvel: la drammaticità, il dolore della vita umana. In Wakanda Forever le emozioni sono ruvide, i personaggi spigolosi e arrivano al cuore in maniera diretta, forte.
Il film ha un inizio brutale, diretto, in medias res. Ancor prima dei loghi, ancor prima dell’immagine iniziale, sentiamo la voce di Shuri (Letitia Wright) che si dispera, incapace di salvare il fratello T’Challa in punto di morte. Wakanda Forever decide di far morire il suo eroe di una malattia che nemmeno l’avanzatissima tecnologia del regno africano riesce a curare e da questa mancanza ha inizio un titolo lunghissimo e complesso che esplorare il dolore, il lutto, la rabbia che consuma chi ha perso T’Challa. Assoluto centro della narrazione è Shuri che, quasi di nascosto, si appropria del film e diventa la prima protagonista donna di un film Marvel compiutamente riuscito. Un film che definire al femminile è riduttivo: sia la regina Ramonda (Angela Bassett), sia la saggia e ribelle Nakia (Lupita Nyong'o), sia una Okoye restia al cambiamento (Danai Gurira) hanno finalmente per le mani una narrazione potente, contraddittoria, spesso ricca di punti di non ritorno. Il doversi concentrare sulla crisi geopolitica di un Wakanda senza re e senza protettore, di un film Marvel senza Boseman, sblocca finalmente Marvel da quella rigidità, quel perbenismo, quell’odiosa accondiscendenza con cui finora aveva affrontato i film destinati a dare più spazio alle sue eroine, che si sono rivelati dei fallimenti. Qui invece le eroine Marvel e Shuri in particolare sono veramente personaggi a tutto tondo, con il volto talvolta contorto dall’odio e dalla rabbia, cattive ma vive.
Namor è uno dei migliori villain Marvel
Wakanda Forever ha i suoi momenti spettacolari, le sue battaglie coreografate e persino qualche stacchetto comico, ma rimane quasi sempre un film sul lutto e una pellicola che racconta la rabbia di due persone a cui all’improvviso è stata strappata una parte di famiglia e che non riescono ad accettare davvero la perdita, facendosi consumare da una rabbia cieca e distruttiva. A dare pathos e forza al film c’è un villain finalmente sinistro, finalmente interessante, finalmente in grado di fare male e fare paura. Namor (Tenoch Huerta) è un perfetto incrocio tra divinità remota e inaccessibile e ostinazione umana nel non perdonare. L’aspetto, le movenze, il costume, il modo di parlare e soprattutto la storia che porta con sé ne fanno già uno dei cattivi Marvel più riusciti, più affascinanti. Cooger lo fa muovere come un dio antico, potentissimo e inarrestabile, tenendo fede al suo nome di bambino “sine amor”, senza amore. Da qualche parte in lui c’è un lato umano, che migliaia di anni di sofferenze cagionate dal colonialismo ha ben sigillato dietro a un agire brutale. Grazie a Namor succedono eventi senza ritorno, che segnano nel profondo il Wakanda e Shuri. Black Panther è un che non si vedeva da tempo in casa Marvel, forse sin da Endgame: un film in cui si ha il coraggio di far succedere cose così drammatiche, così negative, che a seguire tutto è diverso e non si può tornare indietro.
L’oscurità su Wakanda e sugli Stati Uniti
Nei suoi momenti migliori, è una pellicola catartica, che porta anche il pubblico a rivivere e accettare la scomparsa di Boseman, certo, ma anche di un mondo dentro e fuori dal contesto Marvel più stabile, più facile, più rassicurante. Uno dei passaggi più arditi del film rischia di passare inosservato e vede per protagonista un sempre ottimo Martin Freeman chiedersi, sgomento e angosciato, cosa farebbero gli Stati Uniti se avessero il dominio del vibranio al posto del Wakanda. È un passaggio fugace, ma non passa inosservato come Cooger suggerisca che la risposta sarebbe tutt’altro che rassicurante, alludendo all’incancellabile natura predatoria a colonialista della nazione, ai tentativi di destabilizzare dall’interno nazioni la cui direzione politica sia sgradita.
Dal punto di vista tecnico Wakanda Forever punta chiaramente a farsi notare agli Oscar. La produzione del film è immacolata, perfetta, ricchissima di pregi. Scenografie curate, costumi più che regali e iconici e una colonna sonora davvero potentissima. Purtroppo il lavoro di Ludwig Göransson, una vera rivelazione del mondo delle soundtrack contemporanee, rischia di essere messa in ombra dalla presenza di ben due inediti di Rihanna (Lift Me Up e Born Again). Tuttavia la colonna sonora del film è un gioiello, pienamente integrata nel tessuto connettivo del film.
Certo Wakanda Forever non è esente da difetti, anzi. La sua durata infinita e la sua incapacità di dire no a parentesi e derive legate alla continuity ne smorzano la potenza. L’introduzione ad esempio del personaggio di IronHeart (Dominique Thorne) è quasi fuori luogo e distrae il film dai suoi veri punti di forza. Anche la pretesa di dare a ogni singolo personaggio wakandiano la possibilità di brillare appesantisce un film che avrebbe dovuto essere più coraggioso nel mettere al centro una sola famiglia in lutto. La scena extra posta a metà dei titoli di coda poi è al contempo una delle più significative viste negli ultimi tempi (dato che succede davvero qualcosa d’importante), ma anche la prova provata nell’incapacità di Marvel di abbracciare davvero le emozioni ruvide e crude di un film come Wakanda Forever, senza scadere nel consolatorio.