Blades of Fire: la Recensione di un Souls-Like atipico
Un fabbro alla salvezza del mondo? Se il suo acciaio può fare la differenza... perché no?
Quella degli Action-RPG è una categoria certamente florida e la sotto-categoria dei Souls-Like, che in Demon's Souls e Dark Souls getta le sue radici, negli ultimi 15 anni ha sfornato svariati esponenti, fornendo inoltre nuove basi e meccaniche anche per titoli di altra tipologia [basti pensare a Blasphemous]. Questa volta a cimentarsi nel genere sono i ragazzi di MercurySteam che per questo Blades of Fire scelgono di spostare il focus del sistema dai classici parametri degli RPG alla realizzazione e gestione delle armi. Ma, come sempre, andiamo con ordine.
Blades of Fire: Aran de Lira, l'ultimo Forgiatore
Narra il mito che il mondo intero sia stato creato da sette giganti denominati Antichi Forgiatori, i quali concessero parte dei loro poteri ad altrettanti umani – i Mastri Forgiatori – tramite il dono di appositi Magli in grado di creare l'acciaio, indispensabile per combattere la guerra contro i misteriosi e terribili Taumaturghi. Secondo lo stesso mito, ogni volta che un Mastro Forgiatore muore i suoi poteri migrano verso un nuovo individuo degno. Per millenni il mondo è stato in pace, ma poi la regina Nerea ha lanciato una maledizione che ha trasformato in pietra tutto l'acciaio del mondo tranne quello delle armi delle sue truppe, dando così il via ad una tirannia incontrastata.
In questo contesto conosciamo Aran de Lira, un fabbro che vive una vita ritirata ma che ogni tanto riceve la visita del suo vecchio amico, l'abate Dorin. L'ultima visita, in cui l'abate è accompagnato dal giovane e petulante Adso da Zelk, si conclude però tragicamente per via di un agguato dei Cani [leggasi: soldati] della Regina: in punto di morte l'abate consegna a Aran un Maglio dei Forgiatori che dona al fabbro i poteri di un Mastro Forgiatore. Toccherà dunque ad Aran, accompagnato da Adso, sovvertire con il suo acciaio la tirannia della regina.

Blades of Fire ci vede dunque interpretare Aran impegnato nel suo pericoloso viaggio e nel suo percorso di crescita, più a livello artigianale che non in senso statistico. Sì, perché – è bene dirlo subito – nel gioco non saranno presenti le classiche statistiche degli RPG come forza o intelligenza né i tipici alberi delle abilità/talenti: Aran avrà modo di incrementare solo i suoi massimali di salute e di stamina raccogliendo appositi power-up permanenti. Viceversa, la progressione avverrà attraverso la gestione delle armi, su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo.
Dal punto di vista delle meccaniche di gioco, Aran potrà contare su ben 4 tasti d'attacco – i tasti frontali del controller – che corrisponderanno ai colpi al torso, alle gambe o alle due braccia, in maniera piuttosto intuitiva e naturale da gestire; tenendo premuto un tasto si potrà inoltre effettuare un attacco caricato. Il tipo di attacco dipenderà dall'arma equipaggiata, con alcune di esse che possono variare tra due forme – per esempio una spada può colpire di taglio o affondare di punta – e la possibilità di cambiare rapidamente arma tra una selezione rapida di quattro. Oltre ai tasti d'attacco e a quello per il cambio posa/arma, sono presenti la parata – che può essere ad impatto se eseguita col giusto tempismo – la schivata/rotolata, la cote per affilare le armi e la pozione curativa, ovviamente limitata negli usi e da ricaricare presso le incudini-checkpoint. Inutile dire che riposare presso uno di questi spot riporterà sulla mappa tutti i nemici tranne quelli speciali.



Blades of Fire: le armi al centro dell'esperienza
Come anticipato, le armi costituiscono il vero fulcro dell'esperienza di Blades of Fire: se si fa eccezione per la prima spada di Dorin, Aran dovrà infatti creare con il suo Maglio tutto il suo arsenale. Per farlo dovrà prima ottenere una Pergamena della Forgia e l'unico modo è quello di sconfiggere sufficienti nemici che utilizzano l'arma in questione; se per la classica spada da soldato questo è piuttosto semplice, per uno spadone Ammazzatroll o una Katana il processo potrebbe richiedere parecchio tempo.
Una volta ottenuta la Pergamena, Aran potrà accedere alla Forgia degli Antichi e lì progettare la sua arma: ciascun modello infatti può variare in elementi come la forma della lama, la dimensione della testa, la lunghezza dell'asta, il peso del pomolo e così via, tutti dettagli che modificheranno le statistiche di danno, velocità, penetrazione, peso, robustezza. Inoltre, per ogni elemento Aran dovrà selezionare il tipo di acciaio o legno da adoperare, limitato dalle risorse a sua disposizione.
Non finisce qui: una volta “stampata” l'arma sarà suo onere quello di rinforzarla attraverso il minigioco della Forgia in cui dovrà sferrare martellate più o meno forti sull'acciaio rovente, orientando il maglio per plasmare la forma più perfetta possibile. L'esito di questo minigioco determinerà quante volte l'arma potrà essere riparata prima di diventare totalmente inutilizzabile. Sì, perché – e non è dettaglio da poco – in Blades of Fire le armi si deteriorano [oh se si deteriorano!] con l'uso, perdendo prestazioni fino all'inutilità. E non è tutto: quando Aran sarà sconfitto non lascerà in terra “soldi”, “anime” o “esperienza” come avviene negli altri Souls-Like [queste valute non esistono in Blades of Fire]... no: sarà l'arma in uso a cadere a terra e Aran dovrà recuperarla fisicamente se non vuole rassegnarsi a fare a meno di lei.

MercuryEngine 6 sa il fatto suo
MercurySteam non è un team di primo pelo e malgrado molte altre realtà autoriali, non solo Indie, utilizzino sempre più frequentemente dei motori grafici pluritestati e supportati – come Unity o Unreal Engine – opta per continuare a investire nello sviluppo del suo MercuryEngine proprietario che è arrivato alla sesta incarnazione. Il risultato in Blades of Fire è, ad onor del vero, decisamente encomiabile: su PS5 standard abbiamo un'ottima risoluzione di base accompagnata da animazioni fluide e frame rate stabile anche in presenza di effetti speciali, variazioni di luce e numerosi nemici su schermo. Certo qualche trucchetto c'è, come lo slow-motion in caso di certi contrasti [tanto non c'è multiplayer] o il fatto che le zone di mappa attive siano mantenute entro limiti modesti, ma il campo visivo non è male e in generale il risultato finale rivaleggia con produzioni molto più blasonate.
La colonna sonora presenta dei brani molto ben realizzati, composti nientemeno che da Óscar Araujo, che accompagnano gradevolmente l'esperienza di gioco, e indirettamente funge anche da “indicatore sonoro” per il giocatore, dato che cambia repentinamente quando in zona ci sono nemici attivi. Il doppiaggio è limitato alla lingua Inglese, con Aran e Adso che scambiano spesso battute con le loro parlate profondamente differenti [il fabbro ha inflessioni molto popolari, il ragazzo accademiche] e occasionali personaggi in più con cui parlare. Tutti i testi sono comunque disponibili in Italiano, con una traduzione molto ben curata.



Blades of Fire: differenze marcate e qualche riserva
Blades of Fire presenta un'esperienza di gioco che indubbiamente si rifà per buona parte ai classici souls-like ma con differenze prettamente marcate, prima fra tutti la possibilità di scegliere tra tre livelli di difficoltà in cui solo il più alto è vagamente paragonabile ai lavori di From Software. Ovviamente la differenza più evidente è relativa allo sviluppo del personaggio, che dai parametri classici degli RPG sposta il focus totalmente sulle armi, obbligando anche a rinnovare ciclicamente il proprio arsenale – e dunque le tecniche da combattimento – man mano che si possono forgiare armi nuove e differenti. Perdere una buona arma a causa di un KO può essere piuttosto doloroso e in generale farete di tutto per recuperarla, ma la verità è che sarà bene avere sempre due-tre armi di scorta, anche solo per avere un rimpiazzo quando quelle “preferite” si danneggiano.
Nel corso dell'avventura sono introdotti inoltre svariati altri elementi, come l'utilizzo di rune o altri poteri in luogo di più comuni chiavi, oppure potenziamenti speciali per le armi possedute. In certe fasi di gioco Aran dovrà avvalersi dell'aiuto di occasionali seguaci che però tendono ad eclissarsi al minimo cenno di pericolo – e non parliamo di Adso, che è sì petulante ma in generale sa badare a se stesso. Alcune di queste scelte di design ci hanno anche fatto storcere il labbro: parliamo ad esempio delle fasi in cui abbiamo dovuto letteralmente dovuto fare da balia ad un personaggio-chiave, o di task da svolgere con nemici che continuano a comparire senza limiti, o di mini-boss ricorrenti che ci hanno perseguitato come neppure il Nemesis di Residenteviliana memoria... Non sempre è una buona idea buttare nel calderone tutte le idee che vi vengono in mente, MercurySteam: alcune di queste meccaniche stanno meglio nei giochi appositi, credeteci! D'altro canto è innegabile che in questo modo si garantisca la varietà nel gioco.
Blades of Fire comunque è un opera molto valida, che a monte di una trama sostanzialmente lineare pone uno sviluppo degli ambienti vasto e progressivamente intricato, un certo grado di back-tracking non invasivo, nemici vari e numerosi, occasionali boss e mini-boss e in generale un'ambientazione che, pur navigando a vista nel fantasy classico/dark, riesce ad avere un certo mordente. I retroscena sul passato di Aran e di Adso, del regno e del mito in generale sono parecchi e il superamento di ogni sessione o capitolo porta all'interesse e la curiosità sulla successiva. Non mancano ovviamente le ispirazioni smaccate [una su tutte: Kratos e Atreus di God of War] ma non siamo mai nel campo delle scopiazzature ed al resto pensano le scelte originali di cui abbiamo parlato. Per noi dunque è una promozione piena con tanto di complimenti a MercurySteam per il lavoro svolto.
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Versione Testata: PS5
Voto
Redazione

Blades of Fire
Blades of Fire ci ha decisamente conquistato: il lavoro di MercurySteam tiene tranquillamente testa a team e motori grafici più blasonati offrendo un'esperienza di gioco gradevole e appassionante – salvo qualche occasionale sbavatura – in quello che non è “il solito souls-like” ma un gioco con idee interessanti ed esclusive e contemporaneamente uno sviluppo vasto ed intrigante. Una vera sorpresa in un panorama videoludico sempre più pieno di sequel e “more of the same”.