Dead or Alive Ultimate
di
Giuseppe Schirru
Itagaki è esagerato. Un perfezionista, un cultore del bello. E il suo picchiaduro non fa eccezione. Detrattori lo dipingono come un esercizio di stile fine a se stesso, rinnegano la bontà del gameplay etichettandolo come poco profondo e roba da principianti, snobbano il sistema di combattimento scevro da ragguardevoli velleità tattiche. Niente di più sbagliato. Sottovalutare un patrimonio ludico che per evidenti qualità ha ragione di esistere, qualità non limitate alla cosmesi visiva, è un oltraggio a una serie che nel corso degli anni ha segnato pagine indelebili nella storia dei beat'em up 3D, avvantaggiandosi della carenza di novità nei diretti antagonisti e al contempo rimanendo ossequiosamente distaccato da strutture picchiaduro ben più complesse.
E' ambiguo come Ultimate non si curi della necessità di recuperare il passo a formule di gioco più tecniche e profonde, ma dimostri l'impellente necessità di non cambiare le carte in tavola per potersi gettare nella rete con risultati soddisfacenti. Riproporre la diretta conversione di Dead or Alive versione Saturn e Dead or Alive 2 pompata, rinvigorita dal nuovo engine grafico, aggiungendo extra e modalità on-line, non è quella mera pretesa commerciale che il progetto lascerebbe sulle prime intuire. Rivolgiamo la nostra attenzione al secondo episodio, poiché il primo altri non è che una conversione diretta dal 32 bit Sega che beneficia di qualche texture maggiormente definita e una risoluzione a 640 x 480. Poca roba. Il seguito va ben oltre alla definizione di porting diretto.
Il primo impatto è ingannevole: medesimi personaggi, stage già visti, un sistema di combattimento che si accosta all'ormai proverbiale citazione della morra cinese e la constatazione che Kasumi, Ayane, Tina e socie, non hanno problemi di cellulite. Levare i petti ballonzolanti delle ragazze equivarrebbe a rinnegare il passato, e infatti qua si balla. Immortalate da un simile motore grafico, le combattenti di Dead or Alive ancora una volta sono gioia per gli occhi e per lo spirito. Al piglio vagamente voyeur, ci siamo abituati, come anche a una grafica fenomenale che fa da cornice a un impianto ludico di dubbio spessore. L'impossibilità di riversare negli scontri un esauribile inventiva tattica, il prevedere e parare il numero di mosse avversarie tutt'altro che vasto, rendono gli scontri chiari e schematici, semplicistici nel loro essere. La possibilità di scaraventare gli avversari contro il soffitto è un esile orpello ludico inserito per l'occasione, il perfezionamento effettuato al modello di base non ha contagiato le fondamenta, che ancora una volta rimangono fragili per l'esperto, relativamente solide per il giocatore medio. A onor del vero, Dead or Alive non sarà il beat'em up più tattico e profondo della storia, ma alzi la mano chi gli contesta d'essere tra i più divertenti, risultando accessibile ai più.
L'abuso delle reversal, aventi una finestra di attivazione immensa, rende l'andamento degli scontri sintetizzato e concentrato al massimo, riducendo lo scontro a un banale pari o dispari. La totale padronanza del sistema di contromosse, evidenzia e sottolinea la pochezza del titolo Tecmo nello sforzo di padroneggiare la tematica ludica. I colpi, le prese e le reversal sono i tratti essenziali di uno scontro confezionato secondo l'ormai consueta citazione del carta, forbici, sasso, il registro strettamente ludico è di dubbio livello, sviscerabile in un continuo pari o dispari dove un giocatore attacca, l'altro effettua la contromossa e via, ripetendo l'operazione più e più volte e togliendo di efficacia combo e mosse speciali. Problematiche che la serie si porta dietro oramai da diverso tempo. Suddetta limitazione, ravvisabile ad alti livelli, viene comunque meno per buona parte della popolazione videoludica, capace di ritrovare nel titolo Tecmo una curva di apprendimento tutt'altro che ripida. La facilità disarmante nell'esecuzione delle combo regala sorrisi al giocatore occasionale, senza per questo rendersi un omaggio ai cultori dello smashing buttons.
Pur non potendo contare su un fighting system complesso come quello di VF4, e stabilizzandosi sulla media delle settanta mosse per personaggio, DOA Ultimate dal raffronto esce ridimensionato, ma rimane un titolo decisamente onesto. Il numero complessivo dei lottatori è quindici, di cui quattordici ripresi dal secondo capitolo e l'aggiunta di Hitomi del terzo, le modalità rimangono invariate (tra tutte spicca l'ormai celebre 2 vs 2 con la possibilità di switchare i combattenti) e l'aggiunta dell'online è la ciliegina sulla torta. A impressionare favorevolmente è la cura riposta nelle collisioni, che in frangenti quali dislivelli tra i due combattenti riescono in ogni caso a mantenersi ottime. Qualche imprecisione rimane, ma nulla di plateale e decisamente circoscritta che lasciamo volentieri ai pignoli. Sarebbe comunque ingeneroso considerarlo alla stregua di un picchiaduro stritolato dai limiti del sistema di combattimento: il level design non ha valore ornamentale ma gioca un ruolo fondamentale, a lui Ultimate affida le speranze di innovazione, invero blande, ma esercita una buona alternativa ai classici picchiaduro 3D, potendo vantare un'ottima interagibilità col fondale, su cui scaraventare avversari, e stage altamente spettacolari articolati su più livelli. Chiudere e sbattere all'angolo l'avversario, negli stage dalle infime dimensioni (e non multilivello), è prassi redditizia per inferire quasi sicuramente un altro colpo senza che questi possa reagire, tuttavia il pieno sfruttamento degli spostamenti laterali scongiura simili inconvenienti.
Il reparto grafico domina dall'alto e guarda con fiera superiorità i diretti rivali. Sull'altare dell'opulenza visiva non sacrifica nulla, né un frame rate ancorato a 60fps stabili, né alcune scorciatoie visive, né un'estensione dei livelli ragguardevole, con possibilità di interagire con buona parte del fondale. Sublimi le animazioni, il resto è sfarzo di colori, poligoun count eccessivo, pulizia visiva ad alti livelli e modelli poligonali semplicemente straordinari, paragonabili a quelli in CG. L'impatto grafico, devastante, si basa su un evoluzione dell'engine di Extreme Beach Volley che ha fatto sbavare migliaia di giocatori con petti ballonzolanti e curve mozzafiato, qua impreziosite da vestitini che fluttuano mostrando molto più che semplici lembi di pelle digitale. Potenza bruta, cosmesi visiva maestosa come manifesto a muro delle capacità dei grafici Tecmo e di un hardware, quello della console Microsoft, in grado ancora di dire la sua. Il reparto sonoro vanta il pieno supporto del 5.1, voci digitalizzate alla perfezione e le identiche musiche di DOA2. In fondo, viene facile chiudere un occhio sulla poca profondità del sistema di combattimento. Aveva ragione Itagaki. Perché tanto, c'è la cultura del bello.
E' ambiguo come Ultimate non si curi della necessità di recuperare il passo a formule di gioco più tecniche e profonde, ma dimostri l'impellente necessità di non cambiare le carte in tavola per potersi gettare nella rete con risultati soddisfacenti. Riproporre la diretta conversione di Dead or Alive versione Saturn e Dead or Alive 2 pompata, rinvigorita dal nuovo engine grafico, aggiungendo extra e modalità on-line, non è quella mera pretesa commerciale che il progetto lascerebbe sulle prime intuire. Rivolgiamo la nostra attenzione al secondo episodio, poiché il primo altri non è che una conversione diretta dal 32 bit Sega che beneficia di qualche texture maggiormente definita e una risoluzione a 640 x 480. Poca roba. Il seguito va ben oltre alla definizione di porting diretto.
Il primo impatto è ingannevole: medesimi personaggi, stage già visti, un sistema di combattimento che si accosta all'ormai proverbiale citazione della morra cinese e la constatazione che Kasumi, Ayane, Tina e socie, non hanno problemi di cellulite. Levare i petti ballonzolanti delle ragazze equivarrebbe a rinnegare il passato, e infatti qua si balla. Immortalate da un simile motore grafico, le combattenti di Dead or Alive ancora una volta sono gioia per gli occhi e per lo spirito. Al piglio vagamente voyeur, ci siamo abituati, come anche a una grafica fenomenale che fa da cornice a un impianto ludico di dubbio spessore. L'impossibilità di riversare negli scontri un esauribile inventiva tattica, il prevedere e parare il numero di mosse avversarie tutt'altro che vasto, rendono gli scontri chiari e schematici, semplicistici nel loro essere. La possibilità di scaraventare gli avversari contro il soffitto è un esile orpello ludico inserito per l'occasione, il perfezionamento effettuato al modello di base non ha contagiato le fondamenta, che ancora una volta rimangono fragili per l'esperto, relativamente solide per il giocatore medio. A onor del vero, Dead or Alive non sarà il beat'em up più tattico e profondo della storia, ma alzi la mano chi gli contesta d'essere tra i più divertenti, risultando accessibile ai più.
L'abuso delle reversal, aventi una finestra di attivazione immensa, rende l'andamento degli scontri sintetizzato e concentrato al massimo, riducendo lo scontro a un banale pari o dispari. La totale padronanza del sistema di contromosse, evidenzia e sottolinea la pochezza del titolo Tecmo nello sforzo di padroneggiare la tematica ludica. I colpi, le prese e le reversal sono i tratti essenziali di uno scontro confezionato secondo l'ormai consueta citazione del carta, forbici, sasso, il registro strettamente ludico è di dubbio livello, sviscerabile in un continuo pari o dispari dove un giocatore attacca, l'altro effettua la contromossa e via, ripetendo l'operazione più e più volte e togliendo di efficacia combo e mosse speciali. Problematiche che la serie si porta dietro oramai da diverso tempo. Suddetta limitazione, ravvisabile ad alti livelli, viene comunque meno per buona parte della popolazione videoludica, capace di ritrovare nel titolo Tecmo una curva di apprendimento tutt'altro che ripida. La facilità disarmante nell'esecuzione delle combo regala sorrisi al giocatore occasionale, senza per questo rendersi un omaggio ai cultori dello smashing buttons.
Pur non potendo contare su un fighting system complesso come quello di VF4, e stabilizzandosi sulla media delle settanta mosse per personaggio, DOA Ultimate dal raffronto esce ridimensionato, ma rimane un titolo decisamente onesto. Il numero complessivo dei lottatori è quindici, di cui quattordici ripresi dal secondo capitolo e l'aggiunta di Hitomi del terzo, le modalità rimangono invariate (tra tutte spicca l'ormai celebre 2 vs 2 con la possibilità di switchare i combattenti) e l'aggiunta dell'online è la ciliegina sulla torta. A impressionare favorevolmente è la cura riposta nelle collisioni, che in frangenti quali dislivelli tra i due combattenti riescono in ogni caso a mantenersi ottime. Qualche imprecisione rimane, ma nulla di plateale e decisamente circoscritta che lasciamo volentieri ai pignoli. Sarebbe comunque ingeneroso considerarlo alla stregua di un picchiaduro stritolato dai limiti del sistema di combattimento: il level design non ha valore ornamentale ma gioca un ruolo fondamentale, a lui Ultimate affida le speranze di innovazione, invero blande, ma esercita una buona alternativa ai classici picchiaduro 3D, potendo vantare un'ottima interagibilità col fondale, su cui scaraventare avversari, e stage altamente spettacolari articolati su più livelli. Chiudere e sbattere all'angolo l'avversario, negli stage dalle infime dimensioni (e non multilivello), è prassi redditizia per inferire quasi sicuramente un altro colpo senza che questi possa reagire, tuttavia il pieno sfruttamento degli spostamenti laterali scongiura simili inconvenienti.
Il reparto grafico domina dall'alto e guarda con fiera superiorità i diretti rivali. Sull'altare dell'opulenza visiva non sacrifica nulla, né un frame rate ancorato a 60fps stabili, né alcune scorciatoie visive, né un'estensione dei livelli ragguardevole, con possibilità di interagire con buona parte del fondale. Sublimi le animazioni, il resto è sfarzo di colori, poligoun count eccessivo, pulizia visiva ad alti livelli e modelli poligonali semplicemente straordinari, paragonabili a quelli in CG. L'impatto grafico, devastante, si basa su un evoluzione dell'engine di Extreme Beach Volley che ha fatto sbavare migliaia di giocatori con petti ballonzolanti e curve mozzafiato, qua impreziosite da vestitini che fluttuano mostrando molto più che semplici lembi di pelle digitale. Potenza bruta, cosmesi visiva maestosa come manifesto a muro delle capacità dei grafici Tecmo e di un hardware, quello della console Microsoft, in grado ancora di dire la sua. Il reparto sonoro vanta il pieno supporto del 5.1, voci digitalizzate alla perfezione e le identiche musiche di DOA2. In fondo, viene facile chiudere un occhio sulla poca profondità del sistema di combattimento. Aveva ragione Itagaki. Perché tanto, c'è la cultura del bello.
Dead or Alive Ultimate
8
Voto
Redazione
Dead or Alive Ultimate
Programmato con diligenza e grande riguardo nei confronti della sfera audiovisiva, Ultimate trova nella natura stessa del progetto un ostacolo insormontabile per tentare il sorpasso nei confronti di beat'em up più accreditati. La struttura portante degli scontri, giocando ad alti livelli, presenta caratteristiche che lo rendono un pari o dispari dalle dubbie capacità tattiche, stirate da un'esperienza ludica poco profonda. D'altro canto, il prodotto Team Ninja risulta immediato, accessibile ai più e impreziosito da alte capacità ricreative, specie se giocato online. Patinato, superlativo a livello grafico, rimane un onesto diversivo rispetto a quanto offerto dal mercato e, grazie all'online, uno dei picchiaduro più significativi. Il prodotto Team Ninja ancora una volta si affida troppo all'immagine, ma ancora una volta, sia chiaro, le ragazze copertina valgono il prezzo del biglietto.