Dragon Age: Origins

di Marco Modugno
Il Signore degli Anelli incontra il Trono di Spade. Dice giustamente Fabio Fundoni nella recensione della versione da console che in Dragon Age: Origins convivono lo spirito del professor Tolkien e quello di Martin. Il risultato é davanti agli occhi di chiunque abbia raggiunto la maggiore età (il gioco é vietato ai minori, e ha buone ragioni di esserlo): dark fantasy! Il riuscito mix d'azione e RPG in salsa BioWare, forte dell'hype che insegue il team di sviluppo dai tempi del successo epocale di Baldur's Gate e dei suoi spin off di “dungeoniana” memoria, segna un nuovo capitolo della saga speriamo interminabile del gioco di ruolo elettronico. Trame e sottotrame, azione e sviluppo delle abilità, esplorazione e interazione ruolistica si mischiano sapientemente nel crogiolo incantato dei creatori per regalare all'utente appassionato di draghi e dongioni decine di ore d'intrattenimento ad altissimo livello, capaci perfino di offuscare la memoria, ormai un po' appannata dagli anni trascorsi, del colosso Oblivion. In comune con il titolo Bethesda, DAO ha la vastissima gamma di scelte perseguibili, in grado di trasformarci da paladino senza macchia in criminale temuto ed odiato in ogni dove, e la longevità di una trama che, tra missioni principali e sub-quest, finirà per rubare almeno un'ottantina di ore, fatti salvi eventuali ulteriori DLC, al vostro già risicato tempo libero.



Parliamoci chiaro. Il gioco é molto bello, profondo e ben realizzato dal punto di vista tecnico. Lo attendevamo da tempo, lo sognavamo e ora che lo abbiamo tra le mani, non possiamo trattenerci dal tributare il giusto apprezzamento ad un team di sviluppo che non ci ha mai deluso. Oltretutto, la versione PC che si avvale della visione dall'alto tradizionale, in alternativa a quella in terza persona presente anche nel porting per console, é sicuramente la più bella anche sotto il profilo tecnico, a patto di possedere una macchina da gioco equipaggiata come si deve. Prima di dedicarci però alla consueta disamina del comparto tecnico e del gameplay, peraltro già trattata esaustivamente nel pezzo di Fabio dedicato alla versione per 360, occorre secondo me fare una breve riflessione sull'atmosfera cupa e sanguigna su cui il gioco fonda la trama e l'ambientazione.

Il colore dominante é il rosso. Profondo rosso. Fin dalla rivisitazione del logo Electronic Arts che anticipa il menu iniziale del gioco, con lo schermo imbrattato di spruzzi di sangue degni di uno splatter di Eli Roth. Nulla di nuovo per chi é reduce dalla carneficina senza fine di Wolfenstein, fatta di corpi bruciati, squagliati, sbriciolati e fatti a pezzi, o dalla macelleria messicana di Modern Warfare 2, che con il famoso livello dell'aeroporto e altri dettagli violenti (eravate mai stati bruciati vivi a sangue freddo gustando l'esperienza in soggettiva, prima d'ora?) ha superato di parecchio la soglia del divieto ai minori. Il fantasy RPG però, fino ad ora, sembrava aver mantenuto le distanze dalla voglia di “gore” a tutti i costi. Lo stesso Oblivion, pur non lesinando scontri cruenti, aveva mantenuto sempre basso il livello dell'emoglobina, confermando la concezione di un genere eroico dove non c'era necessità alcuna di mostrare lo squartamento in diretta. BioWare non sembra nutrire le stesse remore, però, spingendosi una volta per tutte oltre questo limite storico.

Uccisioni cruente, sgozzamenti, impalamenti, scene di tortura e sofferenza abbondano in Dragon Age fin dal filmato iniziale, trasformando il genere fiabesco in un incubo grondante di sangue che pare dipinto dal pennello di Hyeronimous Bosch. Il risultato é una classificazione PEGI 18 senza appello, ma alzi la mano chi di noi ha visto un negoziante di videogiochi rifiutare una vendita ad un adolescente con il denaro già pronto in mano o chiedere un documento al giovane cliente che intende comperare un titolo vietato ai minori. D'altro canto, occorre ammetterlo, la scelta di prendere a pugni lo stomaco dei giocatori, inclusi i più smaliziati e disincantati, pare al momento condivisa e cavalcata a pelo da un mercato videoludico dove abbondano sempre più trame e gameplay iperviolenti. Chi scrive é tutt'altro che un agnellino di primo pelo, peraltro, e si guarda bene dallo scagliare la prima pietra contro un peccato di voyeurismo del quale ci rendiamo colpevoli tutti i giorni, non foss'altro quando rallentiamo per osservare meglio la scena di un incidente stradale, o sbirciamo i filmati di NothingToxic.com su Internet. La mia personale sensazione é però che il troppo cominci a stroppiare e che la ricerca dell'eccesso a tutti i costi potrebbe, nel medio termine, non rivelarsi quella pagante. Se i giochi sono e devono continuare ad essere svago, non é scritto da nessuna parte che tale svago debba per forza coincidere con lo sfogo bestiale dei nostri peggiori istinti, che l'evoluzione dovrebbe averci portato a superare, o quanto meno a stigmatizzare come negativi.




Nel perpetrare l'ennesimo massacro videoludico, mi capita sempre più spesso di provare un senso di disagio e di nausea, che mi fa venir voglia di prendermi una pausa, di smettere di giocare per un po', di spegnere la console o il PC e di dedicarmi alla mia bambinetta, trascorrendo con lei qualche ora davvero spensierata e lontana dal grand-guignol imposto dai media. Le frattaglie, se consumate in dose eccessiva, risultano alla fine indigeste. Magari é ora che anche chi sviluppa giochi dedicati ad un pubblico prevalentemente di giovani cominci a pensarci, invece di continuare a giustificare quelle che in realtà sono solo e unicamente scelte di mercato per vendere di più dietro il paravento ideoologico che siccome il mondo é violento e i videogiochi devono rispecchiare il mondo, allora tutto é permesso... Pensiamoci.

Terminata la digressione, per quel che mi riguarda dovuta e sentita ma la quale, é bene dirlo prima di scatenare un flame all'idrogeno nei commenti dei lettori, non ha alcuna ricaduta sul voto finale, che ho emesso sulla base di presupposti esclusivamente tecnici, é bene stringere l'obiettivo sulle meccaniche del titolo. L'assenza di qualsiasi opzione multiplayer, a parte la possibilità di condividere e registrare i vostri progressi nella campagna sul sito dedicato, ci consente di concentrare l'attenzione sulla campagna di gioco che, nonostante qualche piccolo baco residuo del comparto grafico e dell'IA, riesce a coinvolgere anche i più scettici fin da subito, garantendo una longevità e rigiocabilità come pochi titoli recenti hanno saputo fare.

Si parte, come d'uso, con la creazione del personaggio, gestita da un sistema di personalizzazione tanto minuzioso da essere reputato perfino eccessivo dai più impazienti e affamati d'azione. La verità, però, é che il personaggio dovrà tenerci compagnia per decine di ore e spendere una mezz'oretta nel crearlo e disegnarlo con cura non ci é sembrato superfluo. La cura maggiore viene data proprio all'aspetto fisico, con una gamma di scelte tale da consentire di creare una sorta di “clone” quasi perfetto di chi gioca, oppure l'eroe ideale di ciascuno, senza alcuna fatica.

Se la scelta del sesso non condiziona lo svolgimento dell'avventura, le cose cambiano in merito alla razza. In un mondo come quello di Ferelden (assolutamente originale, i franchise di Dungeons & Dragons sono, ed é una fortuna, dietro le spalle, ormai) dove gli uomini dominano il mondo, mentre gli elfi sono ridotti, almeno quelli che vivono in città, a schiavi sottomessi, appartenere a questa o quella razza (sono tre, inclusi i nani) fa la sua bella differenza, al punto da mettere a disposizione del giocatore ben sei diverse storie iniziali di alcune ore, totalmente differenti una dall'altra, che lo introdurranno nella trama principale.