Deathloop recensione: spezzare o proteggere il loop temporale?

Deathloop è il nuovo gioco Arkane che ci mette nei panni di Colt, incastrato in un loop temporale che deve rompere a tutti i costi

di Roberto Vicario

Deathloop è un gioco indubbiamente coraggioso. Un vezzo artistico da parte di Arkane che senza alcun tipo di remora, getta nella mischia il suo progetto più complesso e ambizioso. Basterebbe questo per descrivere il nuovo gioco della software house francese, ma è allo stesso tempo altrettanto corretto entrare nelle pieghe di un titolo che farà sicuramente discutere (e lo sta già facendo), facendo tornare in auge quell’adagio che fatto di pareri bianchi o neri, scevri di tutte quelle scale di grigio che stanno nel mezzo di una discussione molto più complessa di quello che può sembrare.

Cos’è Deathloop? Difficile dirlo, soprattutto nelle prime ore di gioco. I giocatori si troveranno infatti per lo più smarriti e soverchiati da una miriade di informazioni e, riprendendo un po’ le sensazioni provate dal protagonista del gioco Colt, dovranno brancolare all’interno di un mondo che si manifesterà in maniera più chiara proseguendo nell’avventura.

Colt era/è il responsabile della sicurezza di Blackreef, un’isola sperduta chissà dove (ma sicuramente a latitudini piuttosto alte) dove la giornata si ripresenta ogni giorno. Arrivare alla notte o morire, vuol dire semplicemente resettare la giornata ripartendo dalla mattina. Colt vuole cercare di rompere questo loop e per farlo è costretto a uccidere 8 visionari che governano l’isola all’interno di un singolo loop.

Semplice? Non proprio. Quello che Deathloop chiede ai giocatori è di scoprire tanti piccoli pezzi di un puzzle fatto di fini e mai banali incastri, un costante senso di scoperta e di esplorazione che permette a Colt di unire tutti i punti di un disegno complesso e allo stesso tempo ingegnoso. Ad ogni morte tutto si resetta, tutto torna come era in origine - ad eccezione di manipolazioni piuttosto importanti dello spazio/tempo -. Ed è qui che entra in gioco la geniale follia di Arkane.

Blackreef è divisa in quattro macroaree: Updaam, Baia di Kar, Fristad Rock e Il Complesso; e ognuna di queste quattro aree è visitabile in diversi momenti della giornata (Mattino, Mezzogiorno, Pomeriggio e Sera). Queste macrozone rappresentano per Colt un terreno fertile per raccogliere informazioni, scoprire dettagli sull’isola e quello che succede su di essa ma, soprattutto, studiare movimenti e abitudini dei visionari. Servirà la run perfetta, d’altronde, per arrivare ad un epilogo tutt’altro che scontato.

Quello che maggiormente funziona di questa struttura ludico narrativa è il costante senso di scoperta che avvolge il giocatore durante ogni loop. Visitare lo stesso luogo in diversi momenti della giornata offre infatti cose sempre nuove da scoprire, lasciando intatta quella curiosità necessaria ad un gioco che, un po’ stile roguelite (genere che non abbraccia mai pienamente) chiede di rigiocare più volte le stesse aree.

E se tanta libertà vi spaventa, non temete, il gioco riesce ad offrire un bilanciamento abbastanza solido tra libertà d’azione e accessibilità. Come? Attraverso una serie di grafici e di interfacce a schermo, non avrete mai la sensazione di non sapere cosa fare, anzi, il gioco è sempre molto gentile e vi aiuta a dipanare dubbi e potenziali smarrimenti. Sarà però nelle mani del giocatore scoprire il modo migliore per arrivare a superare questi obiettivi, in un crescendo di libertà ludica che verrà ulteriormente amplificata da una serie di poteri e abilità in dote a Colt.

Non si può infatti negare che il level design è figlio di quel Dishonored che è un manifesto assoluto della bravura del team di creare ambienti esplorabili in verticale e orizzontale, ricchi di strade nascoste, scorciatoie e molto altro. Qui tutto è spinto ancora più in alto in termini di ambizione, con tutta una serie di poteri (che verranno rubati ad ogni uccisione di un visionario) che ricordano in parte quelli di Corvo Attano, ma qui prestati ad un gameplay più dinamico e fluido.

La crescita del personaggio avanza di pari passo con la confidenza che si prende con le aree di gioco e una volta presa coscienza delle proprie abilità e delle routine giornaliere, spesso vi ritrovare a fare sezioni di gioco ad un ritmo forsennato per farvi trovare nel posto giusto al momento giusto. Non si può infatti negare che, pur offrendo un approccio alle situazioni totalmente libero, Deathloop è un light stealth che incoraggia spesso e volentieri lo scontro frontale. E, giusto per citarlo, attraverso un sistema interno tra un loop e l’altro, il miglior equipaggiamento trovato potrà essere “salvato” per ritrovarlo nel loop successivo, altro elemento determinante per la crescita di Colt e del ritmo di gioco.

Ed è qui che si intravedono le prime crepe di un progetto altrimenti quasi impeccabile. Purtroppo ci troviamo davanti ad una IA davvero insufficiente, composta da routine spesso senza senso e in grado di impattare in maniera piuttosto significativa sulla difficoltà del gioco. Le scelte fatte dagli NPC che ci danno la caccia, non favoriscono quasi mai la fluidità nel combattimento e anche approcciandoli con lo stealth, spesso ci siamo trovati in situazioni quantomeno bizzarre. Un vero peccato, soprattutto per la forte impronta action che il team di sviluppo ha dato a questo progetto.

Una impronta action che scricchiola un po’ anche per quel che riguarda il gunplay. Il sistema di shooting del gioco non è dei migliori, complice una mira assistita fin troppo presente e una gestione delle hitbox non proprio precisa. Niente di drammatico, ma si tratta di difetti che rimangono e purtroppo si notano.

Il gioco offre inoltre un multiplayer piuttosto atipico. Nella schermata iniziale del gioco, si potrà scegliere di giocare con Julianna (una protettrice del loop che imparerete a conoscere nel gioco) provando a mettere i bastoni tra le ruote a Colt. Julianna appare solitamente quando si sta cercando di uccidere un Visionario e, in base alle impostazioni scelte, sarà gestita o dalla IA o da un altro giocatore Umana. Un multiplayer asimmetrico che risulta più un piacevole divertissement che una reale modalità alternativa.

Chiudiamo citando ovviamente il comparto tecnico del gioco, con un Void Engine tirato a lucido per il suo debutto su PS5. Se sotto l’aspetto della mole poligonale il gioco è piacevole ma non sicuramente di un impatto devastante, possiamo notare netti miglioramenti nel sistema di illuminazione e sulla realizzazione delle superfici. Chi non tradisce mai è invece Sébastien Mitton che, grazie alla sua direzione artistica, ci offre uno spaccato post futuristico contaminato da uno stile Swinging London incredibilmente affascinante. Indubbiamente uno degli elementi più riusciti dell’intera produzione.

Il gioco offre inoltre 3 modalità di rappresentazione grafica: una votata più alla fluidità 4k dinamico e 60fps) e una più alla qualità visiva (4K e Ray Tracing), con una via di mezzo che è un misto delle due. Buono anche il comparto audio grazie ad una piacevole colonna sonora, un doppiaggio italiano decisamente efficace e il supporto all’Audio 3D.

Menzione finale spetta al Dual Sense, sfruttato in maniera intelligente e appagante, con un feedback aptico che trasmette non solo il feeling delle armi ma anche e soprattutto di determinate situazioni di gioco.