Wonka, recensione: dolce al punto giusto
Wonka è dolce al punto giusto, ma il vero maestro pasticciere dietro un film per famiglie riuscito è il regista Paul King. Appena percepibile, invece, il sapore del personaggio di Roald Dahl. La recensione di Wonka.
Dimenticate sia Gene Wilder sia Johnny Depp, perché il nuovo Wonka è così distante dal personaggio originario che sembra quasi di guardare un film slegato dall’immaginario dahliano, con tutte le conseguenze positive e negative che questo comporta. Il giovane Wonka interpretato da Timothée Chalamet è, appunto, giovane, ancora lontano dal sviluppare i livelli di cinismo e le punte di malcelato, delizioso sadismo che i suoi predecessori dimostravano nei film precedenti.
Questo Wonka potrebbe quasi essere un caso d’omonimia, un giovanotto appassionato di trucchi magici che forse magico lo è per davvero, un girovago senza un punto di partenza e un passaporto in tasca che finisce in una società strutturata, perbenista, elitaria e, un cioccolatino alla volta, tenta di rivoluzionarla senza nemmeno esserne consapevole. Lui voleva solo aprire la sua cioccolateria, insomma, solo che si è ritrovato a farlo in un posto in cui persino fantasticare comporta una multa salata.
La caratteristica più marcata di questo Wonka è quanto sia figlio del suo creatore: non Dahl, bensì lo sceneggiatore e regista Paul King, artefice di due film per ragazzi strepitosi, ovvero Paddington e Paddington 2. Il suo Wonka è così vicino all’orsetto sperduto a Londra che è quasi sovrapponibile. La trama di Wonka ripercorre lo stesso viaggio dell’esule volontario lontano dalla sua famiglia che si ritrova in una società che lo identifica continuamente come alieno, straniero, diverso. Non sviluppa (per ora) né desideri di rivalsa né di vendetta, ma con la sua adorabile stramberia persegue il suo sogno, creandosi nel mentre una famiglia alternativa con cui stare insieme: un po’ Paddington, un po’ La forma dell’acqua.
Chi è il vero re dietro questo Wonka: Paul King
Ciò che Wonka ha davvero di magico è il tocco di Paul King: uno che, in fondo, finisce per fare un film per famiglie di Natale incentrato su un’orrenda tratta di essere umani, su un cartello monopolista che rendere la fine cioccolateria un lusso per pochi , su come il potere religioso e giudiziario lavorino al soldo dei padroni d’azienda per mantenere lo status quo, non lesinando l’uso della violenza. Eppure Wonka non dà mai l’impressione di essere un film con un’agenda politica, anzi, per la maggior parte del tempo non esce mai dalla sua bolla natalizia di creazioni dolciarie meravigliose, canzoni e gentilezza.
Assistiamo dunque a una pellicola che funziona molto bene in quanto film festivo, ma difetta proprio del sapore originario de La fabbrica di cioccolato. Gli ingredienti sono soppesati al punto giusto, dando vita a quella ricetta spesso utilizzata da quelli che sono diventati classici del genere: un ripieno per certi versi un po’ ipocrita di critica alla cultura avida del denaro che proviene dai grandi studios hollywoodiani, ricoperto da una morale, da un messaggio d’altruismo e bontà. Buono senza mai essere buonista sembra essere il motto di King, capace di raccontare il peggio di cui l’umanità è capace senza mai perdere l’innocente leggerezza, quello scintillio magico nello sguardo dei bambini.
In tutto questo la vittima è proprio Wonka, che quell’innocenza finora non l’ha mai dimostrata. Timothée Chalamet ci consegna un protagonista con il distacco, l’eleganza, la gentilezza di una star del cinema d’altri tempi, mai un capello o una parola fuori posto. Non è un personaggio privo di charme - anzi, emoziona quando racconta del suo rapporto speciale con la madre interpretata da Sally Hawkins - ma è davvero difficile immaginare come da questo punto di partenza si possa arrivare al Wonka che conosciamo. Wonka è sempre stato un’entità in qualche modo decentrata rispetto alla sua stessa storia, circondata dal mistero su chi sia davvero, quali siano i suoi natali. In questo film il mistero permane, ma sembra davvero non conciliabile con la natura moralmente ambigua del suo personaggio.
King vs Dahl: com’è il nuovo Wonka
King e Dahl incarnano due modi profondamente diversi di essere inglesi e i loro Wonka sono agli antipodi. Wonka 2023 è un bon bon di cui è difficile definire il gusto: sa di compromesso, ma raramente una nota tanto amara è risultata così gradevole. È un progetto che - a pelle - si capisce meno sentito della doppietta precedente, più figlio delle mire di Warner Bros di capitalizzare in maniera svelta su un personaggio già noto al pubblico che dello sprone di King di raccontare qualcosa. Tuttavia è una pellicola che centra quasi sempre il bersaglio, sia nel racconto dei suoi personaggi orribilmente malvagi (Olivia Colman si diverte da matti in questo senso) sia in quello degli oppressi che continuano a sognare.
Sono due i momenti in cui Wonka gira a vuoto. Uno riguarda il capo della polizia di Keegan-Michael Key, la cui crescente grassezza a scopo comico è un cliché che stona col resto del film. L’altro è l’Umpa Lumpa di Hugh Grant: lui è vanesio e sornione al punto giusto, il personaggio sarebbe anche riuscito, ma la dinamica relazionale tra lui e Wonka mette a seria prova i limiti di ciò che per la sensibilità contemporanea finisce inevitabilmente sotto l’etichetta del termine “problematico”. Il film ne è ben consapevole e si muove di conseguenza ma, nel farlo, risulta impacciato e confuso.
Nel guardare a questo Wonka bisogna pensare a chi è rivolto: a quanti sono ragazzini ora. Sarà questo il loro Wonka? In un certo senso lo è già, incarnando alla perfezione un desiderio, un’inclinazione al fantastico come luogo privo di conflitto o paradosso, in cui ricercare quell’assenza di ambiguità e di grigiore (letterale e morale) che dalla realtà è impossibile ottenere.
In Wonka, a ben vedere, c’è anche il ritratto di di come spesso ci sentiamo noi adulti: un gruppo di persone che ha dimenticato i propri sogni, intrappolate da lavori da cui è impossibile sottrarsi, da logiche di sfruttamento che rendono l’evasione un lusso, piegate dalla rassegnazione più che dall’ingiustizia. Così bisognose di dolcezza, che però considerano un lusso per pochi, che talvolta non hanno mai assaggiato. King ci tende una mano, reinsegnandoci col suo Wonka a sognare. Non ci sono genitori tremendi in questo Wonka, che non è alla ricerca di un erede, anzi: sta muovendo i primi passi per costruire il suo impero.