Anthem
Fin dalla sua prima apparizione, in occasione dell’E3 del 2017, Anthem è stato capace di attirare un’enorme attenzione, coinvolgendo un pubblico molto eterogeneo. L’impatto visivo offerto alla sua presentazione è uno dei motivi di tale carisma, ma di certo non l’unico. Anthem può essere inteso come la somma delle esperienze di BioWare che s’incarnano in un concept ludico rodato (dai vari Destiny, The Division e Warframe), quello degli shooter cooperativi basati sul looting.
Su Anthem c’è la curiosità del giocatore meno giovane che ha amato i fasti di un Baldur’s Gate; quella di chi ha visto certe idee incarnarsi nella serie Action-RPG Dragon Age; di chi ha amato la svolta sci-fi del team canadese con Mass Effect; di coloro che nel semi-fallimento di Mass Effect: Andromeda hanno visto una software house distratta, dedicarsi a un progetto più grande, Anthem appunto.
A questi aggiungiamo i fan degli sparatutto co-op e perfino chi è rimasto affascinato dal poter volare con un’exosuit in stile Iron-Man, in ambientazioni che lasciano percepire un’influenza perfino di Star Wars (ricordiamo che nel curriculum di BioWare c’è anche Star Wars: Knights of the Old Republic).
Ergo, Anthem e la sua essenza science-fantasy, sono senza alcun dubbio suadenti. Non sempre, però, ciò che affascina effettivamente piace una volta che ci si ha a che fare… È un po’ come quando si è attratti da un bel ragazzo/a e poi, conoscendolo/a, ci si rende conto che manca la “chimica”.
Cosa proviamo per il nuovo Tripla A di BioWare? È finalmente arrivato il momento di indossare il Javelin e di definire il nostro “sentimento”.
Il potere dell’Inno
Siamo soliti separare le esperienze singleplayer da quelle in multigiocatore online… e non per scelta nostra. Di norma, un prodotto che permette agli utenti di “incontrarsi” in rete punta fortemente sull’immediatezza ludica: si impugna il controller e si entra subito in azione, che si tratti di competitivo o di cooperativo.
Dall’altra parte, troviamo avventure da vivere in solitaria, in cui il giocatore non assiste inerte al racconto proposto, ma lo porta avanti, da unico protagonista, fino all’epilogo.
Altri titoli che comprendono le due modalità, ad esempio un The Last of Us o un Gears of War (la par-condicio ci imponeva di inserire un’esclusiva per parte -NdR-), proponevano una netta distinzione tra il “viaggio emotivo” della componente narrativa e le game-mode in multiplayer, offrendo, di fatto, due giochi differenti in uno. Tra questi vi sono poi gli shooter che, salvo alcune eccezioni piacevoli (come un Wolfenstein o un Doom) hanno sempre più spesso privilegiato l’intrattenimento online, arrivando addirittura a eliminare totalmente la cosiddetta “Campagna”, come nel caso della serie Call of Duty con Black Ops 4.
Raccontare una storia e farlo in modo mai banale è, però, una prerogativa del modus operandi di BioWare. Anthem, quindi, non poteva uscire totalmente dagli schemi del team con sede a Edmonton: se Bungie con Destiny aveva già dimostrato la funzionale simbiosi delle due modalità, BioWare porta il tutto ad un livello più alto denotando un’attenzione importante rivolta alla creazione del background narrativo.
Nonostante sia basato sull’esperienza condivisa con altri giocatori e sul poco amato always-online, Anthem contestualizza il tutto attraverso una storia più elaborata di quelle proposte dai “colleghi”, ricca di dettagli e di linee di dialogo… In sostanza Anthem prova anche ad essere un INNO al racconto.
Ci riesce? Non completamente: siamo lontani dalle vette narrative raggiunte dal team. C’è da ammirare il lavoro certosino fatto con il Cortex, ovvero un’enciclopedia digitale che racconta, in modo preciso e dettagliato, l’universo di gioco tramite testi (spesso rappresentati da collezionabili sparsi per le ambientazioni). Sul lato “lore”, quindi, niente da eccepire, anzi il tutto è piuttosto affascinante.
Per quanto riguarda la sceneggiatura però, si ha a che fare con una “novella” discreta ma non eccezionale che inizia forte e si perde tra cliché e cali di ritmo (questi dovuti prevalentemente alla struttura ludica).
Gli “Dei”, attraverso il potere dell’Inno, hanno forgiato il Mondo lasciandolo inspiegabilmente incompleto. Per questo motivo l’umanità è costretta a fronteggiare continui cataclismi di varia natura. Nelle Rovine dei Creatori, Antichi Manufatti, alimentati da una forza che non può essere controllata, continuano a “Vomitare Bestie” (cit.) che minano la sopravvivenza del genere umano. Per fronteggiare tutto ciò gli antenati costruirono Città con Grandi Mura e gli Strali, eredità raccolta da un gruppo di combattenti valorosi, gli Specialisti.
La sequenza introduttiva in CGI è di grande fascino e si alterna con fasi di gameplay che fungono da tutorial. È così presentato il/la protagonista, un giovane pilota di Javelin impegnato in una missione impossibile: silenziare il Cuore della Furia, un temibile cataclisma dell’Inno collegato all’artefatto Cenotafio.
Senza volervi rovinare l’esperienza con inutili spoiler, vi anticipiamo che gli eventi effettivi del racconto si svolgono a due anni di distanza da quanto anticipato sopra, in un contesto nel quale il genere umano ha perso fiducia negli Specialisti, un tempo considerati veri Eroi, ora alla stregua di mercenari.
Tra missioni principali e secondarie, dialoghi a scelta multipla tra le mura di Fort Tarsis (poco entusiasmanti) e diverse fazioni coinvolte, il plot vive di alti e bassi, con momenti coinvolgenti che si alternano ad altri troppo blandi, quasi “forzati”, ripetitivi, atti semplicemente a introdurre le sequenze pad alla mano nel mondo esterno (vi verrà quasi voglia di skipparli -NdR-).
Di certo non si tratta del racconto più memorabile del panorama videoludico, comprensibilmente distante, in quest’ottica, da opere solamente improntate sul singleplayer ma, nel complesso, riteniamo la story-line di Anthem buona, sicuramente più avvincente di altre proposte del genere shooter a mondo condiviso.
Conferme sul volo magiStrale… ma anche sulle problematiche
Il primo step è la creazione dell’avatar attraverso un editor poco elaborato che permette di indicare il proprio nickname, di optare tra sesso maschile o femminile e di definire la propria estetica scegliendo tra un numero esiguo di modelli pre-impostati.
Come vi abbiamo detto in sede di “Anthemprima” il gioco separa la fase di preparazione nell’HUB centrale, rappresentato da Fort Tarsis, da quella nel mondo condiviso al di fuori delle mura.
La prima (in first-person) include tutto ciò che è inerente al rapporto con i PNG, attraverso dialoghi che offrono una minima possibilità di scelta (risposta A o B, per intenderci): a questo sono collegati il “punteggio alleanze” (permette di ottenere maggiori bonus al termine delle missioni) e, soprattutto, l’attivazione delle quest principali e secondarie.
Sempre tra le mura è possibile accedere al Deposito dell’Equipaggiamento (per gestire i frutti del looting), ai Mercanti (ad esempio Prospero che permette di utilizzare materiali per la cosmesi dell’esoscheletro) e alla Fucina, officina vera e propria del Javelin, dove impostare armamentario, equipaggiamento, abilità ed estetica prima del lancio.
Le quattro categorie di Strali non sono tutte a disposizione fin da subito ma vengono sbloccate gradualmente progredendo di livello (la seconda al raggiungimento dell'ottavo "gradino"). Si inizia, quindi, scegliendo attentamente tra Guardiano, Colosso, Intercettore e Tempesta. Le differenze tra caratteristiche, abilità e configurazioni sono nette e non c’è una “classe” che sovrasta in efficienza le altre: molto dipende dalle esigenze del pilota e dal suo stile di gioco.
La più immediata e accessibile è di certo la prima: l’exosuit Guardiano, la stessa proposta nelle fasi del tutorial iniziale, permette di gettarsi nella mischia senza troppi patemi d’impostazione.
Lo Strale Colosso è di tipo “Tank”, resistente e dotato di artiglieria pesante.
L’Intercettore, rapido e maneggevole non ha grande difesa ma ha particolari doti per il combattimento ravvicinato visti i tempi ridotti di cool-down dell’attacco corpo a corpo.
L’armatura che abbiamo trovato più “over-power” (e divertente) è Tempesta (notate bene, è un discorso piuttosto soggettivo -NdR-): utilizza abilità uniche ottenute “catalizzando” l’energia dell’Inno e possiamo ritenerlo il corrispondente di una “classe mago” in un fantasy-RPG; può, inoltre, volare più a lungo.
Pur non essendo fondamentale al fine di un buon esito di una missione, il combat-system spinge fortemente verso la cooperazione e, per questo, premia notevolmente le combo realizzate concatenando attacchi di tipo differente. Ne consegue che un team più eterogeneo possa essere in grado, con le dovute sinergie, di causare un danno maggiore all’avversario di turno, con una più elevata probabilità di successo negli scontri.
Come già dimostrato dalla versione dimostrativa, il gameplay di Anthem ha il suo maggior pregio nel sistema di volo: visivamente spettacolare e dinamico, s’incarna in una mappatura comandi ottimale, quasi immediata.
Al pulsante X (Piattaforma Sony) /A (Piattaforma Microsoft) è affidato il salto (o doppio salto) e, mentre si è in aria, con la semplice pressione dell’analogico destro e sinistro si attivano i propulsori, rispettivamente per rimanere in “sospensione” o per il volo vero e proprio. Il resto è assolutamente intuitivo, con velocità e direzione gestite dalle due levette.
Inoltre, è evidente come la meccanica sia stata pensata per interagire il più possibile con un ampio mondo di gioco che si sviluppa tanto in orizzontale quanto in verticale (perfino nelle profondità marine): giusto per farvi un esempio, lo Strale si surriscalda e spinge il pilota ad attraversare zone di raffreddamento, come cascate e corsi d’acqua, così da prolungare i tempi di funzionamento della tuta.
Per quanto riguarda lo shooting il prodotto è piuttosto arcade, più improntato sul dinamismo di scontri frenetici che sui dettami della balistica e della fisica in generale. Le bocche da fuoco si differenziano in base ai classici parametri di danno, gittata, precisione, cadenza etc., alcune sono utilizzabili da precisi Strali, ma, nel complesso, sono meno divertenti e utili di tutto il resto. Ci si ritrova, spesso e volentieri, ad affidarsi a pistole, fucili e mitragliatrici solo nei tempi di ricarica delle abilità speciali.
Questo per via di una gestione dell’IA nemica abbastanza approssimativa che, anche nella versione finale del codice, ripropone i problemi riscontrati nella Beta/Demo. Gli avversari compaiono in massa in zone circoscritte, spesso limitandosi a colpire da punti fissi e permettendo al player di utilizzare l’ambientazione per farsi scudo, ricaricare le skills più efficaci e far capolino per un attacco ben più devastante di una “banale” raffica di colpi d’arma da fuoco. Nonostante, quindi, il gunplay offra un buon feeling, si è incentivati a sfruttarlo meno di quanto previsto da un media di questa tipologia.
A questo si unisce la problematica della ripetitività: ad eccezione di alcuni momenti in cui si è impegnati in fasi esplorative, semplici sezioni puzzle-solving e boss-fight ostiche, la maggior parte delle missioni consiste nell’eliminare orde di nemici. Precisiamo che, visto il genere di appartenenza del gioco, non ci sarebbe nulla di male ai fini del looting; il tutto diventa meno piacevole, però, quando la varietà dei nemici è scarsa e si vola da un punto all’altro della mappa per avere a che fare con avversari pressoché identici e poco arguti.
Per quanto riguarda l’offerta ludica, al di fuori di Fort Tarsis ci si può dedicare anche al “gioco libero”, selezionando il Vettore (una sorta di Camminatore di Star Wars) nella mappa proposta nella schermata pre-lancio. Si tratta di una game-mode ideale sia per l’esplorazione delle ambientazioni che per la raccolta di materiali utili al crafting (alcune missioni richiedono proprio di cimentarsi nel “gioco libero”).
Le Roccaforti, invece, più complesse, permettono a quattro utenti di affrontare orde di avversari fino allo scontro finale. Tutto questo è ovviamente basato sul sistema sfida/ricompense con un bottino tanto più prestigioso quanto più complessa è la missione.
Sono inspiegabili alcune scelte relative alla gestione delle mappe e dei punti d’interesse, sia durante le fasi nell’Hub Centrale che in quelle nel mondo esterno. A causa di un’interfaccia non chiarissima è difficile capire quale missione si sta seguendo ed è impossibile impostare un segnalatore che ci indichi la giusta direzione da seguire.
Non è concesso, inoltre, nessun tipo di viaggio rapido (sarebbe necessario sempre raggiungere di nuovo la zona di lancio, sorbendosi interminabili caricamenti) e alcune missioni si attivano automaticamente mentre si è intenti a raggiungere l’obbiettivo, costringendo il pilota a modificare la tabella di marcia;
Nel complesso, la qualità ludica di Anthem è buona: si tratta di uno shooter a mondo condiviso basato su un valido sistema di looting, divertente, adrenalinico ma, allo stesso tempo, penalizzato da scelte discutibili, imprecisioni e problematiche (già evidenziate nelle versioni di prova) che non ci consentono di apprezzarlo nella sua totalità.
Restano ovviamente le incognite legate al post end-game e al supporto futuro di cui, per ovvi motivi, non possiamo ancora parlarvi.
Bello da vedere ma non altrettanto efficiente
Al netto di un più che ovvio downgrade rispetto a quanto mostrato nelle sue prime apparizioni, Anthem gode di un colpo d’occhio incredibile. Fin dalle iniziali fasi di tutorial l’estetica è convincente sia sul piano artistico che nel comportamento del motore di gioco di proprietà di DICE. Il Frostbite, per lo meno inizialmente, sembra lavorar bene sull’enorme mole poligonale, sulla gestione dell’illuminazione e sull’effettistica. Il mondo di gioco, le sue variazioni cromatiche, i suoi dettagli convincono pienamente.
Un plauso va fatto al level-design, ottimo per quanto concerne le ambientazioni in esterna, con buona profondità e dettaglio anche per le zone interne. In entrambi i casi i ragazzi di BioWare sono riusciti nel dare estensione orizzontale e verticalità plausibili, con una logica in termini di gameplay.
È sul lato delle prestazioni che, però, il prodotto arranca. Superate le “illusorie” missioni tutorial, dove tutto sembra girare in modo preciso e fluido, ci si scontra con la realtà dei fatti: il frame-rate soffre tantissimo, sia su One X sia su One S (versioni da noi testate) con evidenti fenomeni di pop-up poco trascurabili e altri di screen-tearing che accompagnano le svolazzate “a bordo” dello Strale.
Ci sono, inoltre, diversi bug che non risparmiano nemmeno le fasi di combattimento: ci siamo trovati più volte a sparare nemici che scomparivano nel nulla (o subire attacchi da altri che apparivano improvvisamente), abbiamo visto avversari incastrarsi nelle ambientazioni e muoversi con una fisica poco sensata.
La nostra esperienza di gioco è stata minata anche da molteplici disconnessioni dal server mentre eravamo in missione, costringendoci a ripetere dall’inizio, addirittura da Fort Tarsis, quanto già fatto. Problematica resa più “nociva” da caricamenti troppo frequenti e certamente non brevi (sembra che tali tempistiche verranno ridotte attraverso la patch di day-one).
La qualità visiva, infine, perde fascino nelle sequenze di dialogo. A causa della visuale in prima persona, le scelte registiche impongono al giocatore di osservare l’interlocutore “faccia a faccia”, evidenziando come le animazioni in generale, ma soprattutto quelle facciali, non siano all’altezza del resto della produzione.
Il sonoro è, invece, degno di lode: soundtrack da cinecomics e un’ottima effettistica, così come il doppiaggio in lingua nostrana, accompagnano l’avventura dei piloti in modo ottimale.