Recensione MLB The Show 21: Jobu entra nella nextgen
Abbiamo sacrificato un pollo vivo per Cerrano e questo è il risultato: un MLB 21 in buona forma, ma che ancora non ha fatto il grande salto.
La schiera non foltissima di appassionati di baseball americano del nostro paese sarà sicuramente conscio dell’importanza della stagione MLB cominciata proprio in aprile. Dopo l’annus horribilis (leggasi anche pandemia con conseguente contrazione della stagione ad appena 60 partite contro le consuete 162) culminato con la vittoria dei Los Angeles Dodgers (la settima nelle World Series), quella 2021 passerà, infatti, agli annali come la stagione del ritorno ad una parvenza di “normalità” (almeno dal punto di vista numerico), oltreché l’ultima di vita dei Cleveland Indians, attesi dopo ben 106 anni di onorata carriera (condita anche di un passaggio cinematografico grazie allo sconclusionato film “Major League” interpretato, fra gli altri, da Charlie Sheen, Tom Berenger, Rene Russo e Wesley Snipes) ad un restyling totale che comprenderà nome, divise ed, ovviamente, logo.
Una stagione in qualche modo storica, dunque, fondamentale anche sul fronte ludico quando parliamo dell’universo MLB The Show, atteso nella sua versione 21 al debutto assoluto sia su sponda Microsoft (parliamo di un gioco firmato e sviluppato da Sony portato su Xbox dopo le pressioni esercitate dalla stessa lega MLB) che soprattutto su console di nuova generazione.
Modalità per tutti i gusti
Come ogni gioco sportivo che si rispetti, anche la versione 21 di MLB The Show propone un ventaglio di opzioni piuttosto ampio, capace di assecondare le velleità agonistiche sia dei giocatori mordi e fuggi che degli appassionati di baseball più incalliti. Accanto all’immancabile partita di esibizione, il gioco affianca, infatti, svariate modalità “accessorie”che spaziano dalla possibilità di affrontare l’intero arco carrieristico di un giocatore alle prime armi - Road to the show - comprensivo anche di report, interviste e podcast con giornalisti reali influenzati dai risultati ottenuti sul campo, all’opportunità di incidere su specifici momenti chiave della stagione attualmente in corso (March to October), senza dimenticare l’opportunità sia di gestire l’andamento sportivo e finanziario di un club in un arco narrativo sviluppato su più stagioni (Franchise), che di affrontare l’iconico Home Run Derby, la manifestazione annuale di battuta di fuoricampo targata MLB, inaugurata nel 1985 ed utilizzata da allora come vero e proprio preludio all’All-Star Game.
Non manca come da tradizione nemmeno la versione in salsa baseball di FIFA Ultimate Team (ribattezzata in questo caso Diamond Dinasty) basata sull’opportunità di creare e migliorare la propria squadra dei sogni intervenendo sia sulla rosa grazie alla compravendita giocatori (ma a differenza della versione messa in campo da EA con un occhio rivolto più ai rewards ottenibili in game che non alla necessità - per quanto presenti – di abusare delle microtransazioni) che su aspetti quali skills oggetti ed equipaggiamento, mentre completamente nuovo è il nuovo editor degli stadi, disponibile unicamente sulle versioni next-gen del gioco e capace di assecondare le velleità ingegneristiche -ed artistiche - degli archistar più esigenti.
Parola d’ordine: pazienza
Una delle caratteristiche per la quale MLB The Show si è sempre contraddistinto è indubbiamente la scalabilità del sistema di gioco. Anche in questo caso il titolo di casa SIE consente, non a caso di variare il gameplay in funzione delle proprie capacità, semplificando o viceversa inasprendo alcuni degli aspetti legati alla battuta ed in particolare al sistema di lancio.
Partendo dal presupposto che il livello di frustrazione a cui un giocatore alle prime armi potrebbe essere sottoposto rischierebbe di penalizzare fortemente l’esperienza di gioco complessiva, bene ha fatto dunque il team di sviluppo ad implementare ancora una volta un’opzione entry level “progressiva” (soprannominata casual) in grado evolversi in corso d’opera - ed in autonomia - in funzione del livello raggiunto dal giocatore, permettendo così un graduale adattamento ai rudimenti del gioco ( ed in particolare del sistema di lancio e battuta per quanto opportunamente addolciti) legati anche alla gestione – fondamentale - di tutti i giocatori presenti sul diamante.
Chiaramente, l’esperienza di gioco viene massimizzata utilizzando il titolo in modalità simulazione o competitiva, liberando in sostanza il sistema dalle briglie imposte da una modalità casual sicuramente apprezzabile ma comunque castrante. In questo caso diventa fondamentale l’assimilazione del pinpoint pitching, il sistema di lancio più avanzato offerto dal gioco tanto frustrante in termini di curva di apprendimento quanto appagante per il giocatore che riuscirà a padroneggiarne le dinamiche.
Si tratta di una modalità di lancio particolarmente complessa la cui efficacia è legata alla capacità di gestire nel migliore dei modi la traiettoria della palla, sfruttando a dovere la combinazione dei pulsanti di azione (che determineranno come sempre la tipologia e la velocità del lancio) con il movimento degli stick analogici.
In questa situazione, il risultato finale sarà determinato dalla capacità del giocatore di mantenere nel tempo un elevato standard dei propri lanci, ben sapendo che la ripetitività di determinate azioni porterà gli avversari di turno più scaltri ad anticipare le intenzioni del lanciatore ed a prendere le opportune contromisure.
PS4.2
Nonostante l’implementazione di nuove animazioni ed una rinnovata pulizia generale, sotto il profilo meramente estetico MLB The Show 21 non offre nulla di veramente nuovo, badando piuttosto a migliorare su next-gen solo alcune delle caratteristiche del gioco. Intendiamoci, non stiamo affermando che il gioco messo in campo da SIE offra il fianco a critiche particolarmente feroci (ad ogni buon conto avremmo certamente gradito la localizzazione del gioco anche nella nostra lingua), ma tolto l’editor degli stadi ed un framerate obbiettivamente superiore, risulterà difficile per i più riscontrare differenze veramente tangibili fra la versione PS5 del gioco e la sua controparte PS4.
Al contrario di altre produzioni non aiuta nemmeno l’implementazione del sistema di controllo, talmente simile in entrambe le versioni da risultare praticamente sovrapponibile. In questo senso avremmo certamente gradito un po’ più di coraggio da parte degli sviluppatori, dal momento che le caratteristiche del tutto distintive del DualSense ha spesso fatto la differenza in altre produzioni nate sempre a cavallo fra la vecchia e la nuova generazione.