Double Dragon Neon

di Massimiliano Pacchiano
Strani ma belli gli anni '80. Colori sgargianti, capigliature inverosimili e musica elettronica; film con pupazzi di gomma assortiti e una moda di gusto così dubbio che anche il più convinto degli eterosessuali poteva sembrare gay. Ma gli anni '80 furono soprattutto il trionfo e l'ascesa dell'elettronica di consumo: dai walkman inventati dalla Sony (per chi fosse troppo giovane, erano stereo portatili ad audiocassette) ai nostri tanto amati personal computer. Fu l'epoca che segnò la rapidissima evoluzione del videogioco da PacMan a Wolfenstein 3D, dai bar fino alle case della gente comune: l'era che aprì le porte al gaming come lo conosciamo oggi.

In particolare, nel 1987 uscì nelle sale giochi di tutto il mondo un titolo estremamente innovativo che diede il via ad un filone di enorme successo: fu Double Dragon, l'archetipo del picchiaduro a scorrimento e dell'action odierno. Abbandonate le limitate meccaniche bidimensionali di classici come Kung Fu Master, Shaolin's Road e Knuckle Joe, il gioco della Technos proponeva una rappresentazione prospettica degli ambienti, con profondità tanto nello spazio quanto nel gameplay. Maggiori possibilità evasive e un'ampia gamma di mosse (effettuabili con i tre tasti in dotazione, altra novità ereditata dal meno riuscito Renegade) segnarono un netto passo avanti rispetto alla concorrenza, mentre la presentazione accattivante e la possibilità di giocare in due decretarono l'enorme successo del gioco. L'unica pecca di questo intramontabile classico era il famoso “trucco della gomitata”, exploit facilmente attuabile che però i veri puristi utilizzano in modo limitato per non rovinarsi il divertimento.



Il gioco ci vedeva nei panni dei due gemelli Billy e Jimmy Lee, intenti a salvare la bella Marian dalle grinfie di una spietata banda di teppisti. Il contesto di degrado urbano, l'interazione con l'ambiente, le armi da raccogliere e la presenza di nemici memorabili (come il gigante Abobo che spaccava i muri durante le sue plateali entrate in scena) consegnarono il gioco alla leggenda, e assicurarono una lunga discendenza di sequel, spin-off, conversioni, cloni ed imitazioni che tutt'oggi possiamo trovare sulle più svariate piattaforme di gioco. Ebbene, dopo la bellezza di 9 anni dall'ultimo capitolo ufficiale per GBA, questo Double Dragon Neon é solo l'ultimo del filone: potremmo definirlo come una sorta di omaggio ai vecchi titoli della saga e più in generale alla cultura popolare degli anni '80.

Le immagini e le anteprime che sono circolate negli ultimi mesi avevano fatto storcere il naso ai puristi ed ai fan dell'originale, ma ora che il gioco é tra le nostre mani possiamo dire tranquillamente che i furbacchioni di WayForward sanno decisamente il fatto loro. Il gioco infatti si discosta dal capostipite quel tanto che basta da avere una sua identità precisa, e nonostante questo é talmente zeppo di citazioni e rimandi da soddisfare i giocatori di vecchia data e soprattutto chi “c'era” in quegli anni. L'idea veramente azzeccata infatti é quella di estremizzare tutti gli aspetti tipici della pop-culture di quell'apoca: ora abbiamo Billy e Jimmy con tanto di mullet, che sembrano una via di mezzo tra McGyver e il Kurt Russel di Grosso Guaio a Chinatown; avversari dal look semi-gay, sadomaso o dalle pettinature afro; colori sgargianti, neon ovunque e cassette audio da raccogliere.

Ma soprattutto abbiamo una colonna sonora eccezionale, che rielabora i classici temi della serie in chiave rock o elettropop tipicamente anni'80, presentando anche inediti e brani cantati che sembrano veramente uscire da quell'epoca. Non mancano tocchi di classe come i protagonisti che suonano l'air-guitar al termine di ogni livello, la mappa con gli omini della versione NES o le batterie e i bottiglioni di Cola tra gli oggetti da raccogliere. Passiamo però alla sostanza, al gameplay: Double Dragon Neon riprende ed arricchisce la formula dei vecchi picchiaduro discostandosi però sia dal modello di partenza che da quello di Streets of Rage 2, (a detta di molti il migliore sulla piazza per meccaniche e mosse disponibili).




Il numero di tasti in uso é lievitato da tre a ben sette, ma anche le possibilità di attacco sono aumentate di conseguenza. Il fighting system é totalmente diverso: non abbiamo più lente gomitate, calci girati e prese con ginocchiate in faccia, ma stavolta il ritmo é cresciuto e ci sono combo, schivate, attacchi in corsa e mosse speciali, tutte cose che l'originale non aveva. Il sistema di combattimento, benché più complesso e completo, non é però particolarmente evoluto dal punto di vista del flusso di gioco: anche se é possibile infierire sui nemici a terra (come nello storico Vendetta di Konami), i nemici atterrati non vengono lanciati lontano come accadeva in Final Fight e simili per sgombrare l'area dagli sconfitti ed occupare i tempi morti durante la loro ripresa. Tra l'altro, non é nemmeno possibile danneggiare molti dei nemici mentre fanno la loro “entrata in scena” con capriole o quant'altro: non é raro portare attacchi a vuoto o sprecare armi da lancio in questi frangenti. Tuttavia il gioco diverte ed appaga, soprattutto grazie all'ottima fisicità dei colpi, all'alto numero di nemici nelle fasi avanzate ed alla varietà di strategie adottabili.

Passiamo alle audiocassette da raccogliere, le cosiddette “Mixtapes” che servono a sbloccare o migliorare le mosse speciali (chiamate ironicamente Sosetsitsu) e il le stats del personaggio. Gli attacchi speciali, che spaziano da calci rotanti a fireball, consumano un'apposita barra “elettrica” che si ripristina col tempo o raccogliendo le apposite batterie. Gli schemi di potenziamento (denominati Stance) invece aumentano le caratteristiche del personaggio, ed a seconda del tipo di schema possiamo avere un incremento bilanciato delle stats o più incentrato su determinati parametri (che sono attacco, difesa, magia e vita).