Dordogne, la recensione di un piccolo e prezioso quadro vivente
Mimi dovrà riscoprire un passato chiuso a chiave nella memoria per dare una svolta al proprio presente
La memoria è il tesoro dell’anima, recita un proverbio italiano. Non potrebbe essere più azzeccato per descrivere Dordogne, l’avventura narrativa degli studi Umanimation e Un Je Ne Sais Quoi: una piccola gemma fatta di acquerelli, ricordi, della spensieratezza infantile rivissuta con gli occhi degli adulti che si è diventati; un gioco che partendo dalla scomparsa di una persona cara ci accompagna per mano ricordandoci un’altra perdita – più sottile, impalpabile quasi. Quella di un’estate fugace, sotto il sole della campagna francese, tra profumi, odori e sensazioni riposti in un cassetto mai più riaperto: sapori di un’infanzia dimenticata ma non perduta del tutto, non finché da parte nostra ci sarà la volontà di riappropriarcene. Qui, in equilibrio sulla corda tesa di una memoria chiusa a chiave, Mimi dovrà sbloccare i lucchetti che le impediscono di ricordare cos’è accaduto nell’estate del 1982.
È il 2002. Mimi, una giovane donna sulla trentina, si ritrova nella sua macchina, sotto l’acquazzone di una grande città, a decidere cosa fare del suo immediato futuro. Ha perso il lavoro, i rapporti con suo padre sono tesi e la notizia della recente scomparsa di sua nonna paterna, Nora, riporta alla mente vecchi dissapori di cui tuttavia non ricorda l’origine. C’è un vuoto nella sua memoria, che nessuno ha mai voluto aiutarla a colmare per ragioni che le sfuggono: adesso che è una donna adulta e il passato è tornato, timidamente sull’onda di un lutto, a bussare alla sua porta, deve prendere il coraggio a quattro mani e tornare dove in un modo o nell’altro sembra essersi originata una frattura insanabile.
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Dordogne è un’avventura molto semplice, fatta per essere vissuta, respirata e perché no, magari anche condivisa in alcuni suoi aspetti. Chi, del resto, non ha mai trascorso un’estate, o parte di essa, con i propri nonni? Chi non si rispecchia, anche solo un poco, nell’iniziale scontrosità di Mimi per essere stata costretta ad abbandonare la città e i suoi amici, salvo poi scoprire la bellezza di un posto quasi sospeso nel tempo, dove la semplicità e la natura la fanno da padrone? Gli acquerelli di Cédric Babouche, Illustrator e Game Director del gioco, contribuiscono a rendere quest’esperienza quasi onirica: un dipinto in movimento dove certamente non potremo plasmare un passato già avvenuto ma potremo decidere come sia stato vissuto, attimo dopo attimo, dalla sua giovane protagonista.
Mimi deve restare dalla nonna Nora per quattro settimane, il tempo necessario affinché i suoi genitori preparino il necessario per il trasferimento negli Stati Uniti. Già dalle primissime battute si capisce esserci attrito tra il padre, Fabrice, e Nora, nonché una vaga forma di autorità quasi marziale nei confronti della figlia Mimi. A questo si aggiunge il fatto che la bambina non è contenta della, seppur temporanea, sistemazione: vorrebbe essere a Parigi, con la sua famiglia e i suoi amici. Il suo stato d’animo trova forma “concreta” in alcune parole che appariranno sullo schermo sia nelle situazioni più cruciali sia durante le semplici fasi di esplorazione: seguendo gli eventi della storia, potremo direzionare lo stato d’animo di Mimi in relazione a quanto sta accadendo e ciascuna di queste parole verrà segnata nel suo personale raccoglitore; similmente, le parole trovate guardandoci in giro verranno aggiunte all’elenco ma non avranno alcun impatto sulla narrazione.
Serviranno tuttavia a creare delle pagine speciali in cui riassumere, se così vogliamo dire, le emozioni di Mimi e cosa abbia voluto immortalare di quell’estate speciale. Ogni pagina può contenere fino a quattro elementi, che si sbloccheranno nel corso del gioco e andranno poi trovati all’interno dei vari scenari: adesivi, parole, suoni e fotografie.
Gli adesivi e le parole si trovano esplorando, oppure progredendo con la storia: non è facile individuarli, al di fuori del contesto narrativo, perché sono indicati da una piccola icona arancione facile da perdere, nel tripudio degli acquerelli, e che si espande soltanto quando ci avviciniamo abbastanza. La maggior parte comunque si riesce a trovarla senza doverci perdere la testa.
Per quanto riguarda invece suoni e fotografie, sono due tipi di collezionabili legati all’ottenimento della macchina fotografica (modello Polaroid) e una registratore. Ci sono delle zone specifiche adibite alla raccolta, evidenziati dall’icona blu di un occhio: qui si aprirà una visuale in prima persona nella quale poter sfruttare i suddetti strumenti per raccogliere quante più testimonianze possibili. I suoni possono essere collezionati liberamente, mentre le fotografie sono limitate e, per far spazio a una nuova, dovremo necessariamente eliminare una delle precedenti. Il gioco quindi non impedisce del tutto di scattare foto, una volta raggiunto il limite, ma chiede comunque di scegliere quali scatti tenere e quali no.
Tutti questi elementi messi assieme comporranno la pagina da aggiungere al raccoglitore. Non c’è limite a quante pagine potete creare, dando libero sfogo alla vostra creatività, alcune saranno anzi un passaggio obbligato per concludere un capitolo. Ho molto apprezzato la scelta del raccoglitore perché, parafrasando le parole di nonna Nora, non ha limite: permette di accumulare memorie su memorie senza doversi preoccupare che abbia davvero una fine. Non a caso, prima di passare nelle mani di Mimi, era utilizzato da Nora e suo marito per restare in contatto. Un oggetto all’apparenza semplice dove tuttavia si nasconde un intero mondo – non solo il nostro, peraltro, anche se a quei ricordi non ci è dato accesso. Possiamo però avere uno scorcio del rapporto tra Nora e il marito attraverso delle musicassette sparse in giro e sulle quali sono registrati alcuni loro momenti assieme, dai più lieti a quelli più difficili.
Dordogne riesce molto bene a trasmettere le emozioni attraverso oggetti quasi banali, sui quali non ci si fermerebbe mai a riflettere. Non è didascalico, nel comunicarci gli eventi, preferendo piuttosto lasciarceli scoprire e sì, tenerci anche a volte col fiato sospeso non rivelando tutto fino in fondo: del resto vestiamo i panni di Mimi, accompagnandola passo passo, e non siamo mai onniscienti. Quello che viene a sapere lei, o che ricorda, vale anche per noi: non abbiamo alcuna informazione in anticipo, è tutto vissuto e messo insieme sul momento. Le fasi al presente, anzi, sembrano quasi ingabbiarci nella frustrazione di sapere alcuni dettagli e, proprio come Mimi, non poterli comunicare durante il passato, limitandoci a vivere gli eventi per come si sono svolti e ogni tanto soffermarci a pensare su “cosa sarebbe successo se”.
Un’esibizione della memoria
Come ho già accennato, Dordogne è un insieme di acquerelli che danno all’intera esperienza l’impressione di muoversi all’interno di uno o più quadri: un’esibizione della memoria, dove si salta da un quadro all’altro per rivivere i ricordi di una bambina con gli occhi di un’adulta e, al contempo, affrontare il presenza sulla base di quello che piano piano viene scoperto. Questa regione del sud-ovest della Francia è resa particolarmente bene, brillante nei colori e spensierata nei toni pur sapendo che stiamo rivivendo momenti irripetibili.
A impreziosire ancora di più il gioco c’è la presenza non tanto del doppiaggio francese quanto, più specifico, dell’occitano: ho l’abitudine, per un questione di immersione, di giocare i giochi nella lingua madre dell’ambientazione proposta e anche in questo caso non ho fatto eccezione. Non avevo mai ascoltato l’occitano prima d’ora e mi ha sorpreso scoprirla una lingua più dura del francese, a un primo ascolto quasi sgradevole rispetto all’armoniosità di quest’ultima; lentamente, però, mi sono abituata e pur non comprendendola (motivo per cui ci si può affidare ai sottotitoli in italiano) ho potuto immergermi di più alla ricerca del tempo perduto di Mimi.
Ne risulta un’esperienza commovente, fatta di chiazze colorate, piccoli tocchi sulla tela bianca che era la memoria della protagonista, uno dopo l’altro finché hanno preso forma vera e propria, ricordandole affetti e momenti dimenticati ma non ancora del tutto perduti.
Versione Testata: PS5
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Redazione
Dordogne
Dordogne è un tuffo nei ricordi vivido e colorato, alla ricerca di un’estate rimasta intrappolata tra le maglie del tempo: a ogni oggetto corrisponde un frammento di memoria, una nuova pennellata da scoprire e vivere. Dura poche ore, tre o quattro al massimo, ma sono più che sufficienti perché il gioco dica tutto quello che deve, senza strafare, lasciandoci con il sapore dolceamaro di un affetto ritrovato e assieme perduto. L’estate di Mimi potrebbe essere quella di chiunque, perché è facile rispecchiarsi nella spensieratezza di quei momenti, inseguendo parole e suoni, immortalando emozioni genuine che piano piano riaffiorano, pur con le difficoltà che un simile percorso comporta.