Amy
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Pochi mesi fa avevamo assistito al ritorno del grande Eric Chahi (creatore di Another World) con il suo nuovo From Dust, bizzarro ed evocativo mix tra puzzler e god-game. Stavolta siamo alle prese con la rentreé del suo caro compagno di merende Paul Cuisset, suo stretto collaboratore alla Delphine Software e responsabile del mai troppo lodato Flashback. A distanza di così tanti anni, il buon Paul ritorna ma con un titolo di tutt'altro genere: dalla fantascienza si passa all'horror, stavolta con un approccio decisamente singolare e in controtendenza.
Amy é infatti un “gioco di zombi” come detta il trend attuale, ma a parti invertite. Vestiremo infatti i panni di Lana, una scienziata in fuga che rischia di essere tramutata pian piano in un cadavere semovente con la mente obnubilata. L'unica sua speranza é quella di restare vicino alla piccola Amy, una bambina con dei poteri speciali che lei stessa ha fatto fuggire da un centro di ricerca. Tra i vari prodigi di cui é portatrice sana, la bimba é immune al virus zombesco ed é in grado di guarire le persone, di conseguenza la sua semplice vicinanza é sufficiente ad evitare che Lana diventi una salma assassina. L'idea di base é geniale e già da questa premessa possiamo immaginare come si presti a situazioni di gioco ansiogene, dove i due personaggi vengono separati e devono riunirsi al più presto per evitare una terribile fine di entrambi. Inoltre l'intero concept potrebbe anche essere una metafora della dipendenza di un figlio dal genitore e viceversa, e di come la semplice esistenza di un bambino sia in grado di elevare il genitore stesso rendendolo una persona migliore.
Ma come si traduce tutto ciò nel gameplay vero e proprio? Purtroppo non bene. La lunga lontananza di Cuisset dal mondo dei videogiochi (escludendo prodotto minori come Mr Slime Jr) purtroppo si sente, e ciò che abbiamo tra le mani é un titolo che ricalca la vecchia scuola dei survival horror, ma solo negli aspetti peggiori ed ormai superati. Da Resident Evil e Silent Hill, Amy riprende tanto l'interfaccia antidiluviana quanto la legnosità di controlli e movimenti, rendendo la deambulazione lenta ed imprecisa. Gli stessi combattimenti con armi contundenti ricalcano pedissequamente lo stile dei primi Silent Hill, dove questo rappresentava senz'altro l'aspetto peggiore del gioco: la lentezza nel caricare e portare a segno i colpi é un qualcosa che può funzionare in un contesto ansiogeno,
ma risulta tutt'altro che divertente, oltre a stonare in un quadro di gameplay dove la tensione latita.
Infatti uno dei difetti peggiori di Amy, fatale per un titolo horror, e che non mette assolutamente paura. Gli zombi sembrano fantocci innocui in ambienti vuoti, ed anche le situazioni teoricamente più concitate o tensive si risolvono in una bolla di sapone. La deambulazione é inframmezzata da “effetti bù” (o “cheap scares” che dir si voglia) davvero banali e ridicoli come tubi che sbuffano, porte che sbattono o pannelli elettrici che fanno scintille. Di positivo c'é che in alcune aree il numero e la posizione degli zombie varia casualmente. Peccato che tali nemici non siano assolutamente una minaccia ma si muore improvvisamente per altri motivi, praticamente scriptati e da memorizzare; inoltre i checkpoint sono molto distanti tra loro e se si schiatta bisogna rifarsi delle porzioni di gioco lunghe e spesso tediose, cosa che in certe sezioni accade spesso e volutamente. Tale aspetto é probabilmente ciò che farà abbandonare Amy a una buona fetta di giocatori, visto che da anni non si vede un gioco così inutilmente frustrante nonostante la bassa sfida proposta. Per la cronaca, gli inevitabili confronti con il valido Dark Souls sono assolutamente fuori luogo.
In sostanza il tutto si riduce ad avanzare tra fasi stealth e combattimenti risolvendo semplici enigmi ambientali e non (ascensori, pulsanti casse, barriere da abbattere, c'é persino una sorta di Mastermind), evitando di stare troppo tempo lontano dalla bimba mentre la spediamo a premere interruttori o la facciamo nascondere da qualche parte. Ma il tutto é presentato nella maniera più scomoda ed antidiluviana concepibile, in uno svolgimento estremamente lineare e scontato dove però gli obbiettivi non sono mai chiari ed il giocatore é costretto a girare a vuoto o morire numerose volte senza preavviso prima di capire come avanzare. Tra controlli viscidi, level design banale e punti in cui si deve per forza morire e rifarsi grosse porzioni di gioco (il modo peggiore di strutturare delle meccaniche trial & error) l'offerta “giocosa” di Amy risulta misera e datata nel complesso. Per allungare il brodo poi, sono state persino inserite delle discutibili fasi in cui bisogna setacciare gli ambienti in cerca di “tracce di DNA” per poter sbloccare delle porte, una trovata davvero fastidiosa e ridondante che sebbene allunghi il gioco (il quale dura circa 8 ore stiracchiate) é deleteria per una giocabilità già carente di suo.
La realizzazione tecnica é piuttosto scarsa, in particolare per quanto riguarda questa edizione PS3: oltre al vistoso tearing già presente su 360 abbiamo anche un aggiornamento video inferiore, che soprattutto nelle prime fasi di gioco e nelle aree più ampie fa scattare visibilmente il gioco rendendolo fastidioso da fruire. A ciò aggiungiamo una scarsa qualità d'immagine (colpa probabilmente della palette e della gestione dei colori) ed alcune texture meno definite. Ma oltre ai difetti specifici di questa versione PSN, ci sono anche delle tare congenite a livello visivo: modelli ed animazioni scarsi per gli standard attuali, ambienti scarni e squadrati, adornati da texture monotone e poco convincenti. Il sonoro ci offre un sound design di alto livello, con buone musiche e suoni ambientali tanto ben fatti quanto immersivi. La nota dolente però é il doppiaggio inglese, piuttosto scadente sia nei testi che nella recitazione. Tra l'altro pare quasi che Lana ed Amy siano telepatiche, visto che la prima é in grado di impartire ordini alla piccola senza proferire parola. Probabilmente si tratta dello stesso potere che ha fatto sparire il playtesting durante la realizzazione del gioco.
Amy é infatti un “gioco di zombi” come detta il trend attuale, ma a parti invertite. Vestiremo infatti i panni di Lana, una scienziata in fuga che rischia di essere tramutata pian piano in un cadavere semovente con la mente obnubilata. L'unica sua speranza é quella di restare vicino alla piccola Amy, una bambina con dei poteri speciali che lei stessa ha fatto fuggire da un centro di ricerca. Tra i vari prodigi di cui é portatrice sana, la bimba é immune al virus zombesco ed é in grado di guarire le persone, di conseguenza la sua semplice vicinanza é sufficiente ad evitare che Lana diventi una salma assassina. L'idea di base é geniale e già da questa premessa possiamo immaginare come si presti a situazioni di gioco ansiogene, dove i due personaggi vengono separati e devono riunirsi al più presto per evitare una terribile fine di entrambi. Inoltre l'intero concept potrebbe anche essere una metafora della dipendenza di un figlio dal genitore e viceversa, e di come la semplice esistenza di un bambino sia in grado di elevare il genitore stesso rendendolo una persona migliore.
Ma come si traduce tutto ciò nel gameplay vero e proprio? Purtroppo non bene. La lunga lontananza di Cuisset dal mondo dei videogiochi (escludendo prodotto minori come Mr Slime Jr) purtroppo si sente, e ciò che abbiamo tra le mani é un titolo che ricalca la vecchia scuola dei survival horror, ma solo negli aspetti peggiori ed ormai superati. Da Resident Evil e Silent Hill, Amy riprende tanto l'interfaccia antidiluviana quanto la legnosità di controlli e movimenti, rendendo la deambulazione lenta ed imprecisa. Gli stessi combattimenti con armi contundenti ricalcano pedissequamente lo stile dei primi Silent Hill, dove questo rappresentava senz'altro l'aspetto peggiore del gioco: la lentezza nel caricare e portare a segno i colpi é un qualcosa che può funzionare in un contesto ansiogeno,
ma risulta tutt'altro che divertente, oltre a stonare in un quadro di gameplay dove la tensione latita.
Infatti uno dei difetti peggiori di Amy, fatale per un titolo horror, e che non mette assolutamente paura. Gli zombi sembrano fantocci innocui in ambienti vuoti, ed anche le situazioni teoricamente più concitate o tensive si risolvono in una bolla di sapone. La deambulazione é inframmezzata da “effetti bù” (o “cheap scares” che dir si voglia) davvero banali e ridicoli come tubi che sbuffano, porte che sbattono o pannelli elettrici che fanno scintille. Di positivo c'é che in alcune aree il numero e la posizione degli zombie varia casualmente. Peccato che tali nemici non siano assolutamente una minaccia ma si muore improvvisamente per altri motivi, praticamente scriptati e da memorizzare; inoltre i checkpoint sono molto distanti tra loro e se si schiatta bisogna rifarsi delle porzioni di gioco lunghe e spesso tediose, cosa che in certe sezioni accade spesso e volutamente. Tale aspetto é probabilmente ciò che farà abbandonare Amy a una buona fetta di giocatori, visto che da anni non si vede un gioco così inutilmente frustrante nonostante la bassa sfida proposta. Per la cronaca, gli inevitabili confronti con il valido Dark Souls sono assolutamente fuori luogo.
In sostanza il tutto si riduce ad avanzare tra fasi stealth e combattimenti risolvendo semplici enigmi ambientali e non (ascensori, pulsanti casse, barriere da abbattere, c'é persino una sorta di Mastermind), evitando di stare troppo tempo lontano dalla bimba mentre la spediamo a premere interruttori o la facciamo nascondere da qualche parte. Ma il tutto é presentato nella maniera più scomoda ed antidiluviana concepibile, in uno svolgimento estremamente lineare e scontato dove però gli obbiettivi non sono mai chiari ed il giocatore é costretto a girare a vuoto o morire numerose volte senza preavviso prima di capire come avanzare. Tra controlli viscidi, level design banale e punti in cui si deve per forza morire e rifarsi grosse porzioni di gioco (il modo peggiore di strutturare delle meccaniche trial & error) l'offerta “giocosa” di Amy risulta misera e datata nel complesso. Per allungare il brodo poi, sono state persino inserite delle discutibili fasi in cui bisogna setacciare gli ambienti in cerca di “tracce di DNA” per poter sbloccare delle porte, una trovata davvero fastidiosa e ridondante che sebbene allunghi il gioco (il quale dura circa 8 ore stiracchiate) é deleteria per una giocabilità già carente di suo.
La realizzazione tecnica é piuttosto scarsa, in particolare per quanto riguarda questa edizione PS3: oltre al vistoso tearing già presente su 360 abbiamo anche un aggiornamento video inferiore, che soprattutto nelle prime fasi di gioco e nelle aree più ampie fa scattare visibilmente il gioco rendendolo fastidioso da fruire. A ciò aggiungiamo una scarsa qualità d'immagine (colpa probabilmente della palette e della gestione dei colori) ed alcune texture meno definite. Ma oltre ai difetti specifici di questa versione PSN, ci sono anche delle tare congenite a livello visivo: modelli ed animazioni scarsi per gli standard attuali, ambienti scarni e squadrati, adornati da texture monotone e poco convincenti. Il sonoro ci offre un sound design di alto livello, con buone musiche e suoni ambientali tanto ben fatti quanto immersivi. La nota dolente però é il doppiaggio inglese, piuttosto scadente sia nei testi che nella recitazione. Tra l'altro pare quasi che Lana ed Amy siano telepatiche, visto che la prima é in grado di impartire ordini alla piccola senza proferire parola. Probabilmente si tratta dello stesso potere che ha fatto sparire il playtesting durante la realizzazione del gioco.