Recensione Maneater
Che vitaccia, quella dello squalo
Ci sono dei momenti in cui è necessario scendere a patti con il proprio interlocutore. Non ti piace, magari temporeggi, ma dopo aver fatto diversi tentativi in merito, abbandoni senza capire nemmeno il motivo per cui hai iniziato tutta questa trafila. Lo stesso mood, accompagnato dal singolo “Squalo” dei Litfiba (tanto per restare in tema) lo si avverte cominciando a giocare l’ultima fatica di Tripwire, il team di sviluppo alle spalle di altri titoli come Killing Floor e Rising Storm.
Man Eater, lo squalo mangia uomini, l’incubo per eccellenza che ha tormentato ai tempi la maggior parte degli adolescenti americani, e non, che si aspettava di trovarsi questa grossa bestia affamata sul bagno asciuga. Virtualmente parlando ci è già capitato di vestire i panni di una simile creatura, come dimenticare Hungry Shark su smartphone, ma era da diverso tempo che una simile possibilità veniva concessa su PC o console.
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SANGUE A ETTOLITRI
L’inizio di questa avventura nei panni di uno degli animali marini più pericolosi della Terra è piuttosto singolare: solcheremo infatti i mari di un’ambientazione fittizia uccidendo tutto ciò che ci capita a tiro, soprattutto uomini per variare la dieta di Omega3, almeno fino a quando un cacciatore di nome Pete ci tirerà sulla sua barca riuscendo a ucciderci.
La storia non può certo concludersi così brevemente, ed è qui che entra in gioco l’unico cucciolo in gestazione di questo nostro primo alter ego, che prima di essere rigettato in mare riesce a staccare la mano del singolare cacciatore, diventando così la sua preda prediletta.
Fin qui tutto sommato nulla di male, giacché l’evento serve essenzialmente a dare il via al gioco vero e proprio, una sorta di arcade con caratteristiche simili a un open world dove lo squalo, da noi interpretato, deve cibarsi di prede di vario tipo, ottenendo punti per passare di livello e diventare così più forte e temibile. Ognuna delle creature incontrate è associata a un principio attivo, o una vitamina, da utilizzare successivamente per migliorare alcune delle abilità in dotazione allo squalo: che si tratti di caratteristiche passive, o vere e proprie mutazioni delle parti principali del corpo dell’animale, si rivela dunque fondamentale mangiare ogni cosa ci capiti a tiro, così da avere già pronto il giusto quantitativo richiesto da ogni componente per il suo level up.
Bello, almeno in potenza, peccato che tutto questo si riduca a una routine piuttosto ripetitiva, un espediente incentivato pochissimo da una storia da film di quarta categoria, la pellicola autoriale scherzosa che mentre viene riprodotta ci fa salire la colica renale per colpa delle cozze. Oltre a Pete, che incontreremo praticamente sul finale, le acque territoriali del gioco saranno preservate da cacciatori armati fino ai denti, pronti a darci del filo da torcere non appena uccideremo più umani del dovuto.
Quindi, se l’ordine non ci inganna, il tutto si riduce a un mangia, caccia, prega e…mangia. Senza contare tutte le difficoltà nel mentre che arriviamo a spiegarvi. Il gameplay del gioco cerca di sfruttare al meglio la grafica tridimensionale del gioco, superando insomma la barriera 2D di un Hungry Shark tanto per capirci, offrendoci dunque sì un bello spettacolo per gli occhi, con qualche scorcio piacevole e qualche oggetto ben riprodotto, ma incasinandoci al contempo la vita per colpa di un lock della preda praticamente inesistente.
Questo si traduce in una gestione della telecamera fin troppo rocambolesca e imprecisa, fattore che spesso spinge il giocatore a scegliere di confidare sulla potenza della mandibola dello squalo, insomma costringendo la preda a rimanere nella nostra morsa con il grilletto RT mentre la scuotiamo grazie al bonus Massacro. Oltre a questo, la nausea. E già questo è un peccato, perché crea diverse situazioni di svantaggio nei confronti delle prede più ostiche, che scatteranno velocemente intorno a noi cercando di evadere il nostro morso.
Si procede oltre, si cambia la zona facendo attenzione contemporaneamente a sbloccare qualche collezionabile, sebbene basti arrivare al 50% dell’area scoperta per sbloccare il capitolo successivo, provando inoltre ad apprendere nuove tattiche per fronteggiare i nemici via via sempre più ostici. Su questo frangente ci sentiamo di esporre un ulteriore intoppo nei confronti della IA di cacciatori e pesci, che si attesta a un livello di demenza incredibile, considerato soprattutto il fatto che basta saltare al momento giusto vicino alle barche per trascinare in fondo al mare la preda.
Sebbene andando avanti la situazione si complica, con armi e attrezzare più letali, armandosi di pazienza e mutazioni giuste si diventa praticamente invincibili.
POCA FANTASIA, POCO DIVERTIMENTO
Abbiamo parlato di mutazioni poco sopra e, per specificare, si tratta di una trovata intelligente degli sviluppatori al fine di regalare un minimo di personalizzazione al nostro alter ego. Oltre a restare “normale”, il nostro squalo può accedere a due diverse mutazioni: quella ossea e quella bioelettrica.
Come realizzazione visiva potremmo pure starci, come al solito de gustibus, e potremmo anche starci a livello di meccaniche in gioco, giacché la prima serve essenzialmente a fornirci più resistenza, regalandoci anche qualche bonus sullo speronamento delle barche e il danno durante la schivata, mentre la seconda offre un danno di tipo elettrico agli attacchi che, se accumulato, riesce a stordire l’avversario per una manciata di secondi.
Bello, buona idea, ma poi stop. Potevano essere ideate tantissime altre variazioni per rendere un pochettino più frizzante il gioco, già strampalato di suo quindi predisposto alla cosa, ed è un peccato vedere che gli sviluppatori si siano limitati un po’ al minimo indispensabile. Lock delle prede impreciso, intelligenza artificiale poco furba e purtroppo non finisce qui.
La fila di difetti di Maneater continua ancora per un po’. A tutti gli effetti noi, che stiamo scrivendo l’articolo, non sappiamo come finisce il gioco e il motivo è da rilevarsi in una serie di crash piuttosto fastidiosi, che hanno chiuso il titolo durante l’esecuzione di fatto eliminando la cutscene in riproduzione. Durante la storia questo espediente ci ha riportato al checkpoint antecedente il fattaccio, ma sul finale, beh, speriamo che qualcuno di voi ce lo svelerà qualora ci giocherà.
I crash continui non hanno sicuramente permesso una fruizione del titolo in tranquillità, soprattutto per la paura di perdere i dati di salvataggio, e sinceramente abbiano trovato abbastanza frustrante l’impossibilità di provare il gioco in cooperativa, che localmente oppure online avrebbe potenzialmente creato una sorta di fenomeno aggregativo divertente con missioni secondarie o sfide di qualsivoglia tipologia.
Questo incedere così poco diversificato finisce per azzoppare la produzione, che all’ennesima quest soprannominata “Mangia 15 cose” si è trasformata in una vera e propria tortura. In tutti i sensi.
Versione Testata: Xbox One
Voto
Redazione
Maneater
Con il day one gli sviluppatori hanno rilasciato su console una patch di 6GB, che speriamo corregga i difetti riscontrati nella nostra prova in sede di recensione. Maneater poteva rivelarsi come un gioco interessante e particolare, soprattutto per il genere, ma alla fine si è rivelato più un buco nell’acqua, uno squalo senza denti che può giusto masticare qualche alga per sembrare minaccioso.