Dishonored: La Morte dell'Esterno

di Marco Modugno

Billie Turk è molto antipatica. Tutt’altro che attraente, lontana un parsec dall’ideale femminino presente nell’immaginario del nerd medio, decisamente mascolina (Arkane non ha resistito a infilare per forza nella trama il ricordo di un’amante lesbica), mutilata di un braccio e di un occhio, l’assassina protagonista dell’espansione stand alone di Dishonored 2 difficilmente smuoverà gli ormoni di qualche ragazzino gamepad-addicted e di sicuro non insidierà la corona di Lara Croft, come eroina più sensuale del vostro monitor. Forse, però, lo scopo del team di sviluppo era proprio quello. Azzerare in pochi istanti (basta un’occhiata alla cover del gioco che la rappresenta come la sorella tossica e inc****ta di Halle Berry) il livello di testosterone per stimolare, invece la rabbia e la voglia di rivalsa che fanno da motivo conduttore alla trama del gioco. Nei panni di Billie, infatti, tornerete a Karnaca con parecchi conti da regolare annotati sul vostro libro nero delle vendette. A partire dalla liberazione del vostro vecchio mentore, Daud, caduto nelle mani di una gang che lo utilizza nei combattimenti clandestini, fino al confronto finale, e letale, con l’Esterno, misterioso uomo-dio dagli occhi neri ben noto a chi ha già giocato, o quanto meno seguito, la trama dei precedenti capitoli del franchise.

Prima di addentrarci, facendo ben attenzione a non oltrepassare il sacro confine dello spoiler mode, nella disamina veloce della storia e del gameplay, è d’obbligo spendere il minimo sindacale di parole in merioto al comparto tecnico. Parliamo della versione per Xbox One, basata proprio come il capitolo due della saga sul motore Void che, a differenza dell’Unreal adoperato nel numero uno, è caratterizzato da una grafica meno sepolcrale e fumosa (non ho trovato aggettivi migliori per definire quella patina di sporco grigiastro che sembrava offuscare le ambientazioni di Dishonored, facendone uno dei giochi più opprimenti che abbia mai avuto modo di provare) e decisamente più vicina al cel-shading, pur conservando un deciso tono realistico.

La cosa non è un male, anzi. Colori più vivaci, una gestione più aggressiva delle luci e dei riflessi e una caratterizzazione meno tetra dei personaggi aiuta a dare un tono più dinamico alla storia, rendendola a mio parere più godibile e meno ansiogena. Ed è un bene, vista la natura decisamente per adulti della trama.

Lo stesso dicasi di una colonna sonora discreta, mai invasiva, priva come sempre più spesso accade di una title track che scriva una pagina indelebile nei ricordi di un giocatore a distanza di anni, ma tutto sommato apprezzabile. Suoi ed effetti ottimi e doppiaggio dei personaggi di buon livello. Hollywood è lontana, ma lo sforzo complessivo è apprezzabile. Meno bene dicasi dell’effetto “spezzatino” che contraddistingue i combattimenti. Più che con una spada, sembra sempre di attaccare i nemici con una sega a motore, con pezzi che volano da una parte e dall’altra, tronchi separati dal busto in un solo colpo che nemmeno la Sposa di Tarantino, e così via. Sarebbe stato preferibile un sano realismo alla Skyrim, con qualche fatality finale, piuttosto che l’effetto di un grand-guignol a basso costo scelto inspiegabilmente per soddisfare il palato di qualche sociopatico disposto ad accettare compenetrazioni ed errori grafici notevoli in cambio, e scontentare tutti gli altri. Peccato, perché le ambientazioni, sebbene in parte riciclate dai capitoli precedenti, quanto meno in parte, sono piuttosto belle e realistiche. La linearità della trama elimina quasi del tutto quella sensazione di sand box almeno parziale presente nei predecessori. Ma l’atmosfera steampunk (la traduzione italiana del termine, mi dicono gli amici della Tombolini Editore, è “vaporteppa”: spettacolare!) del gioco è davvero molto immersiva e dettagliata e la possibilità di interagire con porte, passaggi, leve, per mettere a punto una strategia sempre nuova, ben studiata. 

Ed eccoci al succo, che in un’espansione che cambia poco o nulla dal punto di vista tecnico, come abbiamo appena scritto, non può che venire dalle novità riguardanti il gameplay e la trama.

Come era lecito aspettarsi, una protagonista nuova significa nuovi poteri speciali da utilizzare. Tre nuove capacità soprannaturali sono messe a disposizione di Billie, per aiutarla a portare a termine la sua missione. La più intrigante, almeno all’apparenza, si rivela la meno utile. Con Somiglianza potrete “rubare” la faccia a chiunque, meglio di Arya Stark, e impersonarlo superando così controlli e diffidenze altrui. Il problema è che il consumo di energia generato da questa abilità è pesante e rischia di lasciarvi a secco proprio quando serve, ragion per cui, almeno io, mi sono trovato ad adoperarla di rado e perlopiù per divertimento. Molto più funzionali le altre due, Preveggenza e Dislocazione. Se la prima vi consentirà delle vere e proprie ricognizioni preventive sui luoghi che dovrete percorrere poi, individuando nemici e altri ostacoli, la Dislocazione proietterà un fantasma di Billie in un altro luogo, purché in vista o comunque a tiro, consentendole poi di “blinkare” da e per quella posizione. Permettendo ad esempio di apparire dietro un bersaglio, borseggiarlo e sparire di nuovo prima che quello si renda conto di cosa gli sia capitato. 

Il gioco consente comunque anche un approccio più “tradizionale”. Tra i contenuti, infatti è inclusa l’opzione Dishonored + che permette l’uso dei poteri del gioco originale.

Otto le ore richieste per completate la missione senza precipitarsi (c’è chi giura di avercela fatta in metà tempo, ma è poco ma sicuro che si sarà lasciato dietro, oltre a un’orribile scia di cadaveri, anche la maggior parte degli oggetti, dei luoghi segreti e delle missioni secondarie (i “contratti”). L’assenza del Caos, che nei titoli principali complicava assai le cose ai giocatori con la “mannaia facile”, permette un approccio orientato all’azione molto più spiccato. Anche se seminerete morte e distruzione senza sconti, il finale rimarrà più o meno lo stesso e il mondo attorno a voi non sembrerà prendersela più di tanto per la presenza di uno spree killer senza scrupoli per le vie di Karnaca. So che la cosa potrebbe lasciare la bocca amara agli amanti dello stealth duro e puro. I tempi di Thief, però, sono lontani (e lo testimonia lo scarso successo conseguito dalla riedizione di quel gioco forse sopravvalutato). Oggi, travolti da mille impegni sociali, virtuali e non, abbiamo poco tempo per giocare, e capita la sera che ci scappa la pazienza e abbiamo solo voglia di una mezzoretta spensierata di sano mattatoio. Il titolo Arkane, in questo senso, è quasi perfetto. Dando finalmente una possibilità anche a chi non ha la pazienza di Giobbe nel confrontarsi con i campi visivi delle guardie, il lancio di bottiglie in giro per distrarle o altri espedienti visti e stravisti dal primo Splinter Cell in poi.

Adatto a tutti, DH La morte dell’Esterno mette abbastanza mortadella nel suo panino virtuale da giustificare il prezzo comunque consistente. Piacerà un po’ a tutti, fatta eccezione per quelli che di steampunk proprio non ne vogliono sentire parlare. Dagli affezionati del franchise, che cominciavano a sentire la mancanza di qualche novità e apprezzeranno lo sforzo di dare un senso ad un importante anello mancante nella storia della saga, ai neofiti, che gradiranno un approccio allo stealth non particolarmente zelota, specie ai livelli di difficoltà più bassi.

Sarebbe un peccato, quindi, se fosse vero quello che si dice. Ossia che questo stand alone rappresenti il canto del cigno del franchise di Dishonored. Almeno fino a data da destinarsi