Cuphead

di Roberto Vicario

Ci sono giochi che entrano nel cuore per svariati motivi. C’è quello che ti rimandi ad indelebili ricordi di infanzia, quello che ha scandito momenti importanti della tua vita o quello che ami senza un motivo particolare perché al cuore, davvero, non si comanda.

Ci sono poi prodotti che hanno una vera storia da raccontare, una di quelle storie che fanno bene al nostro settore, che riescono a dimostrare a chi gioca o legge di videogiochi (ma anche a chi ne scrive eh!) che in mezzo a poligoni, critiche, bug e flame c’è un’anima e soprattutto un cuore pulsante. Un organo umano in grado di pompare tanta di quella passione che lascia quasi storditi.

In questa casistica Cuphead ci entra a piene mani. La storia di Chad e Jared Moldenhauer e della loro piccola software house chiamata Studio MDHR, passa davvero attraverso quell’”american dream” fatto di sogni, sacrifici, rischi e lieto fine; manco fosse un film di Hollywood. Non ci dilungheremo oltre in questa sede, ma se volete documentarvi, scoprirete tante di quelle cose che vi lasceranno davvero di stucco.

Golden Age…videoludica!



Parliamo di “lieto fine” perché, dopo una fugace apparizione durante la conference E3 di Microsoft nel lontano 2014, di Cuphead si erano perse le tracce. Il paradosso, se vogliamo, è che più cresceva la curiosità del pubblico attorno a questo progetto, più i tempi di sviluppo si allungavano tremendamente, tanto da far scattare nella mente dei giocatori ipotesi riguardanti una possibile cancellazione.

E invece no, Cuphead è vivo e vegeto, e da qualche giorno disponibile per Xbox One e PC. Un progetto che a conti fatti è valsa davvero la pena aspettare. Ci troviamo davanti ad un qualcosa che pad alla mano riesce a stordire in toto i sensi del giocatore, offrendogli un livello qualitativo che rasenta la perfezione e un gameplay che è tutto tranne che un elemento accessorio all’esperienza.

I fratelli Moldenhauer sono cresciuti a pane e cartoni anni ’30, e guardando quello che hanno partorito, ci sembra davvero scontata come affermazione. All’interno dei mondi e dei livelli che formano l’esoscheletro dell’esperienza, troviamo infatti un amore viscerale nei confronti di una golden age del cartone americano che viene espressa e trasmessa con una carica incredibile. Il level design, le animazioni, le espressioni facciali, i filtri e una colonna sonora jazz particolare - e inedita - catapultano il giocatore all’interno di un mondo allegorico, dai tratti quasi oscuri che spesso sembrano scivolare nell’esoterico. Davanti ai colori sfumati e quasi sbiaditi dal tempo, e a movimenti accentuati come nella grande tradizione cartonesca, troviamo infatti tutto un sottobosco di immagini che senza particolare pudore parlando di anime vendute, diavoli, gioco d’azzardo e addirittura al "fumo". Una chiara visione del cartone lontana da quella attuale, ma perfettamente in linea con quello che è stato, e mai sarà più.

Tutto gira in maniera assolutamente credibile, e difficilmente riuscirete a staccarvi da un prodotto che vi cattura gli occhi con le immagini, e vi incatena alla sua esperienza ludica con un gameplay tosto, bastardo, impegnativo e quasi ai limiti della frustrazione, ma allo stesso tempo appagante come poche altre cose viste in questi ultimi anni.

Girovagando qua e là ci si imbattere in boss fight quanto mai impegnative (essenza vera dell’esperienza), con varie fasi che trasformano Cuphead in qualcosa di diabolico e sadico, con una curva di apprendimento paragonabile solamente alle grandi e faticose scalate dei ciclisti. Ma vi assicuriamo che una volta arrivati sulla cima, dopo aver sacrificato fatica e quintali di morti, la sensazione di appagamento sarà davvero impareggiabile.

Ed è proprio questo che stupisce di Cuphead, il suo essere severo nell’esecuzione e dolce nel regalarti sensazioni positive alla sconfitta di ogni singolo boss. Merito anche di un sistema di controllo che, pur basandosi su tre sole azioni, riesce a essere preciso e ficcante, in grado di realizzare con precisione quello che il giocatore chiede, dando quella precisione e puntualità necessaria per superare le sfide. Sfide che sono sempre diverse, dinamiche, in costante evoluzione, che stimolano la sperimentazione e che mai - e ripetiamo mai - sembrano assomigliarsi tra loro. Sotto questo aspetto il lavoro svolto è davvero encomiabile.

Il gioco offre anche la possibilità di personalizzare Cuphead - o suo “fratello” se si decide di giocare in co-op - grazie ad un maiale particolarmente amichevole (e qui la metafora è lampante) che offrirà, al costo di monete sonanti, potenziamenti in grado di modificare spesso e volentieri l’approccio allo scontro. Monete che possono essere racimolate negli hub dei vari livelli, oppure all'interno di (pochi) livelli squisitamente run & gun, che a loro volta metteranno fortemente alla prova le vostre skills.

Difficile trovare quindi qualcosa di negativo all'interno di un'esperienza che, si percepisce chiaramente, è stata cura nei minimi dettagli. Ma se proprio vogliamo trovargli un difetto, l'unico che vale la pena sottolineare è la mancanza della co-op online e dei testi ancora in lingua inglese (arriveranno in italiano!).