Recensione Disaster Report 4: A lezione di disastri

Ma se il disastro è proprio il gioco?

Una delle particolarità dei giapponesi è che sin dalla nascita sono educati a vivere sapendo che in qualsiasi momento della loro vita potrebbe arrivare un terremoto a sconvolgere la loro esistenza. Sappiamo bene quanto sia a rischio sismico tutto l’arcipelago nipponico e quanto la stessa cultura dei suoi abitanti tenga a mente la cosa. Disaster Report 4: Summer Memories è, appunto, il quarto capitolo di una saga che, con diverse sfumature, mette il giocatore nella complicata situazione di sopravvivere a un cataclisma. Immaginate di stare vivendo un giorno qualunque della vostra vita, magari state andando a scuola o a lavoro, a un appuntamento importante o forse state semplicemente facendo quattro passi senza troppi pensieri. Possono bastare pochi secondi per tramutare la vostra tranquilla esistenza in un incubo di paura. Pochi secondi lunghi quanto una scossa di terremoto capace di distruggere la vostra città. A voi decidere come reagire e come gestire le cose. Vi lascerete andare al panico? Inizierete a pensare razionalmente per tornare a casa il prima possibile? Vi impegnerete per aiutare i vostri compagni di sventura? O forse sfrutterete l’occasione per il vostro tornaconto?

Sulla carta ci un ventaglio di opzioni davvero interessanti, in grado di affascinare e di creare interesse per questo adventure/survivor in terza persona. Bisogna dire però che Disaster Report 4 non era nato sotto i migliori auspici. Lo sviluppo originale venne interrotto per varie vicissitudini tra cui un vero e proprio terremoto e non si sentì più parlare del gioco per quasi dieci anni, per poi tornare nei nostri radar di recente, grazie alla nuova guida di Kazuma Kujo, che forse conoscerete per aver lavorato a titoli come R-Type e Steambot Chronicles. Ogni videogiocatore che si rispetti sa benissimo quante insidie si nascondino dietro a un titolo con lo sviluppo così travagliato e frammentario e, purtroppo, Disaster Report 4 non sfugge a questo paradigma. Durante tutta la nostra prova ci siamo trovati perennemente in mezzo a due sentimenti contrastanti: da una parte l’approvazione per tanti spunti interessanti, dall’altra la delusione per una resa a dir poco scadente.

Il gioco ci mette nei panni di un personaggio che creeremo noi tramite poche opzioni grafiche e con un background altrettanto limitato e ci lancia in pochi minuti in mezzo al terremoto lasciandoci, come potrebbe accadere nella realtà, totalmente spaesati e senza particolari elementi per decidere cosa fare. In mezzo alla devastazione e alla disperazione generale iniziamo a  muoverci per capire come reagire e in breve tempo ci saranno chiari due elementi: il primo è che saremo abbandonati a noi stessi anche dal punto di vista dell’esplorazione, nel senso che nessun cursore ci dirà cosa dovremo fare per andare avanti con la nostra storia e dovremo quindi cercare di parlare con ogni sopravvissuto e cercare in ogni angolo. Il secondo è che un terremoto è fatto da tante scosse e in nessun momento saremo davvero sicuri, vivendo sempre con la paura di un nuovo spostamento del terreno che potrebbe far collassare un palazzo sopra di noi.

Tra buoni propositi e mercato nero

Così si va avanti zona dopo zona, girovagando alla ricerca della mossa che ci permetterà di avanzare, lasciandoci spesso interdetti davanti alla totale mancanza di indicazioni, finendo per girare a vuoto sino a un colpo di genio o, più che altro, un colpo di fortuna risolutore. Nel mezzo ci sono i rapporti con i sopravvissuti che vanno dal semplice scambio di parole al soddisfare delle richieste di aiuto, sino al poter formare gruppi di sopravvivenza alla ricerca del bene comune. Proprio questo elemento rappresenta una delle più grandi contraddizioni del gioco. Ogni situazione ci permette di comportarci in modi differenti, grazie ad una ampia possibilità di scelta riguardo alle risposte da dare ai personaggi non giocanti e a un particolare sistema morale che ci mette spesso nella condizione di parlare con noi stessi e dire senza remore cosa ne pensiamo di una situazione. Il problema però è che in qualsiasi modo sceglieremo di comportarci, i risultati alla fine del proseguimento del gioco saranno sempre gli stessi, portandoci avanti con la trama e solo in rari casi assegnandoci un punteggio morale in base alle nostre buone o cattive azioni. Peccato, inoltre, che le situazioni vadano dalle più realistiche e drammatiche a quelle più “nonsense” e bizzarre, inficiando la tensione di quella che poteva essere un’ottima atmosfera drammatica. 

Nel mentre dovremo sopravvivere procurandoci oggetti di vitale importanza e dovendo decidere se rinunciare a qualcosa per salvare uno sconosciuto o approfittare dell’emergenza magari per vendere qualcosa che abbiamo in abbondanza a un prezzo spropositato, sfruttando le necessità altrui, tenendo presente che in futuro potremmo essere noi a trovarci in stato di necessità. Dovremo sempre tenere sotto controllo la nostra barra della vita e quella dei nostri bisogni fisici e psicologici (ma le conseguenze sul gameplay sono davvero minime). Fame, sete, necessità di andare in bagno e stress scandiranno la nostra vita, per quanto trovare uno dei diversi punti di salvataggio sparsi nel gioco ci darà un momento di riposo e una boccata di ossigeno. 

Insomma, un gameplay davvero limitante e farraginoso (colpa anche di diverse imprecisioni dei comandi) che si va a unire ad una realizzazione tecnica che avrebbe fatto fatica a soddisfarci anche su PlayStation 3. Si salva il sonoro, grazie a buone musiche, ma la parte grafica è davvero deficitaria. Ogni cosa che vediamo sulla tv è realizzata in modo grezzo e senza particolare attenzione, dandoci davvero l’idea di avere per le mani un gioco ideato diversi anni fa, tutto condito da rallentamenti, bug vari e caricamenti inspiegabili. Si sente davvero tanto che il progetto è stato tenuto sotto naftalina per tanto tempo, ma la resa finale lascia estremamente insoddisfatti. Insomma, un altro elemento che ci mostra come quello che poteva essere un buon titolo, con tante idee interessanti, sia rimasto vittima di uno sviluppo problematico e non all’altezza delle sue potenzialità.