Commandos: Origins segna il Ritorno di una Leggenda Tattica - La Recensione

Torna una delle saghe strategiche più amate di sempre, tra mappe brillanti, stealth ragionato e un comparto narrativo che resta in panchina. Il cuore c’è, ma manca il colpo d’occhio.

Commandos Origins segna il Ritorno di una Leggenda Tattica  La Recensione

Per chi è cresciuto a pane e strategici in tempo reale, il nome Commandos rievoca sicuramente sensazioni familiari. La visuale dall’alto, i pattugliamenti da studiare con pazienza, l’attesa prima di colpire. Ogni mossa andava pesata, e quando tutto funzionava – quando riuscivi a sparire senza lasciare traccia – provavi una soddisfazione rara. Era un’esperienza diversa: più lenta, più metodica, ma capace di restare impressa.

Tutto è cominciato alla fine degli anni ’90, con un piccolo studio spagnolo – Pyro Studios – e un’idea tanto semplice quanto efficace: trasformare la guerra in un gioco stealth di precisione. Un’intuizione riuscita al punto da diventare un modello per un intero genere, al quale ancora oggi si ispirano titoli come Desperados III o Shadow Tactics, ognuno con il proprio stile ma lo stesso DNA.

Commandos: Origins segna il Ritorno di una Leggenda Tattica - La Recensione

Poi, nel tentativo di rinnovarsi, la serie ha preso una strada completamente diversa. Era il 2006 quando Strike Force cercava di reinventare la formula con un approccio più dinamico e una visuale in prima persona. L'esperimento, però, non ha centrato il segno. L'essenza che aveva reso speciale Commandos si è persa, e da allora la serie è sprofondata nel silenzio. Per quasi due decenni il marchio è rimasto inattivo, con solo qualche remaster a tenere vivo un nome che, tra gli appassionati delle sfide tattiche, continua a evocare una nostalgia autentica.

Ora, nel 2025, arriva Commandos: Origins. Non è un remake, né una semplice operazione nostalgia. È un gioco nuovo, sviluppato da Claymore Game Studios e pubblicato da Kalypso Media, pensato per riprendere lo spirito originale della serie e riproporlo in chiave moderna. Più che raccontare una storia, Origins vuole farti rivivere un certo tipo di esperienza: paziente, rigorosa, fatta di piccoli passi e decisioni ben calcolate.

In un momento in cui molti giochi spingono sull’acceleratore, Commandos: Origins fa una scelta diversa. Non ha fretta, e non vuole che tu ne abbia. E proprio per questo, nel bene e nel male, riesce a distinguersi.

Frammenti Di Guerra: Un’Eredità Raccontata A Metà

Commandos: Origins vuole riportare il giocatore ai giorni in cui Jack O’Hara e i suoi compagni hanno formato la squadra d’élite destinata a diventare leggenda. È un’idea che funziona subito, soprattutto per chi conosce il passato della serie e sperava in un ritorno in grande stile, capace di unire tattica e racconto. Ma questa introduzione si ferma solo alla superficie.

C’è un contesto ben definito: siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, e le missioni si sviluppano in teatri bellici differenti come l’Artico, l’Africa settentrionale e il fronte occidentale. Ogni incarico comincia con un briefing che introduce obiettivi e ambientazione, e da questo punto di vista il gioco mantiene una certa coerenza storica e visiva. Quello che manca, però, è un filo conduttore: non esiste un vero legame narrativo tra le missioni.

Le operazioni sembrano scollegate, quasi estratte da un menù di scenari, senza un filo conduttore. Cambiano le ambientazioni, cambiano i personaggi assegnati, ma il giocatore non percepisce mai l’idea di partecipare a una campagna vera e propria, con un inizio, uno sviluppo e una fine. Ogni missione è un episodio isolato: funziona sul piano tattico, ma non contribuisce a costruire un disegno più ampio. Manca la tensione narrativa, manca un’evoluzione, manca quel senso di progressione che tiene insieme le storie.

Anche i membri della squadra, per quanto distinti nelle abilità e nel ruolo, finiscono per rimanere più strumenti da gestire che veri protagonisti con cui creare un legame. Le loro abilità specifiche – tra sabotaggi, diversivi e colpi silenziosi – sono la base del sistema di gioco, ma il loro ruolo narrativo si limita a qualche linea di dialogo funzionale. Non c’è spazio per creare un legame, per sentirli parte di qualcosa di più grande. E questo si fa sentire, soprattutto in un gioco che ambisce a raccontare la nascita di un’unità destinata a diventare leggenda.

In definitiva, Commandos: Origins costruisce un’ottima cornice, ma non ci inserisce dentro una vera storia. Tutto resta frammentato, isolato. Il giocatore osserva e agisce, ma non si sente mai parte di un disegno più ampio. È un titolo pensato per far giocare con la testa, ma che si dimentica del cuore.

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Commandos: La Tattica È Ancora Questione Di Pazienza

Se c’è un ambito in cui Commandos: Origins mostra davvero di conoscere la propria identità, è il gameplay. Il cuore dell’esperienza è rimasto fedele alla tradizione: non è un gioco che ti chiede velocità o riflessi pronti, ma attenzione, pazienza e controllo. Ogni mossa può fare la differenza: quella giusta ti fa passare inosservato, quella sbagliata rovina tutto e ti costringe a ripartire.

L’approccio resta meditativo: si osserva, si analizza, si pianifica con cura. Le mappe sono costruite come piccoli ecosistemi strategici, spazi chiusi e interconnessi in cui la risoluzione dipende da come si sfruttano le risorse disponibili. A ogni missione si ha accesso a un gruppo di commando diversi, ciascuno con abilità e metodi che aprono strade differenti per raggiungere l’obiettivo. Il gioco non lascia scegliere liberamente chi portare con sé, ma questa limitazione si trasforma in stimolo: ti costringe ad adattarti, a variare l’approccio, a sfruttare tutto quello che hai sotto mano per risolvere ogni situazione.

Il design delle missioni è solido. Mappe ampie, strutturate con precisione, disseminate di dettagli, sentinelle, percorsi alternativi e oggetti ambientali da sfruttare. In alcune situazioni, riuscire a evitare uno scontro semplicemente leggendo bene la scena dà una soddisfazione che pochi titoli sanno restituire. Commandos non ti dice mai cosa fare, ma ti mette tutto davanti agli occhi: sta a te trovare la soluzione giusta. E quando funziona, funziona davvero bene.

Il ritorno del Command Modela possibilità di fermare il tempo e pianificare azioni multiple in simultanea – è una delle scelte più azzeccate. Introdotto da Mimimi nei suoi titoli più recenti, qui diventa presto uno strumento a dir poco indispensabile: permette di coordinare attacchi, diversivi, posizionamenti. Non è solo una scorciatoia, è parte integrante del ritmo di gioco, e dà una sensazione di controllo totale. Quando riesci a incastrare tre eliminazioni perfette con un solo comando, ti sembra davvero di gestire una squadra addestrata a fare l’impossibile.

Tutto questo, però, richiede pazienza. Commandos: Origins è un gioco che si prende i suoi tempi e pretende che anche il giocatore faccia lo stesso. Le missioni sono lunghe, piene di nemici, percorsi alternativi e trappole nascoste da gestire con attenzione. La difficoltà – regolabile su tre livelli – incide davvero sulla strategia, ma a volte la sfida sembra basarsi più sull’accumulo che sull’equilibrio. Pattuglie ovunque, vedette posizionate a ripetizione, accessi bloccati in ogni direzione: la sensazione è che la complessità derivi dalla saturazione, non da un design davvero ragionato. E quando ogni angolo pretende lo stesso livello di attenzione, la tensione si appiattisce e subentra la fatica.

Anche la varietà nelle abilità – pur solida sulla carta – risulta un po’ sbilanciata nella pratica. Alcuni commando diventano imprescindibili, mentre altri finiscono per sembrare quasi intercambiabili. Capita di affrontare intere sezioni utilizzando sempre lo stesso personaggio, lasciando gli altri ai margini dell’azione. È un limite che si avverte maggiormente nella seconda metà del gioco, quando il giocatore ha ormai imparato bene chi fa cosa, e soprattutto, chi conviene usare più spesso.

In ogni caso, Commandos: Origins dimostra che la formula originale può ancora reggere, se trattata con rispetto e lucidità. Il piacere di eliminare un intero avamposto senza che nessuno si accorga della tua presenza resta intatto. Ma serve concentrazione, tempo e voglia di riprovare. Non è un gioco per chi cerca immediatezza, ed è giusto così.

Commandos: Tecnica D’Assalto O Tattica Da Sistemare?

Sul fronte tecnico, Commandos: Origins si presenta con una base solida, anche se non del tutto priva di incertezze. Le mappe sono completamente tridimensionali, e permettono di ruotare la visuale e zoomare in ogni direzione. È una scelta funzionale, che aggiorna con intelligenza l’impostazione classica della serie, facilitando l’osservazione delle linee di vista e la lettura degli spazi. Tuttavia, l’esperienza non è sempre fluida quanto dovrebbe.

Commandos: Origins segna il Ritorno di una Leggenda Tattica - La Recensione

Il problema più evidente riguarda la gestione dei livelli verticali e degli edifici su più piani. Non è raro che un nemico posizionato sopra venga mostrato come se fosse allo stesso livello del personaggio, generando confusione e – nei casi peggiori – errori di interpretazione che possono compromettere un’intera missione. Anche il pathfinding (cioè la capacità dell’IA di muovere correttamente le unità nello spazio) è in genere affidabile, ma ogni tanto inciampa: ci sono momenti in cui un commando prende una direzione imprevista, o resta bloccato in punti poco leggibili della mappa.

A livello visivo, Commandos: Origins si difende bene, ma non lascia davvero il segno. Le ambientazioni sono varie, curate e riconoscibili, con un buon colpo d’occhio generale. Le texture risultano pulite, le animazioni fanno il loro dovere, ma manca quel salto di qualità che ci si aspetterebbe da una produzione di peso. Alcuni dettagli emergono con più carattere – come l’attenzione ai suoni ambientali o la coerenza storica degli oggetti di scena – ma nel complesso la direzione artistica si mantiene su una linea piuttosto conservativa.

Il comparto audio, invece, è meno convincente. Le musiche orchestrali accompagnano l’azione senza mai davvero imporsi, e faticano a costruire un’identità sonora riconoscibile. Il doppiaggio è corretto, senza sbavature evidenti ma anche privo di personalità. Qualche effetto sonoro – il ronzio dei pali elettrici, il colpo ovattato di una lama – contribuisce all’atmosfera, ma resta un elemento di contorno, non abbastanza incisivo da fare la differenza.

In alcuni momenti, però, emergono scelte poco curate anche sul piano localizzativo: capita di imbattersi in sottotitoli che riportano – letteralmente – una scritta che indica la mancanza della traduzione in italiano, spezzando l’immersione in modo involontariamente comico. Un dettaglio trascurabile sul piano tecnico, ma che lascia l’impressione di un lavoro ancora da rifinire.

Infine, sul piano della regia e della presentazione, Commandos: Origins sceglie di non inseguire una messa in scena cinematografica. Le cutscene sono essenziali, spesso ridotte a semplici briefing testuali, e il racconto si affida più alla funzionalità che all’ispirazione visiva. Una scelta coerente con lo spirito della serie, certo, ma che nel contesto attuale rischia di far apparire il tutto un po’ piatto e datato. L’autorialità esiste, ma resta in ombra.

Dal punto di vista tecnico, il gioco si dimostra solido e strutturalmente ben costruito, ma non privo di angoli da smussare. Su laptop con RTX 3060, attivando il DLSS, si possono riscontrare occasionali cali di framerate, soprattutto nelle aree più dense o durante i rapidi cambi di visuale. Un aggiornamento mirato potrebbe migliorare sensibilmente l’esperienza, limando alcune delle incertezze che oggi ne riducono l’impatto. Per ora resta un titolo che funziona nella sostanza, ma non riesce a imporsi né sul piano visivo né su quello sonoro.

Commandos: Origins

Versione Testata: PC

7.5

Voto

Redazione

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Commandos: Origins

Commandos: Origins riesce a riproporre con coerenza la formula classica della serie, aggiornandola con alcune meccaniche moderne e un buon level design. Il gameplay è profondo e appagante, soprattutto per chi ama ragionare prima di agire. Tuttavia, l’assenza di una progressione narrativa coerente, alcuni limiti tecnici e una gestione delle abilità non sempre bilanciata impediscono al gioco di raggiungere l’eccellenza. È un ritorno interessante, consigliato a chi cerca sfida e metodo, ma con la consapevolezza che serve pazienza e tolleranza per gli spigoli non ancora limati.

 

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