Atomfall, la recensione: l'apocalisse tutta Inglese di Rebellion

Un viaggio tra foreste contaminate, culti pagani e telefoni che sanno troppo, in un’Inghilterra post-nucleare dove il vero nemico è l’incertezza.

di Simone Rampazzi

Finire Atomfall non significa solo raggiungere un finale. Significa ricomporre frammenti, confrontare scelte, tornare indietro con lo sguardo e scoprire che alcune risposte, semplicemente, non erano previste. E forse non servivano. Ora che l’intera esperienza è alle spalle, si chiariscono le intenzioni profonde di Rebellion: non raccontare una catastrofe, ma disegnare un ecosistema narrativo instabile, dove l’unico elemento davvero incontrollabile è il giocatore.

L’apocalisse, qui, non è un’esplosione. È la perdita di coordinate. Non ci sono confini netti tra giusto e sbagliato, tra realtà e delirio. La quarantena ha generato un equilibrio silenzioso, una rete di regole non scritte che tengono in piedi un mondo all’apparenza immobile. E noi, l’unico volto nuovo dopo cinque anni di isolamento, siamo la variabile che rompe quel silenzio.

A posteriori, tutto appare più nitido. Con la mente libera dall’urgenza di scoprire “come andrà a finire, possiamo tornare indietro con maggiore lucidità e riflettere su ciò che funziona davvero, e su cosa, invece, si incrina col tempo. Non per ridurre l’esperienza a una lista di pro e contro, ma per comprenderla nella sua interezza, con la distanza che solo un gioco concluso può permettere.

Parole Perdute nella Zona: Come Atomfall Racconta senza Parlare

In Atomfall, non si segue un percorso tracciato. Non c’è una trama da subire passivamente, né una sequenza obbligata di eventi. La narrazione si compone un frammento alla volta, esplorando, osservando, leggendo. È il giocatore a decidere quanto in profondità vuole andare. Più si esplora il mondo, più si raccolgono indizi e più la Zona comincia a parlare.

I documenti sparsi ovunque sono il cuore pulsante di questo sistema. Lettere, rapporti riservati, biglietti dimenticati: sono la voce delle persone che qui hanno vissuto, l’unico modo per capire cosa sia davvero successo. Alcuni testi sono puramente narrativi, altri invece hanno un impatto diretto: possono sbloccare l’accesso a nuove aree, attivare missioni o rivelare indizi sulla mappa che prima erano invisibili.

Le fazioni contribuiscono a questo quadro con una forza evocativa a tratti sorprendente. Il Protocollo, con la sua parata di rigore e controllo, mostra cosa succede quando l’ordine diventa sopravvivenza armata. I Druidi, legati alla Voce e ai riti della Terra, incarnano una spiritualità distorta, post-atomica. E poi ci sono i banditi, le cellule scientifiche isolate, i sopravvissuti che non credono più a niente. Ognuno con la propria visione di cosa significhi vivere dopo la fine. Ma il gioco, in questo, resta spesso troppo sulle sue: le fazioni esistono, si leggono, ma non sempre si manifestano in modo coerente nel mondo visibile.

I Druidi, ad esempio, sono affascinanti nei testi, ma a schermo restano statici, come comparse fuori fuoco. Lo stesso vale per i banditi, che si limitano a pattugliare zone senza mai mostrare rituali, dinamiche interne o comportamenti caratteristici. Capisci chi sono dai documenti, ma non da quello che fanno. Ed è un peccato, perché l’immaginario c’era tutto.

Più centrato, invece, il lavoro sul level design. Alcuni ambienti — in particolare le strutture del B.A.R.D., responsabili degli esperimenti nella zona — riescono davvero a raccontare una storia attraverso gli spazi. Stanze, luci, geometrie e percorsi: tutto comunica. Ma anche qui, viene da chiedersi cosa sarebbe successo con un po’ di audacia in più, soprattutto sul finale.

È raro, oggi, che un gioco si fidi così tanto del proprio pubblico. Atomfall non si sforza mai di spiegarti tutto, e forse proprio per questo ti spinge a voler capire. In un panorama dominato da mappe piene di icone e cutscene che interrompono ogni silenzio, trovare un mondo che parla solo se vuoi ascoltarlo è quasi disorientante. E molto più potente di quanto sembri.

Un aspetto che regge anche dopo molte ore è la libertà totale nell’affrontare il gioco. Se si sceglie la difficoltà consigliata, è del tutto possibile finire Atomfall senza aver toccato metà dei contenuti proposti. Il gioco non ti guida, non insiste. Ti lascia perdere la strada, e poi ti guarda mentre decidi da solo se tornare indietro.

Ci sono più finali, ognuno accompagnato da filmati specifici. Ne abbiamo visti due, e in entrambi i casi si aveva la sensazione di aver concluso qualcosa, non perché tutto fosse chiaro, ma perché era coerente con le scelte fatte. Atomfall non tira somme. Si limita a osservare. E lascia che siano i frammenti a chiudere il cerchio, o a lasciarlo aperto.

Gameplay Dopo Ore di Zona: Progressione, Armi e Scelte Realmente Strategiche

Più si avanza in Atomfall, più si scopre che la crescita del personaggio non passa da barre da riempire o livelli da scalare, ma da ciò che si trova — e da dove si decide di andare. La progressione è quasi tutta nelle mani del giocatore: alcune abilità si sbloccano solo leggendo manuali specifici, nascosti tra ruderi, campi, bunker e case abbandonate. Alcuni attivano interi rami come quello dedicato alla furtività, altri migliorano il corpo a corpo, la resistenza fisica o l’uso delle armi a distanza. C’è persino chi potrebbe finire il gioco senza mai aver avuto accesso a certe funzioni, semplicemente perché non ha trovato (o cercato) il libro giusto.

Anche il crafting evolve in modo sottile, ma fondamentale. Il ramo “Creazione” non serve solo a fabbricare oggetti di supporto: investendoci tempo, si sblocca la possibilità di fondere due armi identiche per crearne una versione migliorata. Non è una meccanica profonda, ma cambia l’approccio all’equipaggiamento. Ogni arma diventa potenzialmente preziosa, ogni doppione un’opportunità. In un mondo dove l’inventario è limitato e non si può portare tutto, decidere cosa tenere e cosa sacrificare diventa una scelta strategica concreta, non un gesto automatico.

Il combattimento resta fisico e crudo anche dopo molte ore. Col tempo, però, diventa più leggibile: sbloccare il calcio per respingere i nemici cambia radicalmente la gestione del corpo a corpo, soprattutto negli spazi chiusi o contro più avversari. Alcuni nemici, però, sono strutturati per mettere in crisi questo equilibrio. I robot del B.A.R.D., ad esempio, possono essere danneggiati solo con armi da fuoco, e in quei casi non esiste alternativa. Ma non è un problema di bilanciamento: è una scelta precisa. Il gioco dosa le munizioni con parsimonia non per punire, ma per obbligare a pensare. Ogni colpo sprecato può diventare un errore letale due ore dopo, e proprio questo contribuisce a mantenere la tensione costante nel tempo.

Vale la pena menzionare anche i Thrall, ex scienziati mutati dalle spore, che resistono agli attacchi come se fossero blindati. Scoprire che possono essere abbattuti solo con colpi mirati alla testa, e anche in quel caso dopo interi caricatori, è parte integrante della curva di apprendimento. Se trovate un bastone elettrificato, tenetelo stretto: è una benedizione.

Non tutto è perfetto, naturalmente. Lo stealth resta sottotono anche nelle fasi avanzate, nonostante gli investimenti nelle abilità dedicate. I nemici sembrano avere sensori onniscienti, e le situazioni in cui si riesce a rimanere davvero invisibili sono poche e frammentarie. Inoltre, in alcuni casi dopo la morte e la ricarica della partita, è capitato di ritrovare i nemici bloccati, fermi sul posto. Un bug occasionale, ma presente.

Il lato positivo è che la struttura del gioco riesce a evitare la trappola della ripetitività. Anche dopo ore di esplorazione, zone come il Crocevia del B.A.R.D. continuano a offrire sorprese, tensione e atmosfera. Le attività secondarie non sono solo extra: sono l’anima del mondo. Chi ama scoprire ogni dettaglio nascosto, ogni leggenda marginale, ogni nome scritto su una parete, troverà materiale in abbondanza. E un senso concreto nel farlo.

I documenti in Atomfall funzionano un po’ come in Prey o nei primi BioShock: non servono solo a raccontare, ma a completare i vuoti lasciati dalla regia. Solo che qui c’è ancora meno guida, meno messinscena. Devi mettere insieme la storia da solo, pezzo per pezzo. Non ti viene consegnata: devi guadagnartela.

Tra Luci e Polvere: il Comparto Tecnico di Atomfall sorprende 

Dopo ore e ore nella Zona, Atomfall conferma di avere un’identità visiva netta e coerente. Non è un gioco che vuole impressionare con la potenza grafica, ma quello che fa, lo fa bene. E lo fa con costanza. Anche dopo lunghi tempi di gioco, il mondo non perde fascino né tenuta tecnica: lo sguardo si abitua ai suoi colori desaturati, ai volti inespressivi, a quell’estetica cruda che sembra sempre trattenere qualcosa.

Abbiamo testato il gioco su due configurazioni differenti: la prima con RTX 4060 Ti su desktop e schermo ultrawide 21:9, la seconda su un laptop con GPU RTX 3060. In entrambi i casi, con parametri grafici impostati su “elevato”, il framerate è rimasto sempre stabile e sopra i 100 FPS, anche nelle fasi più concitate o nei luoghi più densi di effetti. Nessun calo, nessuna incertezza, nessuna sorpresa sgradita. Una dimostrazione solida di come Atomfall sia stato ottimizzato con criterio, anche senza le risorse di una tripla A.

Il motore grafico, pur non supportando il ray tracing, riesce comunque a restituire ambientazioni dettagliate e coerenti. Le texture ambientali sono ben realizzate, dai materiali industriali dei bunker agli interni vissuti delle case, fino ai dettagli nei boschi o nei laboratori abbandonati. Dispiace solo per l’acqua, che rimane l’elemento meno convincente del comparto visivo: piatta, poco reattiva alla luce, quasi estranea rispetto alla cura riservata al resto.

Molto buono, invece, il sistema di illuminazione, capace di generare profondità visiva e tensione anche senza effetti spettacolari. La luce filtra, scompare, riappare. A volte protegge, a volte tradisce. Ed è proprio quel tipo di luce che non accompagna, ma scruta.

Per quanto riguarda l’audio, il doppiaggio è disponibile solo in lingua inglese, ma i testi sono completamente localizzati in italiano, con una traduzione pulita e chiara, mai sopra le righe. Il sonoro ambientale fa il suo lavoro in silenzio: passi su terra bagnata, sibili nelle foreste, ronzio di macchinari a cui nessuno avrebbe dovuto rimettere mano. Nulla di appariscente, ma tutto al posto giusto.