Dark Souls: Remastered
Remake, Remastered, Reboot.
Queste tre parole sono praticamente diventate il tormentone di questa generazione. Non importa quante volte le abbiamo sentite, importa quante volte sono entrate con forza in tutti i media d’intrattenimento, segnando in ogni occasione il ritorno alla ribalta di un prodotto capace di lasciare il segno.
Se il cinema ci ha servito scritture arrangiate alla generazione del momento, il mondo videoludico ha invece seguito un trend legato non solo al passaggio stilistico, magari arrangiando il gameplay, ma anche una doverosa (non sempre netta) evoluzione del comparto grafico per quanto riguarda il salto alla next-gen.
Ci piace definirlo così, ma al netto delle chiacchere da bar questo meccanismo ha ormai preso piede con forza, accompagnando l’uscita di produzioni originali pronte a rompere la monotonia del “già visto, passiamo ad altro”.
Il caso odierno vede come protagonista uno dei giochi più significativi della scorsa generazione, un titolo capace di mettere alla prova i giocatori lavorando alacremente sul concetto di trial & error, al punto che la morte non corrisponde più alla fine di qualcosa, ma bensì all’inizio di una nuova lezione significativa da imparare per non essere ripetuta.
Dark Souls ha fatto questo e molto di più, e in cuor nostro sapevamo che From Software avrebbe lavorato a una remastered del primo capitolo del 2011, non soltanto per il semplice passaggio generazionale, ma anche e soprattutto per permettere ai giocatori meno informati di sapere dove tutto ebbe inizio.
CENERE ALLA CENERE
Sette anni sono un tempo molto lungo, soprattutto in ambito videoludico, ma chi ha giocato il primo Dark Souls dall’inizio alla fine probabilmente non si è scordato nemmeno una virgola di quella che è stata la propria esperienza nelle terre di Lordran.
Ancora una volta la città ci concede di esplorare ogni suo vicolo, rovina o anfratto nascosto, dandoci in pasto senza esclusione di colpi i mostri e i boss che hanno tormentato i nostri pomeriggi a suon di botte e morti accompagnate da imprecazioni edulcorate. La giocabilità del titolo è rimasta praticamente invariata, come una legge impressa definitivamente su una tavola dei comandamenti a fare da monito ai posteri, che almeno una volta devono entrare in contatto con Dark Souls per capire il concetto di gioco costruito alle sue spalle.
Questi segni lasciati sotto pelle riaffiorano lentamente mentre si riscopre il gioco, con la sola differenza che adesso ogni movimento e scenario dell’ambientazione sembra più curato, grazie all’aggiornamento della risoluzione che viene supportato dalla capacità di calcolo delle console odierne. Questo si traduce in controlli più reattivi, in texture lievemente più pulite da vedere e soprattutto, per chi ne tiene maggiormente conto, in una fluidità stabile ai 60 frame per secondo.
Il concetto di remastered sembra però lacunare su questo tasto dolente, tant’è che i miglioramenti sopracitati rendono sì il titolo più gradevole alla vista, senza però eccellere se paragonato a Dark Souls III, tant’è che molti effetti visivi e alcune animazioni sembrano rimasti fermi al 2011. Si vede che si è cercato di lavorare sul codice della precedente generazione, come si vede che l’ottimizzazione si ferma a quella che può meglio definirsi una conversione eseguita al cinquanta percento.
A tutto questo si somma negativamente un eccessivo utilizzo del motion blur, accompagnato in parte da una mancata rivoluzione dell’interfaccia di gioco, che è rimasta ferma al passato proponendo le stesse informazioni del tempo senza un minimo ammodernamento stilistico.
INSIEME NELLA MORTE
Il comparto che forse ha visto più cambiamenti con questa edizione remastered è forse l’online, visto che dall’uscita del gioco sono stati implementati nuovi server dedicati al servizio, fattore che elimina l’imperfetto sistema P2P regalando una stabilità maggiore in termini di lag.
Il team di sviluppo ha lavorato bene ammodernando il servizio, ispirandosi al ben implementato sistema di Dark Souls III utile a creare una sessione univoca munita di password, così da poter evocare direttamente un amico senza troppi fronzoli a corredo. In questo modo si ottiene la preziosa possibilità di condividere le “pene” dell’inferno insieme a qualcuno, magari evitando al contempo anche qualche morte in più dal contatore spesso tendente alle tre cifre.
A chiudere le modifiche apportate al comparto online troviamo le invasioni, che adesso possono ospitare la bellezza di sei giocatori contemporaneamente pronti a scontrarsi nello stesso match per vedere chi avrà la meglio. La gestione delle fiaschette Estus (cura) vengono ridotte di numero, probabilmente al fine di bilanciare il combattimento con l’intenzione di renderlo più tattico.
SI STATA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO?
Dopo aver esplorato nuovamente le terre di Lordran, possiamo dire che giungere alla fine del viaggio in Dark Souls ha sempre il suo fascino. Al netto delle modifiche tecniche, soprattutto nel comparto grafico, il titolo sviluppato da From Software cambia leggermente il proprio aspetto esteriore, ma lo fa conservando un bagaglio di contenuti risalente al 2011 senza la reale voglia di fare qualcosa di più.
Questo è probabilmente il caso in cui remastered si traduce in porting, ed è un peccato constatare che la software house si sia limitata a traslare il materiale senza lavorarlo da cima a fondo. L’universo fantasy di Dark Souls resta comunque un caposaldo nel suo genere, un titolo che va esclusivamente aggiunto nel proprio bagaglio videoludico, senza diritto di replica.