Call of Duty: L'ora degli eroi

di Giuseppe 'Sovrano' Schirru
L'Activision si cimenta nell'arduo compito di mascherare la finzione scenica in guerra vera. Il giocatore, teletrasportato indietro nel tempo al conflitto della seconda guerra mondiale, prende i panni del soldato semplice di fanteria e, catapultato tra le fila nemiche, ha modo di entrare nel teatro della crudeltà passando per la porta principale e sedendosi in prima fila. Vanno in scena tre diversi spettacoli, fotografati da diversi schieramenti: russo, inglese e americano. L'incipit, la riconquista di Stalingrado, pur considerata la differente ambientazione, ha il sapore similare allo sbarco a Omaha Beach di spilberghiana memoria. L'arrivo via mare e l'approdo in uno scenario devastato dalla morte e dalla distruzione, con piogge di proiettili vaganti e bombe che volatilizzano corpi, creano più di un'analogia tra le due opere. Le immagini dello sbarco in Normandia sono visivamente ineccepibili, dure, cruente, magistrali dal punto di vista prettamente registico. Al contrario, Call of Duty, nella sua trasmigrazione da PC a console, ha perso molte scintille di credibilità, partendo dal ruolo del giocatore, non più uno tra mille, pedina sacrificabile il cui operato non risulta totalmente determinante, ma con in mano, per l'ennesima volta, il copione dell'eroe solitario che pur accompagnato da svariati commilitoni, ha le capacità poco attendibili per sbrogliare da solo la matassa.


Seppur presente un inizio verosimile, appare quantomai evidente che la smania registica degli sviluppatori Activision non sia all'altezza di quella del grande regista americano. Non è questo il punto focale, perché è ancora troppo marcata la linea che separa il mondo dal cinema da quello dei videogiochi. I mezzi espressivi sono diversi, ma il risultato finale dev'essere analogo: guerra vera. In una delle due produzioni che pur appartengono a un universo differente - il risultato non è stato raggiunto pienamente, e purtroppo parliamo della seconda (si può imputare tutto al film di Spielberg, ma lo sbarco a Omaha Beach è una delle più intense scene del più grande conflitto della storia del cinema). I programmatori disegnano con vigorose pennellate spaccati di guerra discretamente convincenti, ma è indubbio che i sette milioni ($6,5 mln se vogliamo peccare d'accuratezza) di dollari di budget di Salvate il soldato Ryan abbiano permesso di muovere su schermo un maggior numero di uomini d'armi rispetto a quelli inseribili con i 64mb di ram della console di zio Bill. Sull'intelligenza delle comparse ci viene difficile pronunciarci, sull'IA dei nemici e dei cobelligeranti possiamo invece proferire un commento tecnico ed esplicativo (due aggettivi utilizzati ironicamente): niente di che, si è visto di peggio.


La "guerra vera" mostrata su schermo è un'alchimia sottile e complessa, tanto è labile il confine che la separa da una farsa di proporzioni immani. COD è proprio là in mezzo, a cavallo di quella striscia che separa il fallimento dal raggiungimento dell'obiettivo. E' in quel "limbo" perché siamo lontani dai fasti della versione PC, perché il coinvolgimento laddove dovrebbe giocare un ruolo fondamentale, a tratti è relegato in panchina, e proprio quando si scalda per entrare in campo, comincia una sezione a bordo di un mezzo cingolato foriera di noia e frustrazione che riuscirebbe a far inveire perfino i cultori della calma. Diversificare l'esperienza di gioco proprio nel momento clou è come far partire la pubblicità durante la scena madre di un film. Che rabbia! Anche perché, in questo teatro di battaglia perfettamente modulato, non c'è nemmeno uno stralcio di secondo per appassionarsi, un istante per sentirsi emotivamente appagati. Manca l'anima, il coinvolgimento, l'assaporare il conflitto: così è come vedere la guerra dal buco della serratura.

Mentre la versione PC tentava le strade tortuose della realisticità, in questa trasposizione si trasforma in un fps ignorante, dove lo sforzo intellettivo non è assolutamente richiesto. Semmai quello ottico, considerata la scarsa propensione delle armi a concedere una certa precisione (accettabile, considerato il periodo storico). Il livello di difficoltà, a tratti snervante per la continua ripetizione di lunghi spezzoni di gioco (l'assenza dei checkpoint si fa palesemente sentire), è ambiguamente ripagato: da un lato le sezioni a bordo del carro cingolato risultano troppo ripetitive e monotone per essere apprezzate, dall'altro troviamo delle missioni variegate che hanno il pregio di non scadere nella banalità: la battaglia delle Ardenne a Stalingrado, infiltrarsi in un piccolo villaggio in Tunisia, riconquistare la Piazza Rossa o catturare l'ultimo ponte sopra il Reno. La cosmesi visiva, che avrebbe potuto tranquillamente puntare ad una classificazione qualitativamente "più che discreta", è purtroppo macchiata da alcune superficialità rintracciabili nella realizzazione delle nebbie volumetriche, in animazioni approssimative o un frame rate ballerino nelle situazioni più concitate. Tuttavia, buoni modelli poligonali e una paesaggistica notevolmente curata, riescono a creare un quadro d'insieme positivo. Apprezzabili i dialoghi parlati e completamente localizzati in lingua nostrana, altrettanto gli effetti sonori, per un reparto audio che svolge il suo compito diligentemente.