Cold Fear

di Giuseppe Schirru
L'ennesimo survival horror, ma in una baleniera. Stavolta tocca a Ubisoft che affida il compito ai Darkworks - artefici del discreto Alone in the Dark 4 - e dopo le gloriose incursioni nel genere stealth e tactical shooter, ci ricorda che una volta fatto novanta non sempre è facile fare novantuno. Se non altro ci tenta. Neanche il tempo per riflettere sulla carenza di idee che imperversa sul genere in questione, che Cold Fear ci presenta tutti i limiti di una categoria incapace da tempo di rinnovarsi, senza nemmeno riuscire con qualche abilità di sorta a celare una struttura ludica che oggi, anno domini 2005, meriterebbe di stare in un museo di retrogaming. Sulle prime, imitando mamma Capcom, tenta il cambio di corsia spostandosi nel genere action, ma ben presto sbanda e ritorna sulla destra dimenticando di mettere nel portabagagli qualità imprescindibili come trama, cosmesi visiva, enigmi riusciti e senso agghiacciante di paura.


Poche novità, tante perplessità. Cold Fear punta sullo scenario alternativo dell'imbarcazione nel mare in tempesta con tutte le derivazioni del caso, rollio dovuto al moto ondoso e possibilità di finire in acqua. Poi le perplessità, a partire dalle ambizioni dei programmatori, incapaci però di inserire pressione psicologica nell'ambientazione, finendo a confezionare un prodotto che, essenzialmente orientato sull'azione e fallendo proprio in questo contesto, rimane con poche carte in mano da giocarsi. E non d'alto valore. La categoria ludica impone l'associazione di enigmi e scontri a fuoco contro mostri di varia natura, senza tralasciare la continua deambulazione e un contesto ad alta gradazione horrorifica. Cold Fear segue le linee guida proponendo enigmi banali, scontri a fuoco insapori, un andirivieni a bordo di un'imbarcazione colma di stanze inutili e, come proferito poco sopra, fallisce nell'ambientazione. Ancora altre soluzioni mal riuscite, quali un sistema di telecamere poco consono e foriero di frustrazione, unite ad altre di natura prettamente ludica, impediscono a Cold Fear di elevarsi oltre i livelli della sufficienza.

In un'irrefrenabile smania citazionistica, il titolo Darkworks propone una copia sbiadita del sistema di combattimento di RE4. Ma a dispetto del titolo Capcom, dove gli scontri a fuoco valgono da soli il prezzo del biglietto, sono qua un mero orpello ludico per urlare presente durante l'appello delle varie sezioni di gioco. Il posizionamento della telecamera over the shoulders lascia una buona porzione scoperta di schermo per sparare i nemici, e il puntamento è malauguratamente affidato ancora una volta al mirino laser. Malauguratamente perché, specie negli spazi all'aperto, è di difficile decifrazione capire dove sia indirizzato il puntamento laser, specie quando i nemici sopraggiungono dalla lunga distanza. Inoltre in Cold Fear è totalmente assente il sistema di danni localizzati, con la sola possibilità di far saltare teste ai nemici per mandarli all'altro mondo.


Laddove Resident Evil 4 è lungimiranza nell'aver voltato pagina voltando le spalle al passato, Cold Fear è una citazione flebile e imbruttita, con sinonimi poco ricercati. Manca qualità e concretezza nelle fasi prettamente action, convinzione nel character design, capacità di sconvolgere la sfera emozionale del giocatore quasi impassibile dinnanzi a teste mozzate, corpi putrefatti, sangue a catinelle, corpi a cui far saltare il cranio per non incorrere in brutti risvegli che a conti fatti risulta appena sfiorata. Qualche gradevole gioco di luce, qualche salto dalla sedia per una lampadina che salta o un cadavere che irrompe dal frigorifero è davvero troppo poco. Poi arrivano le superficialità tecniche, con un sistema di telecamere fisso vantante alcuni posizionamenti infelici, e un cameraman alle spalle che balbetta negli interni. Proprio il sistema di combattimento, che regala la possibilità di inquadrare il personaggio alle spalle, è un paracadute che evita un ingeneroso sfracellamento a terra dovuto a un sistema di telecamere pidocchioso in spazi stretti e angusti. Per tacere poi di una IA dei nemici risibile, con alcuni che da quattro metri ti scaricano un caricatore di AK-47 senza nemmeno sfiorarti, roba da Pulp Fiction. O dei salvataggi limitati ad alcuni punti della disavventura.

Neanche tecnicamente Cold Fear riesce a impressionare, viaggiando ancora una volta nella corsia della sufficienza senza tentare mai il sorpasso. Textures poco curate, modelli poligonali minimalisti e una ripetitività delle location dovuta allo scenario di gioco, che nella parte finale dell'avventura potrebbe osare ma non osa. Già evidenziati alcuni posizionamenti infelici della telecamera fissa, diciamo che lo se lo script non è all'altezza, il doppiaggio, a non voler essere magnanimi, lo è ancor meno. Tirando le somme, in Cold Fear manca la capacità di coniugare efficacemente le sezioni prettamente action a quelle più horror, forse perché tutti e due gli universi risultano a malapena accennati.