Recensione The Ascent: Da Diablo a Gears of War

di Simone Marcocchi

Quando iniziate a fare paragoni tecnico-estetici con giochi indie tipo Ruiner - che per altro è un ottimo titolo - capirete come oggi l’eccellenza non sia più appannaggio di enormi sforzi produttivi, ma possa trovare casa anche in un team di soli undici elementi che porta il nome di Neon Giant. Trasudando cyberpunk da ogni poro, è quasi scontato dire che di Blade Runner c’è davvero molto, a cominciare dalle musiche ispirate, ma anche la nota stazione di polizia si erge nella magalopoli-alveare o quelle insegne che accendono la notte eterna sotto lo scrosciare della pioggia in cui passanti si coprono con i tipici ombrelli trasparenti della nota pellicola di Ridley Scott.

Non solo le note che riportano alla memoria quelle di Vangelis, ma è ogni cosa che cammina, sputa e si dibatte in ogni dove, spara, parla e si muove ad essere sottolineato in modo sublime da un’impronta audio che merita il miglior sistema home-theatre che vi possiate permettere.

Lo stile, il design, i nemici, tutto è “rubato” da vaste biblioteche mediatiche degli ultimi quarant’anni, ma a nessuno interesserà più di tanto quando il risultato arriva ad essere a questi livelli.

DA DIABLO A GEARS OF WAR

È importante sottolineare l’iniziale shock (positivo!) ed emotivo che continua con una meravigliosa modellazione poligonale di un Unreal Engine al massimo splendore, cesellato da effetti particellari magistrali a sottolineare anche solo la luce di un lampione o un’esplosione, in un tripudio di effetti speciali. Lo scopo del (o della nel mio caso) protagonista è quello di servire una corporazione ormai in totale decadimento, con un passo dal caos più totale - in cui la società viveva già prima -, ma è ormai allo sbando ad ogni livello umano e lavorativo. Il nostro scopo è quello di assecondare diverse richieste (ufficiali e sottobanco) per portare a casa denaro, livellamenti e potenziamenti vari. Principalmente è uno shooter con visuale a volo d’uccello leggermente sfalsata in stile diablo-like, ma trae grande ispirazione - a detta degli sviluppatori - da Gears of War e da cui infatti sono tratti sia alcuni villain, sia la scelta alla base del gioco di offrire potenziali coperture in base alle aree in cui ci si trova. Il ventaglio della scelta delle armi è assolutamente variegato, l’offerta contempla non solo modelli di diversa estetica ma deflagrazioni di ogni calibro. La parte più importante, dalla quale trarremo più piacere, è naturalmente quella del riscontro emotivo del momento in cui si infrangono fiumi di proiettili contro i corpi di nemici di carne o metallo che sia, creando su di loro reazioni diverse.

ALL’OMBRA DEI NEON

Messa così e fino ad ora, sembra tutto perfetto, anzi se si dovessero cristallizzare i soli primi trenta minuti, si potrebbe quasi sfiorare la perfezione, ma è l’incedere delle ore che, purtroppo, mostra il fianco alle parti meno curate della produzione e che sicuramente disincantano (almeno in parte) lo spettatore.

Tralasciando che ci si auspica che una parte di ciò che verrà citato verrà forse risolto con la patch del dayone (e successive altre a venire), alcune scelte sono invece di design e risulta un po’ più complessa la soluzione. Uno degli aspetti meno convincenti e con i quali dovrete fare i conti dall’inizio alla fine dei titoli di coda è l’IA dei nemici. 

Tutti loro infatti avranno il solo scopo di accerchiarvi e uccidervi, senza alcuna strategia, fine! Può essere logico immaginarlo per fetenti creare fognarie, ma lo è meno per tutti gli umani o mezzi robotici che si incontrano sul cammino. Questo oltretutto vanifica ogni logica tattica di usare le coperture, perché usciranno “da ogni fottuta parete” e da ogni direzione con il risultato di ammorbare il giocatore con lunghe sessioni copia-incolla e di dover ripetere questa situazione per parecchie ore. A questo si aggiunge un forzatissimo backtracking delle missioni, considerando soprattutto che i nemici sono praticamente sempre gli stessi (o con lievi re-skin) incrementando l’effetto noia. Se le missioni principali non spiccano per contenuti di alto livello sul fronte narrativo, ma sono comunque coerenti e corredate da ottime scene d’intermezzo, quelle secondarie sono quanto di più filler possiate immaginare: andate lì, camminate per un tempo interminabile, prendete un oggetto, tornate indietro e camminate ancora parecchio e sempre nelle stesse zone.

Il design dei livelli è davvero splendido, come più volte ribadito, ma in alcuni casi questo implica trovarsi zone architettoniche che rendono nascosta la vista di una porzione di area in cui ci si può trovare e non è semplice uscirne (o vedere i nemici che attaccano). Essendo poi questo uno shooter con visuale isometrica, questo complica le cose per i nemici fuori campo, che ci sparano senza che li vediamo o capiamo dove siano, nonostante ci sia un radar che ci aiuta in parte a sopperire al problema. Nella versione di prova di disposizione ci sono stati anche altri problemi sostanziali, come il fatto che alla pressione del tasto per giungere all’obiettivo non sapesse dove mandarci confondesse aree su più piani.

Peccato per i difetti sopraccitati che pur ridimensionando le altissime aspettative messe in campo dai trailer rilasciati e dai primi minuti di gioco - riportandoci ad una realtà più coesa con quella di un indie - sono anche un enorme biglietto da visita per un team dal talento fuori dal comune che avrebbe forse avuto bisogno di più tempo per rifinire questo gioco.