Dark Sector
di
Pietro Puddu
Guardiamoci allo specchio: l'essere umano, dal punto di vista meramente fisico, parte svantaggiato nella lotta per la sopravvivenza alle insidie naturali. Lo sviluppo delle facoltà intellettive ci ha condotto a colmare con l'inventiva carenze drammatiche; giugulare ingenuamente esposta, nessun esoscheletro protettivo, unghie appena abbozzate, denti spuntati montati su mascelle troppo deboli, posizione eretta che tende a mettere a rischio, nel caso di approccio frontale alla minaccia, parti delicatissime quali testicoli o seno.
Poco importano simili handicap a fronte della sterminata oggettistica letale fabbricata dalla preistoria ad oggi, ma una sorta di ancestrale frustrazione rimane in una specie animale da sempre dedita alla caccia e più in generale all'esercizio della violenza. Non a caso, tra i tanti frutti della nostra fantasia é ricorrente l'ibridazione del corpo. Metà uomo e metà bestia, come la mitologia insegna, metà uomo e metà robot, come la moderna fantascienza suggerisce.
Sempre in campo di voli pindarici avveniristici, anche una mutazione genetica potrebbe esaudire il desiderio di estendere le proprie potenzialità anatomiche. Dark Sector vede il protagonista Hayden Tenno acquisire come appendice del proprio braccio una devastante alabarda da lancio, dopo aver contratto l'agente patogeno Technocyte nel corso di una missione d'infiltrazione. Il processo d'alterazione dei tessuti é solo il primo stadio di una metamorfosi che si evolve verso l'annichilazione della coscienza individuale; le maggiori potenze del pianeta mirano al possesso di un simile mezzo di controllo, in grado di forgiare eserciti inarrestabili.
Al di là di uno scenario sci-fi che nel corso dell'avventura faticherà ad emergere in maniera significativa, complici una sceneggiatura e una narrazione superficiali, é più opportuno concentrarsi sulle implicazioni che il naive genera nell'immediato, assumendo un ruolo primario nel gameplay da action-shooter in terza persona; da grandi poteri derivano grandi soddisfazioni, come quella di tranciare in due il nemico mediante la proiezione di un'affilata parte di sé.
Il giocatore diviene una sorta di discobolo futuristico dedito all'arte del massacro; l'arma, alla maniera di un boomerang intelligente, completa il suo volo tornando docile in mano al mittente. Potenza, gittata e aftertouch (possibilità di dirigere la traiettoria dopo il rilascio) vengono acquisiti in automatico, con il passare del tempo e dei livelli, mentre il morbo avanza oltre la fase d'incubazione; l'utilizzo si amplia in breve con la possibilità di un tiro caricato, capace di abbattere in un sol colpo gli avversari standard, da temporizzare accuratamente dosando il dorsale destro del pad (il colore del mirino e la vibrazione del pad aiutano a cogliere il momento giusto).
Colpire serbatoi di elio liquido, centraline di corrente ad alta tensione o getti di fuoco conferisce alla lama le corrispondenti caratteristiche elementali, da sfruttare, oltre che a fini offensivi, per la risoluzione di semplici enigmi ambientali, che possono andare dalla riattivazione di una porta elettronica in corto circuito allo spegnimento di fiamme che ostruiscono il passaggio; ad onor del vero, si tratta di procedure simpatiche ma un po' gratuite, in cui problema e soluzione si manifestano lapalissiani al primo colpo d'occhio.
Il resto dell'offerta ludica attinge a piene mali dal bacino di idee dei classici Resident Evil 4 e Gears of War, ispiratori di quello che sta divenendo ormai un ricco filone; l'inquadratura da sopra la spalla dell'avatar, le interazioni sensibili al contesto e il sistema di coperture sono caratteri di chiara derivazione, a cui si aggiungono riferimenti ancor più espliciti, come gli item nascosti in casse di legno da fracassare o il negozio in cui acquistare potenziamenti.
Dark Sector ha dalla sua la capacità mettere in pratica con efficacia i suggerimenti dei suoi maestri, in una sintesi che non può dirsi sontuosa pur garantendo buone dosi d'intrattenimento.
A fronte degli attacchi dalla distanza di creature e soldati ostili si é chiamati a fare cospicuo affidamento sulla tattica del riparo, appiattendosi contro mura e pilastri per poi sporgersi del tanto che basta a scagliare la lama o a far fuoco con più tradizionali pistole e fucili; gli scontri potranno comunque spostarsi con relativa agilità sul medio o corto raggio, comportando l'eventuale attivazione di violente uccisioni automatiche, previo indebolimento dell'avversario.
Il ritmo é sostenuto, l'azione gustosa nella sua brutalità, l'alternanza tra corpo a corpo e sparatorie ben dosata; talune spurie nel controllo e nelle collisioni non compromettono il feeling complessivo. Qualche perplessità é sollevata dal level design, a volte poco equilibrato, dispersivo nel rapporto tra l'ampiezza dell'arena in cui si consuma la battaglia e l'effettivo riempimento in termini di nemici e di elementi strategici offerti dal fondale.
Alcune idee sembrano non aver trovato il giusto peso nell'economia del gameplay; ad esempio, la curiosa implementazione dell'auto-distruzione delle armi sottratte al nemico, che obbliga ad un fruizione usa-e-getta, é del tutto arbitraria. Lo stesso Black Market espone in una dimessa vetrina equipaggiamenti tutt'altro che stimolanti, tanto che ci si potrebbe ritrovare a bun punto dell'avventura ancora con l'iniziale accoppiata pistola-fucile, senza grossi rimpianti (da parte sua, la risicata quantità di crediti a disposizione non invoglia a sperimentare nello shopping).
La beltà visiva messa in scena dal motore grafico, paradossalmente, mette in luce uno dei maggiori rimpianti. L'illuminazione, la buona fluidità, la solidità poligonale e quell'intrigante direzione artistica rimasta fedele alle origini spaziali e vagamente stealth del progetto (uno dei primi titoli next-gen presentati sotto forma di trailer) sono ridimensionate dalla piatta concezione di locazioni e nemici. Sotterranei, metropolitane, magazzini, hangar, fabbriche e moli industriali si succedono, generici, senza soluzione di continuità, al più raccordati da piazzali all'aperto in cui si sperimenta una certa sensazione di vuoto. Le creature ed i soldati ostili si ripropongono, tutt'altro che memorabili per fattezze e personalità, in poche e poco fantasiose varianti.
Poco importano simili handicap a fronte della sterminata oggettistica letale fabbricata dalla preistoria ad oggi, ma una sorta di ancestrale frustrazione rimane in una specie animale da sempre dedita alla caccia e più in generale all'esercizio della violenza. Non a caso, tra i tanti frutti della nostra fantasia é ricorrente l'ibridazione del corpo. Metà uomo e metà bestia, come la mitologia insegna, metà uomo e metà robot, come la moderna fantascienza suggerisce.
Sempre in campo di voli pindarici avveniristici, anche una mutazione genetica potrebbe esaudire il desiderio di estendere le proprie potenzialità anatomiche. Dark Sector vede il protagonista Hayden Tenno acquisire come appendice del proprio braccio una devastante alabarda da lancio, dopo aver contratto l'agente patogeno Technocyte nel corso di una missione d'infiltrazione. Il processo d'alterazione dei tessuti é solo il primo stadio di una metamorfosi che si evolve verso l'annichilazione della coscienza individuale; le maggiori potenze del pianeta mirano al possesso di un simile mezzo di controllo, in grado di forgiare eserciti inarrestabili.
Al di là di uno scenario sci-fi che nel corso dell'avventura faticherà ad emergere in maniera significativa, complici una sceneggiatura e una narrazione superficiali, é più opportuno concentrarsi sulle implicazioni che il naive genera nell'immediato, assumendo un ruolo primario nel gameplay da action-shooter in terza persona; da grandi poteri derivano grandi soddisfazioni, come quella di tranciare in due il nemico mediante la proiezione di un'affilata parte di sé.
Il giocatore diviene una sorta di discobolo futuristico dedito all'arte del massacro; l'arma, alla maniera di un boomerang intelligente, completa il suo volo tornando docile in mano al mittente. Potenza, gittata e aftertouch (possibilità di dirigere la traiettoria dopo il rilascio) vengono acquisiti in automatico, con il passare del tempo e dei livelli, mentre il morbo avanza oltre la fase d'incubazione; l'utilizzo si amplia in breve con la possibilità di un tiro caricato, capace di abbattere in un sol colpo gli avversari standard, da temporizzare accuratamente dosando il dorsale destro del pad (il colore del mirino e la vibrazione del pad aiutano a cogliere il momento giusto).
Colpire serbatoi di elio liquido, centraline di corrente ad alta tensione o getti di fuoco conferisce alla lama le corrispondenti caratteristiche elementali, da sfruttare, oltre che a fini offensivi, per la risoluzione di semplici enigmi ambientali, che possono andare dalla riattivazione di una porta elettronica in corto circuito allo spegnimento di fiamme che ostruiscono il passaggio; ad onor del vero, si tratta di procedure simpatiche ma un po' gratuite, in cui problema e soluzione si manifestano lapalissiani al primo colpo d'occhio.
Il resto dell'offerta ludica attinge a piene mali dal bacino di idee dei classici Resident Evil 4 e Gears of War, ispiratori di quello che sta divenendo ormai un ricco filone; l'inquadratura da sopra la spalla dell'avatar, le interazioni sensibili al contesto e il sistema di coperture sono caratteri di chiara derivazione, a cui si aggiungono riferimenti ancor più espliciti, come gli item nascosti in casse di legno da fracassare o il negozio in cui acquistare potenziamenti.
Dark Sector ha dalla sua la capacità mettere in pratica con efficacia i suggerimenti dei suoi maestri, in una sintesi che non può dirsi sontuosa pur garantendo buone dosi d'intrattenimento.
A fronte degli attacchi dalla distanza di creature e soldati ostili si é chiamati a fare cospicuo affidamento sulla tattica del riparo, appiattendosi contro mura e pilastri per poi sporgersi del tanto che basta a scagliare la lama o a far fuoco con più tradizionali pistole e fucili; gli scontri potranno comunque spostarsi con relativa agilità sul medio o corto raggio, comportando l'eventuale attivazione di violente uccisioni automatiche, previo indebolimento dell'avversario.
Il ritmo é sostenuto, l'azione gustosa nella sua brutalità, l'alternanza tra corpo a corpo e sparatorie ben dosata; talune spurie nel controllo e nelle collisioni non compromettono il feeling complessivo. Qualche perplessità é sollevata dal level design, a volte poco equilibrato, dispersivo nel rapporto tra l'ampiezza dell'arena in cui si consuma la battaglia e l'effettivo riempimento in termini di nemici e di elementi strategici offerti dal fondale.
Alcune idee sembrano non aver trovato il giusto peso nell'economia del gameplay; ad esempio, la curiosa implementazione dell'auto-distruzione delle armi sottratte al nemico, che obbliga ad un fruizione usa-e-getta, é del tutto arbitraria. Lo stesso Black Market espone in una dimessa vetrina equipaggiamenti tutt'altro che stimolanti, tanto che ci si potrebbe ritrovare a bun punto dell'avventura ancora con l'iniziale accoppiata pistola-fucile, senza grossi rimpianti (da parte sua, la risicata quantità di crediti a disposizione non invoglia a sperimentare nello shopping).
La beltà visiva messa in scena dal motore grafico, paradossalmente, mette in luce uno dei maggiori rimpianti. L'illuminazione, la buona fluidità, la solidità poligonale e quell'intrigante direzione artistica rimasta fedele alle origini spaziali e vagamente stealth del progetto (uno dei primi titoli next-gen presentati sotto forma di trailer) sono ridimensionate dalla piatta concezione di locazioni e nemici. Sotterranei, metropolitane, magazzini, hangar, fabbriche e moli industriali si succedono, generici, senza soluzione di continuità, al più raccordati da piazzali all'aperto in cui si sperimenta una certa sensazione di vuoto. Le creature ed i soldati ostili si ripropongono, tutt'altro che memorabili per fattezze e personalità, in poche e poco fantasiose varianti.
Dark Sector
7
Voto
Redazione
Dark Sector
Dark Sector funziona, traendo proprio da quelle meccaniche prese in prestito da titoli più blasonati la sua efficacia di fondo. Ludicamente solido senza andar tanto per il sottile, cosmeticamente ben corazzato per quanto vacuo nella caratterizzazione, sembra acquisire personalità dal fatto di non averne una troppo definita.
Asettico e godibile.
Asettico e godibile.