Call of Cthulhu

di Simone Rampazzi

L’universo immaginifico creato da H.P. Lovecraft ha appassionato moltissime persone nel corso della pubblicazione dei romanzi, appartenenti al ciclo di Cthulhu, generando innumerevoli echi pronti a produrre nuova linfa vitale in diversi contesti.

Cthulhu ha allungato i suoi tentacoli toccando quasi ogni sfera di interesse, proponendo al pubblico diverse versioni della sua influente sagoma tentacolare come nei libri game, musica, cinema, serie TV, giochi di ruolo e, non ultimi per importanza, chiaramente videogiochi.

L’ultima fatica di Cyanide Studio tenta di imprimere su linguaggi di codice la potenza di questa divinità antica, ma come spesso accade durante tale processo qualcosa sembra essersi persa per strada, lasciando a noi l’arduo compito di colmare delle lacune tecniche difficili da ignorare. Il nostro fiuto investigativo ci aiuterà in questo compito?

LE NEBBIE DI DARKWATER

Risvegliatosi da un incubo in piena regola, l’investigatore Edward Pierce viene contattato dal padre di una giovane ereditiera, morta in circostanze inspiegabili insieme al figlio e al marito nel villaggio di Darkwater, un luogo sperduto che ospita una comunità di cacciatori di balene.

L’unico indizio che ci viene fornito, al netto di qualche informazione cartacea da leggere in qualche minuto, è un dipinto raffigurante delle strane immagini tenebrose, che difficilmente potrebbero essere state partorite dalla mente della donna. Il padre ovviamente non è convinto che i fatti enunciati dalla polizia del luogo corrispondano a verità, motivo per cui noi, nei panni di Pierce, verremo ingaggiati per scoprire la verità dietro a queste terribili morti.

Il gioco inizia così, senza troppi preamboli, e sotto un determinato punto di vista è un bene, perché stuzzica sin da subito la curiosità del giocatore invitandolo a entrare, piano piano, in quello che potrebbe rivelarsi un viaggio senza ritorno verso il baratro della follia. Impostati quindi alcuni punteggi caratteristica, che leggeremo tra poco, partiamo alla volta di Darkwater, sfruttando in questa occasione un sistema di approccio in prima persona utile a farci “immergere” ancora di più all’interno di questa avventura investigativa, scandita da una mole impressionante di linee di dialogo utili a farci comprendere tante, moltissime sfaccettature delle persone che abbiamo di fronte.

Dal poliziotto scorbutico al pescatore ubriaco diffidente dagli estranei, ogni personalità incontrata nel nostro cammino sembra nascondere qualcosa di più del suo semplice “ruolo” di NPC, ed è forse per questo che spesso vi fermerete a chiacchierare con chiunque vi capiti a tiro, facendo così in modo di ottenere preziose informazioni da aggiungere al vostro taccuino, delineando così un background totalitario della vicenda capace anche di sbloccare, in chiave puramente ludica, nuove linee di dialogo extra.

In una decina di ore sarà possibile completare il folle viaggio di Pierce, ma non vi diremo nulla sull’esperienza o sulle scelte necessarie per portarlo a termine, chiaramente per non rovinarvi tutto il piacere di scoprire da soli quali ombre vi attendono nell’oscurità.

NASCONDERSI DIETRO AL DITO

Come scritto poc’anzi, il gioco sviluppato da Cyanide inserisce al suo interno delle meccaniche ruolistiche, tradotte in forma ludica dalla presenza di alcuni punteggi caratteristica necessari a descrivere, in grandi linee, le capacità investigative del nostro alter-ego.

Tutti i parametri presenti nella lista fanno riferimento a delle abilità specifiche, come il fiuto per scovare indizi più facilmente sulla scena del crimine, oppure la psicologia utile a ricostruire, tramite una particolare abilità innata del personaggio, le motivazioni dietro agli eventi. Durante il gameplay sarà possibile ottenere preziosi punti con cui implementare questi punteggi, ma sarà doveroso scegliere quali secondo voi meriteranno attenzione prima degli altri, quantomeno al fine di delineare ciò che più si addice al vostro stile di gioco.

A differenza di quanto citato fino a ora, il sistema di punteggi vanta al suo interno anche due caratteristiche che non potranno essere implementate “manualmente” da noi, ma bensì soltanto ritrovando particolari oggetti nel corso del gioco. Medicina è la prima delle due, e sarà interessante da implementare se non altro perché ci aiuterà a scoprire nozioni in più sulla condizione fisica dei soggetti analizzati, mentre invece Occultismo ci svelerà alcuni curiosi retroscena sull’aspetto sovrannaturale che aleggia in tutta l’avventura (inutile dirvi di più però!!).

Call of Cthulhu non contiene fasi action in cui bisognerà combattere o sparare, ma soltanto dei momenti stealth in cui dovremo necessariamente nasconderci dai nostri inseguitori al fine di non essere acciuffati. Sappiate che quasi tutte le situazioni proposte dal gioco possono essere affrontate in diversi modi, facendo leva chiaramente sui punteggi caratteristica accresciuti in sede di “creazione” del personaggio.

Il modo migliore per affrontare le situazioni che vi si porranno davanti sarà quello di esplorare ogni piccolo anfratto della location in cui vi trovate, poiché scoprire degli indizi extra vi permetterà di sbloccare piacevoli extra con cui arricchire ulteriormente la vostra esperienza di gioco. Arrivati fino a questo punto, potrà sembrarvi che Call of Cthulhu sia il gioco investigativo perfetto con cui riempire una serata buia e tempestosa.

Purtroppo non è così. E il problema risiede principalmente nella scelta degli sviluppatori di guidarci troppo nella narrazione, o quantomeno, nel riempirci la testa di tante piacevoli battute extra che però, all’effettivo, riempiono un vuoto poco utile dato che ogni nostro volo pindarico finisce per essere zittito dal controllo imposto dall’avventura sulle scelte del giocatore. Non c’è una vera e propria libertà in quello che facciamo, ma piuttosto sembra quasi che un’ombra vegli su di noi impedendoci di andare fuori dai binari, anche quando ci spingiamo volontariamente verso un fossato per caderci dentro e non uscirne più. Che ci sia lo zampino del tentacolare Cthulhu dietro tutto questo?

Non lo sappiamo, ma sappiamo che questo aspetto finisce per stemperare fin troppo la fiamma di curiosità accesa all’inizio del titolo, trasformandola in un flebile lumino pronto a illuminare appena il percorso di fronte a noi.

Artisticamente il gioco potrebbe insegnare a scuola come si provvede a regalare pathos a un’avventura con qualche semplice gioco di luci e saturazione dei colori, ma dal punto di vista meramente tecnico il gioco si rivela abbastanza acerbo, regalandoci dei buoni scenari accompagnati da animazioni facciali e ragdoll dei personaggi veramente poco convincenti. Si poteva fare molto di più, questo va detto.