Atlas Fallen – Il Potere del Deserto – Recensione PC
Deck13 ci propone un'avventura post-apocalittica dai poteri divini
Il mondo dei videogiochi è estremamente vasto. Lo scaffale dedicato alle offerte del settore pullula di tantissimi titoli coinvolgenti, ognuno pronto a enfatizzare diverse caratteristiche, a seconda del genere in cui gli sviluppatori di riferimento hanno deciso di incasellarlo: il gameplay ha da sempre avuto un ruolo di primordine, tant’è che alla fine videogiocare si può tradurre nella semplice pratica del “mettersi in gioco”, pad o tastiera alla mano, la scelta è vostra.
Tuttavia, ed è un fenomeno sempre più discusso che onestamente apprezzo, soprattutto ragionando nei termini del “mio” modo di affrontare un videogioco (ed è bello che ce ne siano tanti e diversi), anche la narrazione ha acquistato nel corso degli anni un ruolo centrale nel processo di creazione di un videogioco.
Oltre alle sfide, agli enigmi e alle emozioni scaturite dal gameplay, una storia ben sviluppata e coinvolgente può trasformare l'esperienza di gioco in un'avventura straordinaria, portando il giocatore a sentirsi parte integrante del mondo virtuale.
Questo preambolo serviva come base per introdurvi Atlas Fallen, action in terza persona sviluppato da Deck13, che poi sono gli stessi di The Surge tanto per capirci, ambientato in un mondo post-apocalittico di stampo fantasy completamente ridotto in polvere.
Atlas Fallen – L’Oracolo me l’aveva detto!
È un colpo basso, me ne rendo conto. Ma quello che emerge da Atlas Fallen è un po’ quello che troviamo nel più classico cammino dell’eroe, meglio definito da un iter narrativo piuttosto utilizzato in cui il protagonista, facente spesso parte di una minoranza soggiogata da un tiranno malvagio, si ritrova per caso a diventare per l’appunto l’eroe.
Qui avviene grazie al ritrovamento di una reliquia, un guanto che racchiude al suo interno la forza di un dio, Nyaal, che in tempi remoti si è scontrato con Thelos riducendo il mondo a una vera e propria distesa desertica (o quasi).
La parte iniziale, che funge come il più classico dei tutorial, ci introduce al mondo di gioco istruendoci non solo sulle difficoltà che la popolazione sta affrontando, ma anche su quella che sembra essere una netta separazione tra una classe sociale, quella dei Senza Nome, e l’altra, rappresentata dai cavalieri che difendono la Regina.
Grazie a questo espediente avremo modo di affrontare diverse situazioni create ad hoc per assottigliare sempre più questo divario, poiché andando avanti scopriremo non solo informazioni preziose su Nyaal e Thelos, ma anche informazioni sull’intero background del mondo di gioco.
L’open-world creato dagli sviluppatori è ricco di attività da svolgere, e bisogna ammettere che presenta una struttura abbastanza contenuta, permettendo quindi a noi giocatori di non soffrire troppo quella dispersione da mondo grande quanto vuoto. Mentre si gioca si ha la sensazione di sentirsi parte di questo mondo, il che è un pregio a mio avviso, e si rivela un certo piacere anche nel girarlo, grazie alla meccanica di slide inserita che ci fa letteralmente scivolare sulla sabbia per spostarci da un posto a un altro.
Concludendo sull’esplorazione, i poteri del guanto di Nyaal conferiscono anche la possibilità di sollevare elementi dello scenario da sottoterra e di fare un glide in aria, fattori che sfrutteremo nel corso dell’avventura e che supporteranno anche un fattore di backtracking necessario qualora saremo propensi a scoprire ogni segreto del gioco. Esiste infine anche un fattore di frantumazione potenziata, che viene chiaramente incastonato all’interno della trama al fine di superare determinati ostacoli al momento giusto della narrazione.
Atlas Fallen – Frenetico al punto giusto
Come scritto poc’anzi, Atlas Fallen ci mette nei panni di un Senza Nome, un personaggio che si ribella alla sua stessa condizione per difendere non solo sé stesso, ma anche tutti quelli nella sua stessa condizione, e per farlo sfrutta i poteri del guanto di Nyaal, una reliquia estremamente potente soprattutto quando riusciremo a potenziarla a dovere.
Il funzionamento del guanto, in termini meramente tecnici, riprende fedelmente meccaniche già viste in passato: grazie alla sua forma sabbiosa può disgregarsi e trasformarsi in tre armi differenti, ovvero una frusta, un’ascia e dei pugni. Come i più avvezzi al genere staranno immaginando, questa tipologia garantisce al giocatore la possibilità di approcciare ai nemici seguendo un moveset differente.
La frusta chiaramente sfrutta attacchi a medio raggio, l’ascia può trasformarsi anche in un martello ed è piuttosto distruttiva corpo a corpo, mentre invece i pugni garantiscono una maggiore velocità d’azione, soprattutto quando potenziate a dovere. Non si tratta però di un potenziamento alla vecchia maniera, ma più di un potenziamento passivo che si attiva ogni qualvolta finiremo in uno scontro.
Il nostro alter ego è infatti dotato di una barra impeto e quest’ultima viene incrementata durante il combattimento, a seconda dei colpi sferrati ai nemici. A seconda degli step riempiti, verranno attivate delle rune che miglioreranno la nostra efficacia sul campo. A noi l’arduo compito di selezionare il loadout, fattore che garantisce un discreto livello di personalizzazione, soprattutto considerando che esistono diverse tipologie di rune, alcune dedicate all’attacco, altre alla difesa o alla cura e così via. Nei tre livelli disponibili sarà possibile incastonare un totale di rune predeterminate, e gli slot potranno essere sbloccati agli altari consumando essenze, una delle valute presenti nel gioco insieme al vile denaro.
Alcune di queste rune invece servono per selezionare le abilità attive, le quali verranno poi incastonate nel pannello di interfaccia sullo schermo e richiamabili premendo la classica sequenza di tasti prescelta a seconda delle impostazioni. Atlas Fallen propone un sistema di gameplay piuttosto frenetico, comunque ben supportato da componenti da gioco di ruolo basiche ma allo stesso tempo efficaci, capaci insomma di renderlo piacevole nella sua interezza.
Ultima ma non per importanza la dotazione degli idoli, principalmente altre rune che si possono incastonare nel guanto e offrono vantaggi passivi, come una migliore rigenerazione dell’idolo, necessario per curarsi, oppure un bonus ad alcune tipologie di attacchi e così via. Fa inoltre piacere constatare che il moveset dei nemici offre un livello di sfida intrigante già da subito, sebbene si sia scelto per la nostra run di optare per una difficoltà standard e non troppo sfidante.
Atlas Fallen – Il fascino delle sabbie
Guardando l’ambientazione ci si accorge che in casa Deck13 si è deciso di fare le cose fatte bene, soprattutto nel ricreare un mondo da zero con tutte le sue sfaccettature. Al netto di quello che può piacere o meno, perché alla fine i gusti hanno sempre un loro peso nelle scelte di ognuno di noi, bisogna comunque ammettere che Atlas Fallen mantiene un certo fascino nella sua resa scenica visiva.
Le dune desertiche di questo mondo lasciano a volte spazio a scorci boschivi ben realizzati, presentati insomma con lo scopo di farci capire che il mutamento in atto non ha coinvolto tutto il mondo, ma solo alcune parti di esso. Le città e gli accampamenti mostrano un certo livello di distruzione, giustificato da una storia che ha visto numerose battaglie tra schieramenti per il dominio sul luogo, e in un certo senso si apprezza anche la capacità di realizzare ambientazioni più spoglie, pensate per sottolineare il degrado in cui vivono i Senza Nome.
Settando le impostazioni al massimo sulla nostra configurazione (laptop con RTX 3070) abbiamo potuto goderci un discreto spettacolo per gli occhi, soprattutto considerando le texture che rivelano degli scorci davvero ben realizzati. A soffrire in questo caso è stata la stabilità del framerate, non proprio in linea con quello che si vorrebbe da un gioco di stampo action, dato che nelle fasi più concitate non si è mai superato un valore al di sopra dei 45/50 FPS.
Sottolineiamo il fatto che le impostazioni erano tutte al massimo, questo perché giocando con le impostazioni, soprattutto tra ombre, anti-aliasing, vegetazione e profondità di campo è possibile salire raggiungendo i fantomatici 60 FPS fissi, senza dover rinunciare a moltissimo della qualità visiva tanto agognata grazie alle nuove tecnologie. Buono il doppiaggio, meno la colonna sonora, e per gli amanti della lingua italiana, sappiate che il titolo è localizzato almeno sul fronte testuale.