Alisa, un survival horror che omaggia gli anni '90 fin troppo fedelmente
Dopo un lungo peregrinare su PC, finalmente Alisa approda anche sulle console. Siamo sicuri che sia valsa la pena?
Resident Evil è una serie che ha fatto scuola con due capitoli: il primo e il quarto, quest’ultimo in grado di dettare le regole per i survival horror in terza persona, ma non solo, negli anni a venire. L’originale non è stato tuttavia da meno e non è un caso ci siano stati videogiochi che vi si sono ispirati nel tempo, sotto diversi aspetti. Tra questi troviamo Alisa, un survival horror del 2024 sviluppato da Casper Croes e fortemente immerso negli anni ‘90, tanto in termini di estetica quanto di gameplay; soprattutto, è un omaggio a Resident Evil.
Queste premesse mi hanno permesso di accettare di buon grado una grafica pixelata e alcune scelte ludiche, similmente a un terribile doppiaggio che (almeno credo) è a sua volta una strizzata d’occhio a certi incubi vissuti in quel periodo - l’originale RE non è esente. Al contempo, però, c’è una ragione se ci si è gradualmente allontanati da quelle meccaniche e da una rigidità dei controlli difficile da tollerare oggi, persino se si tratta di un omaggio. Ci sono stati giochi rétro, se così vogliamo definirli, come Tormented Souls il cui successo gli ha comunque permesso di avere un nuovo capitolo in arrivo proprio quest’anno, salvo rinvii.
Si trattava però di prodotti, seppur grezzi, modernizzati proprio per non incappare in quelle maglie troppo strette che li avrebbero soltanto messi ulteriormente in difficoltà. Il fatto che Alisa sia dichiaratamente un omaggio tout court, nel bene quanto soprattutto nel male, può spiegare tante cose ma non riesce a proteggere il gioco da alcune scelte che mal si sposano con l’esperienza vecchio stile di cui si è voluto fare portavoce. Proprio per questo non me la sento di promuoverlo, sebbene di misura paragonato ad altri come il terribile Stray Souls: una maggior accortezza su alcuni aspetti sarebbe senza dubbio valsa almeno la sufficienza.
Vediamo dunque Alisa - Developer's Cut, giocato su PlayStation 5, che tipo di esperienza offre e perché, sebbene sia una dichiarata operazione nostalgia, non c’entra appieno l’obiettivo.
Un omaggio dei tempi che furono
Appena avviato il gioco, la prima cosa che mi viene chiesta è se voglio abilitare la mira assistita: nei giochi moderni non ne faccio uso ma in questi, così legati a tempi andati, lo trovo un aiuto gradito soprattutto per capire se c’è qualcuno al di fuori dell’inquadratura. Chi ha giocato a Resident Evil sa di cosa parlo, puntare l’arma era il modo perfetto, quando il suono non veniva in nostro aiuto, per sapere se davanti a noi ci fossero eventuali minacce. A lasciarmi perplessa è stata tuttavia la postilla secondo cui, attivando la mira assistita, avrei ricevuto meno ricompense dai nemici. Fermo restando che ancora non sapevo cosa fossero queste ricompense, non ho particolarmente gradito la penalizzazione, proprio consapevole di cosa significhi non avere la mira assistita in giochi di questo tipo; soprattutto, ho trovato scorretto penalizzare giocatori che per le ragioni più disparate, fosse anche la giovane età, potrebbero non aver mai provato giochi tanto vecchi e dunque non essere abituati. Vedendo poi come si è evoluto Alisa, a maggior ragione la scorrettezza si è fatta evidente, soprattutto sapendo che si è trattata di un’aggiunta postuma richiesta proprio da chi l’ha giocato senza.
Ad ogni modo, ho scelto di avviarla e dato inizio al gioco.
Nei panni della titolare Alisa, un’agente reale d’élite, mentre siamo all’inseguimento di un ricercato ci ritroviamo di punto in bianco circondati da mostri. Dopo aver perso i sensi, Alisa si risveglia in una villa in stile vittoriano, con indosso abiti diversi e non avendo alcuna idea di dove si trovi, come sia finita lì e come uscirne. L’unica cosa che impara in fretta è quanto poco sicuro sia quel posto, poiché non fa in tempo a uscire dalla camera che viene aggredita (dopo un filmato palese omaggio a Resident Evil) da una bambola. Diventa presto chiaro che nulla a parte lei sembra essere fatto di carne e sangue lì dentro; ciò però non impedisce ad Alisa di difendersi con ogni mezzo possibile, ossia armi da fuoco e la sua fida sciabola, mentre svela i misteri della villa cercando di uscirne viva.
Buona l'idea ma la realizzazione è claudicante
Non mi soffermerò sulla grafica né sul doppiaggio, sperando sia appunto una decisione mirata, perché sono ovviamente parte di una precisa scelta. Lo stesso discorso vale per le inquadrature fisse o per i controlli “tank” di Alisa, tutti richiami alle dinamiche degli anni ‘90. A balzarmi subito all’occhio è stato invece il gunplay: come detto, il gioco offre la possibilità di avere la mira assistita a scapito delle ricompense lasciate dai nemici - ingranaggi utili a fare acquisti nel negozio e di cui parlerò a breve. Un aspetto, come ho già detto, criticabile ma sul quale avrei potuto passare sopra se la mira assistita fosse stata adeguatamente gestita. Così non è perché se da un lato è vero che la protagonista punta un nemico quando si trova alla giusta distanza, dall’altro non ne segue gli spostamenti; qualcosa che invece già il primo Resident Evil faceva, permettendo al giocatore di avere sempre la situazione sotto controllo (fatta eccezione per i cani, da sempre il nemico odioso per eccellenza).
Questo porta la mira assistita a essere un falso aiuto, sul quale pesa la penalizzazione degli ingranaggi, che grava ulteriormente sull’esperienza per il fatto che i nemici non sono lenti o goffi come gli infetti di Resident Evil: alcuni, troppi, sanno muoversi con fastidiosa velocità e non potendo seguirne gli spostamenti a dovere quello che dovrebbe essere un supporto fondamentale è di fatto un peso e un fastidio. Considerata poi la sensibile differenza con gli ingranaggi ottenuti senza di esso, e anche uno soltanto può fare la differenza nel bilanciamento della difficoltà, non riesco a spiegarmi la ragione di una simile scelta. Sia chiaro, la mancanza di una mira assistita adeguata come elemento di default, per come è strutturato il gioco in termini di nemici, è un difetto a prescindere.
Stiamo comunque parlando di un’esperienza survival, in cui ogni proiettile conta, e Resident Evil ne era consapevole; perciò metteva il giocatore in situazioni a volte soverchianti ma nelle quali gli era comunque possibile gestire le proprie risorse, proprio grazie alla presenza di nemici lenti (o grossi a sufficienza da poter essere seguiti senza difficoltà) e adeguati alla limitatezza delle meccaniche. Alisa, che per il fatto stesso di arrivare trent’anni dopo ed essere un omaggio ha tutti gli esempi possibili da seguire, fallisce in quello che dovrebbe essere l’aspetto principale. Garantire un corretto equilibrio tra la dinamica survival e l’ambiente in cui il gioco prende vita, con tutto ciò che ne deriva.
Se a questo aggiungiamo che gli ingranaggi sono fondamentali per l’acquisto tanto di risorse come proiettili, medikit e costumi (ciascuno con i propri vantaggi) quanto di armi essenziali per proseguire con maggior scioltezza, diventa ancora più chiaro come sia la gestione del gunplay in fase di mira assistita sia le scelte prese per i nemici giochino tutte a sfavore dell'esperienza soprattutto nelle fasi iniziali. Non che andando avanti migliori, dati i nemici subdoli che incontreremo. La loro varietà sarebbe pure apprezzabile, se non cozzasse con il resto.
Nel tentativo di aggiungere quanto più di Resident Evil possibile troviamo anche una creatura unica sotto forma di grossa bambola vestita a lutto, che appare a caso (se ne può intuire la presenza dal cambio di musica) e se ci prende è morte sicura. Senza possibilità di appello. Considerate le inquadrature fisse, il fatto che possa presentarsi anche in corridoi stretti da cui è pressoché impossibile sfuggirle, nonché i salvataggi manuali vecchio stile e “a pagamento” (costano un ingranaggio) per capire come, di nuovo, l’impianto scricchioli. Un nemico di questa portata, con le difficoltà del caso e la frustrazione che ne deriva specie al primo incontro quando non sappiamo di poter morire in un colpo solo, è di nuovo una scelta che non fa un favore al gioco, tutt’altro. L’idea che emerge, giocando ad Alisa, è quella di un titolo nel quale si è voluto mettere di tutto e di più senza tenere conto dei trent’anni durante i quali sono state provate diverse soluzioni da cui si sarebbe potuto - e dovuto - imparare.
Nulla da dire sugli enigmi, piacevoli e a volte elaborati il giusto, che richiamano bene quelli dell’epoca. La stessa struttura della villa, con le sue aree sbloccabili a mano a mano tramite chiavi e una mappa bene o male di facile lettura, allinea l’esperienza a quelle cui si ispira. Le boss fight non mi sono sembrate molto ispirate, anzi alcune cadevano di nuovo nell’inutile frustrazione che a oggi si potrebbe benissimo evitare. L'inventario all’inizio può sembrare macchinoso ma con un po’ di pratica si prende l’abitudine.
Il vero peccato di Alisa alla fine, e ciò che mi impedisce di salvarlo, è in una delle colonne portanti del genere: il gunplay e la conseguente gestione delle risorse, aggravato da una mira assistita mal implementata e inspiegabilmente punitiva se viene scelto di applicarla. Combinato con un monster design interessante dal punto di vista estetico ma fuori fuoco all’atto pratico, perché mal si sposa con gli inciampi del gameplay, va a creare un’esperienza inutilmente frustrante, che poteva essere gestita in modo ben diverso proprio in virtù di tutti gli esempi a cui guardare.