Sherlock Holmes Chapter One – Recensione
Non chiamatelo ritorno, piuttosto un nuovo inizio
Frogwares ha deciso di cambiare le carte in tavola per questo ritorno di Sherlock Holmes, personaggio immaginario tratto dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle che oggi, a distanza di qualche anno dall’ultimo capitolo Crimes and Punishments, fa ritorno sui piccoli schermi per allietare i pomeriggi di noi videogiocatori con qualche enigma da risolvere.
Il nuovo inizio viene identificato dalla giovane età del protagonista, non più quindi il loquace e adulto Sherlock Holmes dei libri, ammirabile anche la trasposizione cinematografica di Guy Ritchie, ma al contrario un brillante giovanotto alle prime armi che ci riporta indietro nel tempo, se vogliamo alle origini dove tutto è cominciato.
Tecnicamente parlando ci troviamo di fronte a un prequel sotto tutti i punti di vista, sebbene questa volta Frogwares sembra abbia voluto modificare qualche elemento della formula videoludica ideata per i capitoli precedenti, così da ravvivare l’interesse nei confronti di un franchise interessante, certo, ma un po’ ripetitivo se guardato nel corso degli anni della sua pubblicazione.
NON C’E’ NULLA DI PIU’ FUORVIANTE DELL’OVVIO
Pensavate di chiudere la famosa citazione, terribilmente abusata, con Watson, ma la realtà dei fatti è che Sherlock Holmes Chapter One prevede sempre come protagonista l’omonimo detective britannico accompagnato dal giovane Jon. Il suo ruolo nella storia verrà sviscerato approfondendo le missioni che compongono il ciclo narrativo di questo capitolo, una narrazione che sceglie di concentrarsi su uno degli avvenimenti più importanti della gioventù di Sherlock Holmes, identificati in questo caso dalla morte della madre Violet.
Nella città di Cordona i due protagonisti cercheranno di venire a capo del mistero che avvolge la dipartita della donna, morta di tubercolosi un decennio prima: Sherlock conserva diversi ricordi della sua infanzia ma quest’ultimi, per quello che ci è dato sapere e che scopriremo nel corso dell’avventura, sono piuttosto fumosi. Tale condizione influenzerà il corso degli eventi del gioco, guidando la trama verso la ricerca della verità alle spalle della scomparsa di Violet Holmes.
Probabilmente non sarà un racconto al livello di quelli creati da Sir Conan Doyle, ma quello messo in scena da Frogwares è un resoconto convincente, introspettivo e allo stesso tempo dinamico, capace insomma di pescare a piene mani dalla mitologia del personaggio per dar vita alla leggenda, senza comunque tradire allo stesso tempo ciò che è stato messo in piedi negli anni nel franchise.
Come potete ben immaginare, perciò, il nuovo capitolo che affronta le origini di Sherlock Holmes cerca di seguire la scia dei suoi predecessori, inscenando il classico gioco d’avventura narrativo basato sulla risoluzione dei vari enigmi posti lungo il cammino. Cordona non si riduce però a una serie di scenari intervallati da qualche cutscene, ma finisce per trasformarsi in un piccolo open world articolato, composto da diversi quartieri in cui Sherlock potrà si affrontare i capitoli della missione principale, ma anche dedicarsi a qualche attività secondaria.
È stato interessante approfondire i diversi aspetti del personaggio di fronte ad alcune missioni proposte dal gioco, come è stato interessante ritrovare piacevoli easter egg sul personaggio letterario. I piccoli misteri proposti intrattengono piacevolmente il giocatore, aiutandolo nell’impresa di compiere delle diverse scelte morali che ci condurranno alla conclusione di questo capitolo.
IO VEDO TUTTO, QUESTA È LA MIA CONDANNA
Il nostro alter ego digitale è estremamente bravo a fare delle deduzioni, tasselli fondamentali da utilizzare per risolvere ognuno dei casi che si pone di fronte al giovane detective. In questo capitolo continua ad affermarsi la struttura ludica vista già nelle precedenti installazioni del franchise: Sherlock deve infatti raccogliere i diversi indizi sparsi per l’ambientazione di gioco, solo per poi ricavarne una deduzione da archiviare nel proprio palazzo mentale soltanto dopo aver collezionato, a seguito di dialoghi o analisi degli oggetti, tutti i possibili tasselli del puzzle necessari a risolvere il caso.
Sherlock potrà attingere alle sue qualità di concentrazione per arrivare prima alla soluzione, magari identificando dei dettagli invisibili a un occhio comune, ma è stato bello constatare come la formula ludica sia riuscita un pelino ad evolversi, proponendo addirittura la possibilità di cambio d’abito del personaggio necessaria per risolvere alcuni degli obiettivi presenti nel gioco.
Insomma, questo Chapter One riesce nell’impresa di rendere l’esperienza il più dinamica possibile, ed è un bene riconoscere a Frogwares un plauso finanche nel rapporto simbiotico con il comprimario Jon, qui fondamentale giacché appunterà diverse informazioni sul diario di Sherlock, accompagnandole con tante note o commenti pensati per aiutarci nei momenti di difficoltà.
La parte action del gioco è meglio identificata da alcune sessioni di shooting in cui il protagonista, sotto licenza della polizia di Cordona, potrà combattere o sparare ai criminali senza però ucciderli. Tradotto in soldoni, per sparare potremo ricorrere alla mira e a un piccolo bullet time pensato per rallentare l’azione e colpire i “punti deboli” dei nemici, mentre la parte fisica verrà tradotta dal classico Quick Time Eventi dove premere i tasti richiesti per dar vita a KO degni dello Sherlock Holmes interpretato da Robert Downey Jr.
Vedete queste feature come piacevoli fuori onda, attività extra curriculari pensate per rendere il gioco più dinamico ma ancora embrionali nella loro esecuzione finale. Si percepisce insomma che non doveva trattarsi di un tassello fondamentale del prodotto, quanto più di un elemento di contorno che poteva divertire senza troppo coinvolgimento.
Tecnicamente questo Chapter One vive di luci e ombre, proponendo il classico spettacolo per gli occhi ben lontano da Crimes & Punishments, e si vede tanto, ma un po’ raffazzonato soprattutto nelle fasi di dialogo, dove i primi piani lasciano spesso intravedere una mimica facciale piuttosto abbozzata e frequentemente fuori sync con i dialoghi.
Gli NPG presenti nel gioco riempiono questo piccolo open world senza eccellere nelle loro attività, o routine, così da apparire un po’ ripetitivi e uguali tra loro. Ce lo si poteva aspettare, ma ci rendiamo conto che il prodotto è davvero lontano anni luce dal suo progenitore, elemento che ci fa ben sperare sullo sviluppo e crescita dell’opera.