Black the Fall

di Simone Rampazzi

In un panorama dove le nuove IP sembrano lasciare sempre più spazio ai remake arriva un titolo fresco e particolare, che saprà lasciarvi a bocca aperta. Dopo aver infatti giocato platform come Limbo e Inside, dove l’aspetto narrativo era preponderante rispetto alla meccanica ludica, ci troviamo di fronte al primo titolo della rumena Sand Sailor Studio, intitolato Black The Fall.

Il gioco come strumento di memoria storica

Sappiate fin da subito che mettendovi di fronte a questo gioco affronterete tematiche serie, che vi faranno riflettere, soprattutto perché gli sviluppatori ci hanno messo dentro quel pizzico di memoria storica relativa al regime che, per moltissimo tempo, ha negato ogni forma di libertà nel loro paese. Ed in effetti, con tanto di feeling disagiati dal carattere mutevole, il nostro alter ego altri non è che un vecchio macchinista pronto a fuggire da questo contesto, come risvegliatosi da un profondo sonno che lo ha assoggettato ad una disarmante, terribile, servile monotonia laboriosa.

L’inizio sembra quasi emulare il fenomeno della nascita: si parte dal buio, dal dolore misto ad un’incredibile senso di abbandono e degrado, spiegato dalle tavolozze grigiastre dei bui sotterranei di questo luogo distopico, fino a raggiungere una luce all’esterno che sembra consacrarci ad un momento di libertà che poi, purtroppo, si ritrasforma in disagio e desolazione.

Black The Fall è crudo, racconta la manipolazione di un certo tipo di regime, che comunque non è tanto diverso dalla tirannia. La fuga da questo contesto è la chiave che spinge il giocatore ad andare avanti, affrontando qualsivoglia tipologia di puzzle presente nell’ambientazione sbagliando, riprovando e ri-sbagliando, sempre mosso dall’idea dell’andare avanti per vedere come andrà a finire.

Questa tipologia di sensazione consacra già un piccolo successo per l’opera, facendo quasi cadere in secondo piano quella componente ostica dettata da un level-design volutamente difficile da risolvere. Che tra l’altro, per nomea, accontenta di meno i giocatori più casual.

Nel caso del gioco preso in esame, però, il sentimento di frustrazione viene volutamente eliminato dagli sviluppatori, inserendo una modalità di checkpoint praticamente onnisciente che permette, ai giocatori, di non rimanere bloccati dovendo rigiocare più volte le stesse sezioni. Non vi è quindi una vera percezione del pericolo, come avviene in Inside (dove però è il nostro alter-ego a farci lavorare molto in tal senso), ma traspare più una sensazione di malessere nel vedere tante persone assoggettate a figure grasse e macabre, equipaggiate da un telecomando che ci sottomette al loro volere.

Questa caratteristica narrativa viene poi inserita come elemento di gameplay, in una serie di puzzle dove il protagonista dovrà necessariamente sfruttare i suoi compagni di sventura per fuggire, magari ordinando loro di tirare una leva o premere degli interruttori al posto suo, in un ideale scambio di ruoli, passando da sottomesso a colui che sottomette per il proprio tornaconto.

Simpatico come il raggio può essere deviato dalle superfici d’acciaio, fattore che più avanti nel gioco verrà espresso come ulteriore tassello di un puzzle variegato, ma allo stesso tempo non così difficile da risolvere.

Ci ha piacevolmente stupito l’utilizzo di meccaniche originali, come ad esempio il dover unicamente ascoltare dei rumori all’interno di corridoi volutamente bui, così da evitare delle fuoriuscite di gas letale superandole solamente una volta ascoltato il rumore passare dalla cuffia sinistra a quella destra.

Ma i puzzle sono molti, specialmente quando si incontra una specie di cagnolino robotico pronto a seguirci nella nostra fuga. Questo cagnolino può piegarsi a comando facendoci da scalino, può addirittura fermare delle presse idrauliche (ricordatevene quando ci giocherete) e può addirittura procedere più avanti di noi attirando l’attenzione di personale umano o robotico, garantendoci così un passaggio incolume (o quasi).

A rendere più pepata l’esperienza ci saranno diverse telecamere, pronte a farvi sparare una volta avvistati, ma anche giganteschi robot simili ad AT-ST pronti a farvi le feste non appena vi terranno sotto tiro. Essere terminati senza diritto di replica riporta un po' al mood indicato più in alto, dove la sensazione è quella di essere braccato, ed assoggettato, da un potere che va oltre le parole, trasformandosi in un vero e proprio strumento di morte.

Sono più questi temi ad accompagnarci durante la nostra sessione di gioco, facendo passare quasi in secondo piano il level-design seguito dai puzzle per risolverlo.

Oltre il gioco c’è di più

Chiaramente l’opera di Sand Sailor Studio cerca di andare oltre il semplice platform, cercando di regalare al giocatore sensazioni contrastanti che poggiano su fatti realmente accaduti. Rovesciare un regime, combattere contro i soprusi e sfuggire ad un potere che va oltre la semplice parola, sono tutti ideali che "bucano" lo schermo. Ed in un certo senso Black The Fall riesce ad andare oltre, senza raggiungere quell’eccellenza nei tecnicismi, con un comparto grafico minimale che comunque regala piacevoli scorci da osservare.

La colonna sonora è quasi inesistente, in termini di qualità, ma il sound ambientale regala enormi soddisfazioni, soprattutto quando asservito ai puzzle precedentemente citati.