Driver - Parallel lines

di Pietro Puddu
Per una volta, iniziamo con lo stilare le conclusioni: Parallel Lines può essere inserito, senza troppi complimenti, nel novero dei numerosi titoli con o senza i quali il mondo rimane tale e quale; la nuova creazione di Reflections, pur segnando un netto incremento qualitativo rispetto al fallato predecessore Driv3r, fatica a tirarsi fuori dal limbo dei generici cloni di GTA. Un simile incipit potrebbe apparire fin troppo polemico, ma è in gran parte dettato dall'opprimente sensazione di deja vu che permea fin dal principio l'esperienza di gioco; ritrovarsi nei panni del solito delinquentello di periferia, aggirarsi liberamente nell'immancabile scenario urbano (stavolta è il turno di New York City), rubare i veicoli col vecchio trucco dell'apertura al volo della portiera e condurre a termine altrettanto scontate missioni a base di guida spericolata e sparatorie, sono situazioni ludiche ben lontane dal rappresentare ciò che si definisce una boccata d'aria fresca.


Una domanda sorge spontanea: accantonando per un momento qualsiasi pretesa di originalità, se la formula ha funzionato per il blockbuster di Rockstar, perchè la variante marcatamente automobilistica incarnata dal quarto Driver non dovrebbe riscuotere analoghi risultati? Tutti i tasselli fondamentali sembrerebbero al loro posto: gli inseguimenti a rotta di collo con le pattuglie della polizia, le officine in cui effettuare il tuning spinto dei propri bolidi a due o quattro ruote, le tracce musicali selezionate in funzione del contesto storico, la comoda mappa stradale corredata da indicazioni riguardo l'ubicazione degli obbiettivi.
A dir la verità, c'è anche di più: il motore grafico in grado di garantire un buon compromesso tra fluidità e dettaglio poligonale, le convincenti routine fisiche che governano tamponamenti e collisioni con vari elementi del fondale, il sistema di lock-on per una volta funzionale e non troppo approssimativo, la doppia dimensione temporale di un plot che dai ruggenti anni '70 si sposta all'attualità del 2006.

Eppure qualcosa non torna, il progetto sembra mancare di un'anima, di una vera e propria filosofia dominante; i personaggi (fin troppo stereotipati) faticano ad accattivarsi le simpatie del giocatore, i full-motion che scandiscono la trama, per quanto esteticamente gradevoli, lasciano pressoché indifferenti per la piattezza dei dialoghi e dei siparietti proposti, deficitari di battute e momenti memorabili. L'American Dream, il lato nascosto della Grande Mela, la realtà del carcere ed infine il ritorno spiazzante alla frenesia metropolitana del nuovo millennio, sono tematiche solo sfiorate in superficie, costituenti una sorta di involucro narrativo raramente compenetrato a dovere nel contesto ludico.


La stessa New York, per quanto riprodotta con verosimiglianza nel suo dedalo di strade fittamente trafficate, spartita tra i bassi edifici delle zone degradate ed i grattacieli incastonati nei quartieri lussuosi, popolata da una nutrita (seppur ridondante) popolazione pedonale, non riesce ad elevarsi dallo status di mero autodromo, di arzigogolato circuito per autoscontro, mancando di quella caratterizzazione in grado di rendere inconfondibile ogni isolato e di fare almeno intuire le attività umane che animano la vita cittadina.

Perfino il gameplay fondato su meccaniche ampiamente collaudate, e forte di un modello di guida variegato e sufficientemente approfondito, smette anzitempo di catalizzare interesse ed aspettativa nel giocatore. Il ridimensionamento del fattore free-roaming, ricercato con consapevolezza in favore dell'enfasi sulla componente racing e le contaminazioni da action-shooter, avrebbe dovuto scongiurare la diluizione dell'esperienza, tipica del gioco svincolato, ed al contempo intensificarne i ritmi; una sorta di monotonia latente continua invece a celarsi dietro ogni svolta, pronta ad uscire allo scoperto in corrispondenza dell'ennesimo ingaggio su commissione e successiva ricerca del "puntino giallo" sul radar.