Dragon Quest XI:Echi di un'era perduta
Iniziando a scrivere questa recensione su Dragon Quest XI, una domanda folle mi è balenata in testa: quanti titoli legati a questo franchise sono usciti nel corso degli anni?
Dal 1986 (anno di uscita del primo capitolo su NES, ma oggi giocabile anche su IOS e Android) ad oggi, tra serie principale e spinoff sono usciti la bellezza di 43 titoli che appartengono in qualche maniera al mondo Dragon Quest.
La cosa bella che ci sono 5 franchise che hanno un numero di titoli all’attivo superiore (al primo posto ovviamente Mario & Co.).
Personalmente mi sono avvicinato alla saga di Dragon Quest non dal mondo del videogioco, che conoscevo solo per nome, visto che non ho mai posseduto ai tempi una console Nintendo (ero un fiero e innamoratissimo Amighista), ma da quello dei manga con Dragon Quest – Dai La Grande Avventura (scritto dallo stesso Yuji Horii, creatore della saga)e Emblema di Roto, ipotetico sequel di Dragon Quest III o per lo meno ambientato nello stesso universo narrativo e timeline.
Da quel momento ho iniziato un recupero dei titoli della saga principale più alcuni degli spinoff (non tutti ovviamente, anche per problemi di reperibilità sul territorio occidentale a meno che non si passasse dagli emulatori) che mi hanno portato ad apprezzare il franchise alla pari di quello di Final Fantasy.
Dragon Quest XI, uscito ormai da oltre 1 anno in terra nipponica, arriva finalmente sul mercato internazionale, dopo un decimo capitolo molto chiacchierato data la sua natura di MMO e non di JRPG classico.
CHE STORIA
Dragon Quest XI si presenta con uno dei clichè più famosi del mondo dei JRPG: inconsapevolmente ci ritroviamo ad essere il “Prescelto” per salvare il mondo, scoprendo di avere poteri fantastici in un momento di grosso pericolo.
Devo ammettere che questa partenza mi aveva fatto storcere il naso, e non poco, ma come capita spesso non bisogna giudicare mai qualcuno o qualcosa dalla prima occhiata e Dragon Quest XI è il classico caso in cui più si prosegue nel gioco e più ci si appassiona.
Se l’incipit di Dragon Quest XI risulta essere banale e scontato, l’evolversi della trama presenta tanti “plot twist” e escamotage narrativi che mi hanno portatoben presto a mettere da parte la mia prima impressione e farmi apprezzare in maniera sempre più convinta, ora dopo ora, quello che Horii e compagni ci hanno regalato.
Purtroppo (e giustamente) Square Enix ha imposto molti paletti su cosa si può raccontare e cosa no, ma dovete fare un atto di fede e credere alle mie parole quando vi dico che non mancheranno momenti toccanti, inaspettati o anche semplicemente divertenti, che vi accompagneranno per tantissimo tempo (una run fatta per bene richiede anche 100 ore di gioco, considerando anche l’ingente numero di side quest presenti).
POCHE NOVITA’ MA BUONE
Dragon Quest XI punta, come avrete capito, in maniera molto deciso sulla forza della sua trama e forse, anche per questo, il suo gameplay non passerà alla storia come il più innovativo o rivoluzionario di sempre, ma non mancano alcuni spunti interessanti.
Non esiste un grado di difficoltà prefissato in Dragon Quest XI, ma come avevo già accennato nelle mie prime impressioni un sistema chiamato “Draconian Quest” che ci permette, ad inizio partita, di impostare alcuni handicap con cui effettuare la nostra run.
Per i giocatori più esperti un buon numero con cui iniziare può essere 2 o al massimo 3 “handicap”, ma in qualsiasi momento, in un punto di salvataggio, il giocatore può decidere di eliminarli, senza però possibilità di ripristinarli nel caso voglia riaumentare il grado di sfida.
Nella mia run ho iniziato con due perk negativi, ma mi sono trovato a doverli disattivare in quanto rallentavano non poco la mia avventura (e abbiamo delle scadenze da rispettare), ma di sicuro, non appena avrò il tempo, proverò un NG+ con tutti i perk negativi attivi e vedere quanto duro (magari in streaming).
Un sistema molto interessante che consente al giocatore di auto-valutarsi e decidere in completa autonomia il grado di sfida del gioco che, senza nessun perk negativo attivo, risulta molto fluido e bilanciato e mai eccessivamente facile, a meno che non ci si dedichi a lunghe e noiose sessioni di grinding.
Per quanto riguarda il combattimento abbiamo non solo un classico JRPG, ma un classico Dragon Quest.
Le armi sono quelle di sempre, dalle spade e pugnali, all’onnipotente Boomerang (per chi conosce la saga sa benissimo quanto sia forte quest’arma soprattutto nell’early game e per i metal slime) ed ogni personaggio ha la possibilità di equipparne tipi diversi, in alcuni casi cambiando anche il modo di giocare (pensando ad un magic user che usa la lancia e non la bacchetta per recuperare MP).
Interessante anche la gestione dei personaggi e delle armi durante il combattimento (utile soprattutto nelle boss fight): infatti è possibile sia scambiare i personaggi attivi nel party che l’equipaggiamento, donando così al giocatore controllo completo sulle tattiche per affrontare le sfide più dure.
E parlando di tattiche bisogna segnalare come, a parte il protagonista, gli altri membri del nostro party possono essere lasciati sotto l’egida dell’AI (dandogli degli ordini di massima come combattere conservando gli MP oppure dare il tutto per tutto) o prenderne direttamente il controllo.
Non sarà un sistema complesso e completo come il trigger system di Final Fantasy XII ma in qualche maniera velocizza i combattimenti.
Ad ogni passaggio di livello i personaggi aumenteranno le proprie statistiche (in maniera automatizzata, con valori prefissati, quindi senza stare a pensare troppo all’allocazione efficiente dei punti caratteristica) ma dove dovrà intervenire il giocatore è l’assegnazione dei punti abilità.
Ogni personaggio ha un ramo di talenti legato alle armi utilizzabili più uno specifico. Ogni casella costerà un certo numero di punti abilità (che potranno essere conservati o spesi di volta in volta) e in questa specie di sferografia alla Final Fantasy X (ma molto meno complicata, per fortuna) sono presenti alcuni tasselli con il punto interrogativo che veranno rivelati solo quando saranno acquisite almeno 4 abilità a loro confinanti.
Può capitare che per sbloccare una di queste caselle speciali sia necessario lavorare su due rami di talenti diversi, quindi il giocatore dovrà decidere quanto valore dare alla specializzazione del personaggio in un singolo ramo o, pur di sbloccare questa casella, perdere un po’ di efficacia.
Ma per fortuna, andando avanti nel gioco, al modico costo di 20 gold per skill point resettato, sarà possibile riassegnare i punti spesi, dando così l’opportunità al giocatore di provare diverse “build”, donando sicuramente un po’ di varietà al gameplay.
Oltre alle statistiche e ai punti abilità, i personaggi apprendono, nel corso del gioco, nuove magie e tecniche di combattimento, ma in questo caso il giocatore non interviene in nessuna maniera (a meno che non siano legate in qualche maniera a qualche ramo dei talenti, come ad esempio le skill difensive di Serena).
COME TI RIBALTO LA BATTAGLIA: PEP SYSTEM
Una delle caratteristiche peculiari di Dragon Quest XI è il sistema “Pep” (che nell’anteprima avevo erroneamente indicato come “Zone” perchè mi ero fatto prendere dalla simulitudine con Kuroko No Basket).
Sotto particolari condizioni i nostri eroi entranno in un stato speciale nel quale avranno un boost a tutte le loro caratteristiche. Ma la cosa più importante è che solo quando è attivato il “Pep” si sbloccano attacchi speciali che possono essere legati ad un singolo personaggio oppure necessitano di due o più personaggi, tutti contemporaneamente in modalità Super Sayan (passatemi il termine, visto che tanto dietro il character design di Dragon Quest c’è Akira Toriyama), per poter sferrare attacchi o abilità devastanti.
Ci troviamo ad un mix tra le limit break di Final Fantasy VII e le combo techs di Chrono Trigger: praticamente Square Enix cannibalizza sè stessa per creare un nuovo sistema che, usato sapientemente in combattimento (a volte non serve rilasciare l’attacco speciale, ma conviene temporeggiare e sfruttare il boost delle stats il più possibile, visto che una volta usato i personaggi perderanno lo status “Pep”), può risollevare le sorti di una battaglia.
L’unico appunto su questo sistema che, a volte, avere i personaggi giusti in modalità “Pep” non è facile quindi un consiglio vivissimo è quello di non fare troppo affidamento su queste abilità.
UNA MARTELLATA QUI, UNA MARTELLATA QUA
Immancabile, come oramai in ogni RPG che si rispetti, in Dragon Quest XI è presente un crafting system che con il tempo diventa una vera e propria droga.
Infatti, a differenza di altri giochi dove è necessario semplicemente avere i materiali (o al massimo dover scoprire le formule da usare), in Dragon Quest XI il crafting system prevede che il giocatore abbia una parte attiva nella creazione di nuovi oggetti.
Una volta selezionato l’oggetto da creare, partirà una specie di minigame in cui, con il nostro martello da fabbro, saremo noi a dover colpire la materia grezza con la giusta maestria per poter dare vita alla nostra creazione.
Ad inizio gioco le nostre capacità saranno molte limitate (praticamente i primi craft saranno tutti disastrosi) ma, andando avanti nell’avventura, oltre a nuove formule e materiali, anche le nostre abilità si affineranno, permettendoci non solo di creare con successo nuovi oggetti, ma addirittura dare bonus aggiuntivi.
Ogni volta che completeremo con successo un craft, saremo ricompensati con delle “perfectionist pearl” che ci permettono di lavorare nuovamente su un oggetto per poterlo upgradare con i bonus aggiuntivi di cui sopra, dando nuova linfa a oggetti diventati obsoleti.
NON SOLO MAGIE E COLPI DI SPADA
Per fortuna la nostra avventura non sarà limitata a raggiungere una locazione, uccidere mostri e raccogliere tesori. Sia durante la storia principale che in alcune sidequest ci sarà richiesto di fare qualcosa di diverso, come fare una gara di cavalli o forgiare oggetti per qualcuno. In questa maniera si riprende un po’ il fiato dai combattimenti ed esplorazioni.
Molto carina anche la trovata di poter “cavalcare” le mount dei mostri incontrati: se la maggior parte di essere serviranno solo a muoversi più velocemente, alcune hanno abilità speciali che ci permettono di arrivare in luoghi altrimenti inaccessibili.
MA E’ TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA?
Fino ad ora ho tessuto le lodi di Dragon Quest XI in lungo e largo a livello di gameplay, ma il gioco ha anche qualche piccolo difetto.
A parte alcune considerazioni relative al comparto tecnico, di cui vi parlerò a breve, quello che non mi ha convinto di Dragon Quest XI è la lentezza dei combattimenti: sarebbe stato ideale dare la possibilità al giocatore, tramite i menù, di velocizzare le animazioni durante i fight, visto che spezzano il flow dell’avventura (a meno che non vogliate dare il controllo degli altri membri del party all’AI, cosa sconsigliata soprattutto se state giocando con delle Draconian Quest attive).
Inoltre il titolo non brilla per quanto riguarda l’originalità del sistema di gioco (ma per alcuni questo potrebbe essere un valore aggiunto), ma sono i classici peli nell’uovo che possono essere tranquillamente ignorati, considerando il valore generale del gioco.
AKIRA TORIYAMA ALLA CONSOLE!
Ormai anche i sassi sanno che il character design di Dragon Quest è supervisionato da Akira Toriyama, il grande artista giapponese che ci ha regalato Dragon Ball.
Purtroppo mi trovo a dover bacchettare un po’ il Maestro perchè non si è sforzato molto in questo capitolo: il protagonista è una mezza copia di Trunks del futuro preso da Dragon Ball Z; Erik, il nostro primo compagno di avventura, assomiglia in maniera fin troppo marcata a Ban di Seven Deadly Sins e non sono gli unici che in qualche maniera ricordano personaggi già visti nel mondo dei manga.
Ma non per questo la realizzazione dal punto di vista grafico è di scarsa qualità: il gioco gira in maniera fluida con bellissime ambientazioni ed effetti di luce nei combattimenti (quando i personaggi vanno in modalità Pep si mettono in posizione Super Sayan e iniziano ad avere un’aura blu intorno, ma può mai essere un male questa “citazione”?).
A livello audio abbiamo un doppiaggio in lingua inglese di buona qualità (e per fortuna, anche per i meno anglofoni, abbiamo la localizzazione in italiano per i sottotitoli) mentre sulle musiche devo mettere un segno rosso: la colonna sonora nel filmato iniziale mi ha esaltato, ma durante il proseguio della mia avventura mi sono ritrovato spesso con pezzi anonimi e poco incisivi (ovviamente è un parere personale).
Un vero peccato visto che, data la trama coinvolgente, una colonna sonora adeguata ad accompagnarla sarebbe stata la ciliegina sulla torta (tanto per farci capire, quando smetto di giocare non mi rimane il motivetto in testa).