Death Stranding
Anche perché il mondo immaginato da Kojima è quanto di più vuoto e inospitale si possa immaginare. Esteticamente sublime, l’America di Death Stranding è un’immensa distesa verdeggiante. Il terreno è di chiara natura lavica (non a caso nei credits del gioco si ringrazia la nazione Islandese per la collaborazione) ed è punteggiato da continui cumuli di rocce, in modo da rendere davvero difficoltoso anche l’eventuale percorso portato avanti con mezzi a tre o quattro ruote. Non mancheranno poi alte montagne da scalare e scenari innevati, che ci costringeranno a fare i conti con terreni scoscesi e scivolosi obbligandoci a cercare il continuo equilibrio del carico distribuito sulle nostre spalle che, se maltrattato, potrebbe irrimediabilmente rovinarsi.
Un “Coast to coast” davvero meraviglioso ed esaltante, che a fronte di un gameplay all’apparenza semplice nasconde invece strategia, pianificazione e capacità di adattarsi alle situazioni che si presenteranno di volta in volta. Non mancheranno comunque le occasioni di sguainare le armi, in particolare quando Sam si ritroverà a vivere gli orrori delle guerre passate, summa dei peccati dell’uomo che dobbiamo imparare a lasciare al ricordo per garantirci un futuro migliore. In questi particolari stage, ben inseriti all’interno del contesto di gioco, Sam si ritroverà a calcare i terreni di battaglia della prima e della seconda guerra mondiale, nonché quella del Vietnam, alla ricerca di uno dei personaggi chiave del gioco, impersonato dall’attore Mads Mikkelsen.
Reedus e Mikkelsen sono solo due dei protagonisti presenti nel ricchissimo cast, che comprende anche il regista Guillermo del Toro, Léa Seydoux, Troy Baker, Margaret Qualley e l’ex donna bionica Lindsay Wagner. A questi si devono anche aggiungere altri volti noti del piccolo schermo, come Conan O’Brien e Geoff Keighley. Un cast davvero molto ricco, che porta Death Stranding molto vicino ad una esperienza cinematografica interattiva. Non solo per la presenza di attori e attrici molto noti al grande pubblico ma anche per qualità della sceneggiatura, per la ricchezza dei dettagli e per lo spessore dei personaggi, spesso rivivendo in prima persona le loro stesse storie. E di tempo ne avremo davvero parecchio a nostra disposizione. Per portare a termine l’avventura principale abbiamo impiegato per 45 ore, e completare tutte le innumerevoli missioni secondarie che si aprono nel corso dell’avventura. Una volta terminata, avremo comunque la possibilità di rimanere all’interno del mondo di gioco, per chiudere quanto lasciato in sospeso, magari collaborando con altri giocatori inclusi nella nostra lista amici.
Death Stranding prevede infatti un particolare sistema di collaborazione asincrona tra i giocatori. Tutti gli elementi piazzati nel mondo di gioco, come corde o funi, potranno essere utilizzati anche dai giocatori inclusi nella nostra lista amici, sempre che la cronopioggia o la crononeve non li abbiano resi inutilizzabili nel frattempo. Chi usufruirà delle nostre strutture potrà premiarci con un “like”, che andrà a sommarsi a quelli dati dai normali clienti, creando così una solida base per l’avanzamento delle nostre skill in game. L’avanzamento dei livelli di Sam porterà in dote la possibilità di possedere attrezzature migliori e una maggiore resistenza a sollecitazioni che in alcuni frangenti diventano davvero estreme.
I comandi di gioco, all’apparenza complessi, diventano via via di semplice assimilazione. Oltre ai normali movimenti di base, Sam potrà gestire i menù dei materiali trasportati, costruire strutture più o meno complesse e, ovviamente, combattere a mani nude o con le poche armi messe a disposizione. Tutte le interazioni con gli oggetti e con l’ambiente sono praticamente perfette e mosse da un motore grafico e fisico di notevole fattura (anche se alcune cose viste nell’ultimo Ghost Recon in fatto di movimenti su terreni scoscesi sembrano essere fatti decisamente meglio).
Tutto merito del Decima Engine, il motore grafico sviluppato dai ragazzi di Guerrilla Games, qui adattato e customizzato dal team di Kojima. Una collaborazione che ha portato a risultati davvero impressionanti. Il mondo di Death Stranding sembra essere “vivo” sotto i nostri occhi, le texture sono ricchissime di particolari e gli eventi atmosferici arricchiscono la sensazione di veridicità di quanto ci viene mostrato sullo schermo. I video, perno centrale della narrazione, sono molto dettagliati e i volti e i modelli poligonali dei protagonisti sono quanto di più simile alla controparti reali (Norman Reedus ne ha approfittato per chiedere qualche muscolo in più). Di conseguenza la recitazione digitale di Death Stranding sposta l’asticella più in alto per l’intera industry videoludica, settando un nuovo metro di paragone per le generazioni future.
Più in generale abbiamo apprezzato l’intera amalgama di gameplay, video di intermezzo e comunicazioni in game, che hanno creato un connubio tra gioco e narrazione praticamente perfetto, se si esclude forse una parte finale inutilmente stiracchiata. Ma è forse l’unico neo che possiamo imputare ad un’opera che non si tira indietro nel parlare dritto al cuore di chi impugna il pad, mettendolo di fronte a situazioni sicuramente impossibili nella realtà ma che metaforicamente parlano in modo molto aperto, come forse mai prima d’ora in un videogioco, di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi da ormai troppo tempo e di come forse si sia superato il limite di non ritorno.
Eppure Death Stranding non è un gioco triste. E’ un gioco dai toni cupi e seri, dove però viene lasciata aperta la porta della speranza. Un’opera autoriale che arriva da uno dei creatori più impegnati del settore, che già in Metal Gear Solid ha saputo portare sullo schermo tematiche importanti e universali. Un plauso va fatto anche all’imponente lavoro di doppiaggio, con voci ben azzeccate e contestualizzate alla perfezione alle varie situazioni di gioco, a cui si aggiunge una colonna sonora fantastica, che potete trovare anche su Spotify come Playlist da ascoltare anche dopo le vostre sessioni di gioco.