Fight Night Round 3
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Se nel settore delle simulazioni calcistiche Electronic Arts fatica a trovare il bandolo della matassa, continuando a sfornare con cadenza periodica nuovi legnosi episodi della serie Fifa, si può invece sostenere con sicurezza che nella reinterpretazione videoludica della boxe il colosso americano non abbia rivali. Qualcuno potrebbe puntualizzare con un pizzico di malizia che non potrebbe essere altrimenti, vista la quasi totale latitanza di concorrenti nell'ambito del genere, ma il valore della serie Fight Night è espresso da diversi fattori che esulano da eventuali test comparativi. Round Three su PS2 non rappresenta una simulazione rigorosa, non può definirsi cristallino nella calibrazione della meccaniche di gioco e non può contare dalla sua nemmeno un comparto tecnologico esente da difetti, eppure è in grado di regalare generose dosi di divertimento e di ricreare in maniera vibrante l'atmosfera tesa del ring: lo spirito, il ritmi e mimica del vero pugilato sono stati colti appieno.
Il sistema di controllo è stato concepito sull'utilizzo delle leve analogiche, in stretta combinazione con i tasti dorsali; lo stick sinistro è adibito al movimento dell'atleta sul quadrato di gioco e alle schivate tramite torsione del busto, quello destro permette invece di disporsi in parata e di sferrare gli attacchi: jab, diretti e ganci si attivano in corrispondenza di appropriate inclinazioni o semirotazioni. Il parco delle movenze consentite è completato da una serie di pugni speciali, capaci di stordire l'opponente (con il successivo passaggio ad una visuale in prima persona dagli occhi del pugile vacillante), di arrecagli danni considerevoli o di spedirlo per direttissima al tappeto: la maggiore efficacia offensiva è controbilanciata da tempi di esecuzione dilatati (che espongono al rischio di ricevere manrovesci a guardia scoperta) e da un grosso dispendio di "stamina". In virtù di tale impostazione, il combattimento diventa una sorta di balletto, in cui si è chiamati a leggere il movimento del contendente (in modo da intuirne le intenzioni e contrattaccare al momento opportuno), a scegliere oculatamente l'intensità e la varietà dei pugni da sferrare (per evitare di sbilanciarsi troppo o di fornire punti di riferimento) e a monitorare con attenzione la propria "freschezza atletica"; una tempesta disordinata di botte (che spesso non arrivano a bersaglio) porterebbe ad un prematuro affaticamento e quindi ad una condizione di scarsa reattività, compromettendo le chances di vittoria. Di contro, un atteggiamento difensivista ad oltranza esporrebbe ad altrettanti rischi: incassare un pugno nello stomaco mentre i guantoni proteggono il volto determina danni raddoppiati, tentare spesso le counter (che rendono inerme per qualche istante il portatore dell'attacco) significa mettere in preventivo un certo numero di dolorosi errori di valutazione.
Il rovescio della medaglia di una formula comunque equilibrata è insito nella natura fisiologicamente approssimativa degli imput analogici, amplificata dalle fasi più concitate degli incontri; a volte è impresa ardua ottenere il colpo desiderato all'istante richiesto, così ci si ritrova ad agire sul pad più per istinto che per ragionata pianificazione. La stessa implementazione dei cosiddetti "haymakers" suscita ogni tanto qualche perplessità; se da una parte la possibilità che un singolo colpo ben piazzato mandi k.o. un avversario in netto vantaggio è una incontestabile concessione al realismo, dall'altra un simile evento casuale finisce per essere motivo di frustrazione e favorisce in maniera drammatica i giocatori che prediligano i pugili coriacei di pura potenza a quelli più dinamici (anche restando nell'ambito della stessa categoria di peso).
Una volta prese le misure al gameplay nella modalità Play Now (magari sfidando con maggior soddisfazione un amico in carne ed ossa), interpretati alcuni tra i più grandi campioni della storia nella sezione ESPN (rivivendo in forma virtuale il memorabile incontro Ali-Foreman svoltosi a Kinshasa nel 1974) e sperimentati i vari mini-games dell'allenamento, il giocatore non potrà che rivolgere la propria attenzione verso la sezione più corposa e longeva, l'immancabile carriera; terminata la creazione del boxeur più adatto alle proprie esigenze, tramite un editor che offre ampia libertà di personalizzazione nello stile e negli attributi fisici, arriva il momento della scalata verso il successo, in una lunga serie di match dai ranghi amatoriali a quelli professionistici della categoria prescelta.
Lo svolgimento della carriera, fin troppo lineare, è scandito in maniera schematica da combattimenti, sessioni di training ed acquisti di accessori\mosse nell'apposito "fight store"; eppure riesce ad appassionare, in virtù di un miglioramento del proprio combattente che non risulterà solo statistico: dando tempo al tempo, la massa muscolare diventerà più definita e l'incisività dei colpi godrà di reali progressi.
A giudicare dalla fatiscenza degli scenari e dal mediocre dettaglio del pubblico a bordo ring, gran parte del lavoro dei grafici di Electronic Arts è stato speso nella realizzazione dei modelli poligonali; ben fatti nella massiccia struttura fisica, grondanti di sudore fin dai primi round ed espressivi nel manifestare il dolore attraverso i lineamenti facciali, i pugili si muovono con naturalezza motion capturata e si differenziano tra loro nel portamento (Muhammad Ali avrà ben altro incedere rispetto al pesante La Motta). Gli unici appunti riguardano alcune animazioni mal raccordate o legnose, qualche episodio poco appariscente di compenetrazione, le collisioni sporadicamente approssimative e la buffa fisica che governa i corpi privi di senso in seguito ad un knockdown: niente di troppo grave, ma non mancheranno le posture bizzarre e gli arti "sfarfallanti".
Il sistema di controllo è stato concepito sull'utilizzo delle leve analogiche, in stretta combinazione con i tasti dorsali; lo stick sinistro è adibito al movimento dell'atleta sul quadrato di gioco e alle schivate tramite torsione del busto, quello destro permette invece di disporsi in parata e di sferrare gli attacchi: jab, diretti e ganci si attivano in corrispondenza di appropriate inclinazioni o semirotazioni. Il parco delle movenze consentite è completato da una serie di pugni speciali, capaci di stordire l'opponente (con il successivo passaggio ad una visuale in prima persona dagli occhi del pugile vacillante), di arrecagli danni considerevoli o di spedirlo per direttissima al tappeto: la maggiore efficacia offensiva è controbilanciata da tempi di esecuzione dilatati (che espongono al rischio di ricevere manrovesci a guardia scoperta) e da un grosso dispendio di "stamina". In virtù di tale impostazione, il combattimento diventa una sorta di balletto, in cui si è chiamati a leggere il movimento del contendente (in modo da intuirne le intenzioni e contrattaccare al momento opportuno), a scegliere oculatamente l'intensità e la varietà dei pugni da sferrare (per evitare di sbilanciarsi troppo o di fornire punti di riferimento) e a monitorare con attenzione la propria "freschezza atletica"; una tempesta disordinata di botte (che spesso non arrivano a bersaglio) porterebbe ad un prematuro affaticamento e quindi ad una condizione di scarsa reattività, compromettendo le chances di vittoria. Di contro, un atteggiamento difensivista ad oltranza esporrebbe ad altrettanti rischi: incassare un pugno nello stomaco mentre i guantoni proteggono il volto determina danni raddoppiati, tentare spesso le counter (che rendono inerme per qualche istante il portatore dell'attacco) significa mettere in preventivo un certo numero di dolorosi errori di valutazione.
Il rovescio della medaglia di una formula comunque equilibrata è insito nella natura fisiologicamente approssimativa degli imput analogici, amplificata dalle fasi più concitate degli incontri; a volte è impresa ardua ottenere il colpo desiderato all'istante richiesto, così ci si ritrova ad agire sul pad più per istinto che per ragionata pianificazione. La stessa implementazione dei cosiddetti "haymakers" suscita ogni tanto qualche perplessità; se da una parte la possibilità che un singolo colpo ben piazzato mandi k.o. un avversario in netto vantaggio è una incontestabile concessione al realismo, dall'altra un simile evento casuale finisce per essere motivo di frustrazione e favorisce in maniera drammatica i giocatori che prediligano i pugili coriacei di pura potenza a quelli più dinamici (anche restando nell'ambito della stessa categoria di peso).
Una volta prese le misure al gameplay nella modalità Play Now (magari sfidando con maggior soddisfazione un amico in carne ed ossa), interpretati alcuni tra i più grandi campioni della storia nella sezione ESPN (rivivendo in forma virtuale il memorabile incontro Ali-Foreman svoltosi a Kinshasa nel 1974) e sperimentati i vari mini-games dell'allenamento, il giocatore non potrà che rivolgere la propria attenzione verso la sezione più corposa e longeva, l'immancabile carriera; terminata la creazione del boxeur più adatto alle proprie esigenze, tramite un editor che offre ampia libertà di personalizzazione nello stile e negli attributi fisici, arriva il momento della scalata verso il successo, in una lunga serie di match dai ranghi amatoriali a quelli professionistici della categoria prescelta.
Lo svolgimento della carriera, fin troppo lineare, è scandito in maniera schematica da combattimenti, sessioni di training ed acquisti di accessori\mosse nell'apposito "fight store"; eppure riesce ad appassionare, in virtù di un miglioramento del proprio combattente che non risulterà solo statistico: dando tempo al tempo, la massa muscolare diventerà più definita e l'incisività dei colpi godrà di reali progressi.
A giudicare dalla fatiscenza degli scenari e dal mediocre dettaglio del pubblico a bordo ring, gran parte del lavoro dei grafici di Electronic Arts è stato speso nella realizzazione dei modelli poligonali; ben fatti nella massiccia struttura fisica, grondanti di sudore fin dai primi round ed espressivi nel manifestare il dolore attraverso i lineamenti facciali, i pugili si muovono con naturalezza motion capturata e si differenziano tra loro nel portamento (Muhammad Ali avrà ben altro incedere rispetto al pesante La Motta). Gli unici appunti riguardano alcune animazioni mal raccordate o legnose, qualche episodio poco appariscente di compenetrazione, le collisioni sporadicamente approssimative e la buffa fisica che governa i corpi privi di senso in seguito ad un knockdown: niente di troppo grave, ma non mancheranno le posture bizzarre e gli arti "sfarfallanti".