Flint: Treasure of Oblivion, la recensione alla ricerca di un tesoro
L'Isola del Tesoro di Stevenson incontra i videogame in un GDR dove non è tutto oro quel che luccica.
Flint, il pirata che voleva giocare di ruolo
Che il successo di Baldur’s Gate 3 avrebbe dato nuova linfa alle produzioni ruolistiche era fuori da ogni dubbio. Tra i titoli che hanno chiaramente preso ispirazione dal colossal del team Larian si è fatto notare, sin dai primi annunci, Flint: Treasure of Oblivion sviluppato dal piccolo team Savage Level e prodotto dalla Microids, disponibile per PC, PlayStation 5 e Xbox Series X/S, e noi lo abbiamo provato proprio sulla console Microsoft più performante. Vi siete assicurati di non soffrire di mal di mare e avete riempito qualche barile con grog e rum?
Bene, allora siete pronti per la nostra recensione di Flint: Treasure of Oblivion! Ispirato al celeberrimo romanzo “L'Isola del Tesoro” di Robert Louis Stevenson (che consiglio di cuore a chi non l'avesse ancora letto), Flint: Treasure of Oblivion sposta l'obiettivo della camera e ci cala nei panni del mitico capitano Flint (scommetto che lo avevate capito) personaggio che, in realtà, nel racconto originale non compariva ma, ma era sempre presente nei racconti di Long John Silver e Billy Bones come una figura leggendaria tanto per la sua ferocia quanto per il suo famoso tesoro nascosto che è, in effetti, il motore che muove le gesta di tutti i protagonisti. La nostra storia inizia con Flint e Billy naufraghi alla deriva su una zattera di fortuna a combattere coi morsi della fame e quasi del tutto disidratati, ma per loro il destino ha in serbo ben altro che una misera morte in mare.
L’arrivo di una nave potrebbe rappresentare una insperata salvezza e, nonostante in breve tempo troveremo i nostri chiusi in carcere, questo sarà il via agli eventi che porteranno Flint a trovare una mappa del tesoro che, ovviamente, diventerà la sua nuova ragione di vita. Con le primissime battute della trama capiamo subito come i toni dell’avventura non saranno adatti ai palati fini. Intendiamoci, non si andrà mai oltre un certo limite, ma Flint: Treasure of Oblivion riesce a mescolare toni estremamente crudi a momenti più scanzonati, andando a rispecchiare il carattere dello stesso protagonista. Flint è esattamente il capitano pirata che ci si aspetta che sia: furbo, spietato, con uno spiccato interesse per tutto quello che potrebbe arricchirlo e letteralmente pronto a tutto per raggiungere il proprio scopo.
Così, ci ritroveremo a dover mettere in piedi una ciurma e procurarci una nave per iniziare una intrigante caccia al tesoro! Flint: Treasure of Oblivion basa il proprio gameplay su narrazione, esplorazione e combattimenti e vista la propria natura “indie”, che si riflette anche in un prezzo di lancio budget (39,99 euro) ha dovuto cercare delle soluzioni tanto funzionali al risultato desiderato, quanto realizzabili dal piccolo team di sviluppo francese. Sin da subito si nota la scelta di utilizzare una visuale dall’alto con telecamera fissa e per quanto sia abbastanza chiaro che la distanza dai protagonisti permetta di risparmiare sui particolari dei modelli e delle ambientazioni, va detto che il lavoro fatto è discreto.
Al netto di qualche incertezza di frame rate, l’impatto visivo è gradevole e trova il suo punto più alto nella realizzazione delle ambientazioni, con l’aggiunta di un discreto comparto audio, per quanto questo non sia mai memorabile. Già in fase di esplorazione, però, iniziano a mostrarsi le primissime crepe di Flint: Treasure of Oblivion, dovute ad alcune imprecisioni nei comandi, sia che si tratti degli spostamenti, sia delle interazioni con oggetti, personaggi o altro. Spesso ci troviamo a premere pulsanti e a non veder realizzato a schermo quello che vorremmo, così come lo spostarsi attorno a angoli o elementi dello sfondo risulta complicato e più di una volta si sono palesati bug, per quanto non particolarmente gravi, decisamente fastidiosi, come il vedere i propri personaggi iniziare a muoversi a scatti.
Meglio è invece andata per la narrazione, realizzata con un sistema che coglie a piene mani dal mondo delle visual novel e dei fumetti. La scelta, oltre ad essere sicuramente poco dispendiosa per chi ha dovuto sviluppare il gioco, risulta comunque azzeccata e permette alla trama di Flint: Treasure of Oblivion di svilupparsi adeguatamente e con un piacevole stile, senza scordare che dobbiamo fare un plauso a Microids per aver tradotto completamente i testi del gioco in italiano, soluzione non certo scontata nel mercato attuale, ma è impossibile non notare quanto le scritte a schermo siano davvero piccole e si faccia una discreta fatica a leggerle. Come già accennato qualche riga più in alto, i toni e la narrazione di Flint: Treasure of Oblivion sono esattamente quelli che si potrebbe aspettare da un prodotto perfettamente calato nell’epoca d’oro dei pirati e non mancheranno morti, colpi di scena, tradimenti, doppi giochi e tantissimo sangue perché, appunto, Flint non si farà problemi a dare qualcuno in pasto ai pesci per favorire la sua ricerca della ricchezza.
Un lancio di dadi può decidere una vita
Per quanto ci sia qualche passaggio che si poteva approfondire di più, la trama di Flint: Treasure of Oblivion e tutta la scrittura di testi e dialoghi sono sicuramente più che apprezzabili, con buona pace del buonismo a tutti i costi, e vi accompagneranno nelle sedici ore circa necessarie a raggiungere i titoli di coda, anche se il tutto cade un po’ troppo sui binari della linearità. Le vere note dolenti, purtroppo, compaiono quando si inizia ad approcciarsi al combat system di Flint: Treasure of Oblivion. Certo, il tutorial è abbastanza scarno, ma anche se fosse stato più completo, la situazione non sarebbe migliorata di molto. Quando si dovrà combattere ci ritroveremo in un classico sistema strategico a turni dove dovremo muovere i nostri personaggi su una griglia a esagoni nel tentativo di avere la meglio degli avversari, anche grazia al fatto che a differenza della fase esplorativa, qui potremo ruotare la telecamera.
Ogni protagonista ha a sua disposizione due punti azione per turno, che può utilizzare muovendosi, attaccando, utilizzando oggetti o abilità speciali, in quelle che, a ben vedere, sono battaglie che idealmente ben poco si discostano da quanto visto sino a oggi in altri titoli simili. Ogni membro della ciurma ha le sue qualità e potremo sfruttare un buon numero di abilità ed equipaggiamenti, ma saranno proprio l’interfaccia e i comandi a rovinarci la festa. Tutto è vittima di una generale imprecisione degli input e spesso si fa fatica a compiere l’azione desiderata al primo colpo, mettendo a dura prova anche i nervi dei giocatori più serafici. A peggiorare la situazione c’è anche un livello di difficoltà altalenante e si passa da battaglie che sono quasi una formalità ad altre che dovrete ripetere svariate volte per poterle superare.
Flint: Treasure of Oblivion, infatti, permette di ripetere infinite volte le battaglie e se da un lato la scelta è apprezzabile in quanto permetterà di correggere gli errori fatti (magari per colpa dei problemi citati sopra), dall’altro va a rovinare l’atmosfera e il livello di sfida, visto che ci si ritrova con il giocare senza troppa attenzione, tanto avremo tutte le possibilità che vorremo per ripetere il combattimento e portare a casa la pelle di ognuno dei nostri pirati. Il successo di ogni nostra mossa sarà decisa da un lancio virtuale di dadi che non potremo influenzare in nessun modo se non con specifici oggetti consumabili che permetteranno di ripetere il lancio, ma tutto questo finisce per dare una importanza predominante alla fortuna, per quanto di fondo siano presenti le classiche statistiche di ogni personaggio: il problema è che in diverse situazioni, anche utilizzando tutte le possibilità che avevo di rilanciare i dati, inspiegabilmente ho continuato a fallire, come se il sistema si fosse imputato sul volermi far mancare un dato attacco, ma riavviando il combattimento, ho avuto successo al primissimo lancio di dadi.
Insomma, Flint: Treasure of Oblivion ha nel combat system e nella gestione dei menù della ciurma (anche questi tutt'altro che di immediata comprensione) i suoi lati peggiori, fattore decisamente grave per un titolo che, per quanto si definisca ruolistico, non offre particolari scelte da compiere durante la trama, ma punta tutto sul combattimento e sulla narrativa. Se quest’ultima, come già spiegato, si rivela soddisfacente, il combat system è invece un buco nell’acqua, probabilmente a causa del tentativo dei Savage Level di portare a schermo un sistema che non sono stati in grado di tradurre in gameplay. Si nota un enorme amore per il mondo dei GDR, ma probabilmente puntando a scelte più semplificate e gestendo meglio i comandi, si sarebbe raggiunti un risultato complessivo migliore.
Versione Testata: Xbox Series X
Voto
Redazione
Flint: Treasure of Oblivion
Se cercavate un tesoro, purtroppo Flint: Treasure of Oblivion non è l'isola dove lo troverete. Che i Savage Level abbiano messo in campo un enorme amore per i GDR una buona vena creativa è assodato, ma i difetti del gioco ne superano i pregi e affossano quello che poteva essere un titolo ben più che sufficiente. Nonostante la sua anima "indie" e la sua natura di videogioco a basso budget (ma anche a basso prezzo), la narrazione è buona e matura e il comparto grafico, per quanto non rifinito, si lascia apprezzare, per quanto le scritte a schermo siano minuscole e i menù poco chiari. I problemi maggiori arrivano quando si tratta di "scontrarsi" con il combat system e la gestione della ciurma, un vero ginepraio fatto di comandi poco comprensibili, selezioni scarsamente reattive e una confusione assortita. Se solo si fosse scelto di virare su un gameplay più lineare nei combattimenti (già lo è nelle esplorazioni), avremmo avuto sicuramente un prodotto più godibile. Purtroppo, a volte, cercare di distinguersi dalla massa senza aver chiaro come portare su schermo le proprie idee, può affossare quello che poteva essere un videogame più appetibile.