Fire Emblem: The Sacred Stones

di Antonio Norfo
Mentre il settimo capitolo ("Rekka no Ken") altro non è stato che il primo, glorioso passo dell'emblema di fuoco in quel del vecchio continente, la nona iterazione della serie, ossia "Path of Radiance", è intanto approdata sui Gamecube di tutto il mondo.
"The Sacred Stones" (la cui uscita combacia nei territori nostrani con quella dell'esponente a 128 bit), ossia l'ottavo episodio frapposto non per narrazione ai due titoli summenzionati, arricchisce dal canto suo il filone ludico nato dall'ingegno di Intelligent Systems, e lo fa non troppo sorprendentemente su Game Boy Advance.
E già sembrano lontani i tempi in cui la saga chiamata in causa veniva proposta ahinoi alla sola utenza giapponese.


Consumati i convenevoli e deposti i ricordi non rimane adesso che valicare le porte di Magvel, il continente dove intrighi di palazzo, guerra e battaglie avranno compimento.
Tutto ha origine come consuetudine dall'antichità divenuta folklore, la quale ci rammenta come un epico giorno cinque eroi imprigionarono con l'ausilio delle "Sacred Stones" il temibile re dei demoni.
Da questi paladini dell'umanità ebbero poi origine altrettante nazioni, custodi a loro volta della pace e detentrici a testa di una delle miracolose pietre di cui sopra.
Strani e tragici eventi sono ciononostante pronti a turbare la tranquillità protrattasi per secoli: strani perché inattesi da tutti fuorché dai loro artefici, tragici perché spingeranno alle armi, senza esclusione di colpi e nessuno escluso, i rampolli ed i popoli dei regni di Jehanna, Rausten, Grado, Frelia e Renais.
Rompendo infatti l'alleanza di sempre, Grado invade i territori di Renais dove il re Fado attende il suo destino con un cuore perlomeno alleggerito dalla lontananza (e dunque dalla salvezza) dei suoi due figli gemelli. Ephraim, abile lanciere, è nelle marche di frontiera, comunque capace di fronteggiare il nemico; la bella Eirika è stata inviata nella sicura e fidata capitale di Frelia, pronta a stupire i suoi protettivi vassalli sfoggiando all'uopo la sua indiscussa abilità di spadaccina.


Per entrambi e per noi giocatori ha così inizio una storia colma di epos, strategia ed incontri.
A dire il vero, il metodo con cui la storia è esposta non si distacca da quello dell'episodio precedente, con scene d'intermezzo più o meno lunghe che intervallano, precedono, susseguono ed accompagnano pertanto lo svolgimento delle battaglie e l'applicazione della propria tattica. Per taluni giocatori tutta questa comunicazione apparirà magari invasiva, per altri sarà invece un veicolo con il quale conoscere meglio i propri commilitoni. Chi proprio non sopportasse le discussioni di quest'ultimi sappia comunque che potrà aggirarle, ma sappia ugualmente che così facendo si perderà uno degli aspetti più curati del titolo: non già, beninteso, il racconto messo a disposizione, quanto semmai la caratterizzazione dei personaggi (sì: con alcune delle seconde linee chiaramente più riuscite di altre) e gli intrecci cui costoro danno vita.

Insieme all'atmosfera fantasy spiccatamente medievale si ripropone ovviamente anche il sistema di combattimento a turni, il che comprende tanto "the Weapon Triangle" quanto "the Trinity of Magic", ambedue insiemi di vantaggi e svantaggi bellici. Così le spade danneggiano i portatori d'ascia, quest'ultimi sono letali nei confronti dei lancieri e le aste, a loro volta, sono efficaci contro gli spadaccini. Per quanto concerne gli incantesimi, invece, se essi sono di carattere sacro primeggeranno su quelli oscuri, se oscuri sopprimeranno la magia Anima (a base di fuoco, vento, tuono o ghiaccio) e se ispirate a madre natura saranno avvantaggiate contro le tecniche della luce. Questo sistema di punti di forza e debolezze è l'ingrediente principale dell'equilibrio di serie e gioco, visto che non si partecipa a battaglie campali ma ad autentici duelli.
Né mancheranno poi armi per così dire estranee al "triangolo" (lance che ad esempio immunizzano il possessore dalla naturale vulnerabilità contro le asce), o armi dalla distanza (archi e giavellotti, per citare le due più rilevanti), o, ancora, armi leggendarie e maggiormente propense a causare "critical hit" (forieri di splendide animazioni e di sicura vittoria). Tomi e ferri, ciononostante, si esauriscono con l'uso che se ne fa (ogni fendente decurta, infatti, un'unità da un totale prefissato: così ad esempio "Sieglinde" ha un'autonomia di 30 fendenti, esauriti i quali si romperà -fatta salva la riparazione prima dell'eventuale distruzione-) e gli strumenti magici atti a ripristinarne l'originaria forza degli strumenti sono classificabili, visti gli esemplari presenti, indubbiamente come rari.


Non sarà poi marginale il ruolo strategico assunto sia dal terreno dove si schiereranno i belligeranti (con elementi come forti, foreste, montagne e corsi d'acqua pronti ad offrire sicurezza o, nel peggiore dei casi, a far scattare temibili imboscate), sia quello ricoperto nell'economia di gioco dalle classi di guerrieri.
Una delle più grandi soddisfazioni è proprio quella di poter potenziare con zelo i propri compagni d'armi e farli poi evolvere in classi superiori (il livello massimo è 20 per classe ed ogni "promozione" avviene, per la maggior parte, mediante l'utilizzo di particolari oggetti).
Il bello è che in "The Sacred Stones" il level up è finalmente "liberalizzato".
Se nel precursore, aldilà dei capitoli narrativi e dell'arena (invero poco funzionale), non era possibile combattere in separate sedi (per quanto concerne l'avventura singleplayer), adesso, nello strategico presente, è possibile invece cimentarsi in gesta alternative quali la scalata di una torre o sessioni combattive dove unici nemici saranno dei mostri.
Il tutto si deve alla presenza di una mappa generale dove è concesso fra le altre cose salvare i propri progressi, servirsi di negozi situati nelle tappe già superate e, appunto, accedere a battaglie facoltative che molto facilitano il compito di incamminarsi verso l'epilogo (sono peraltro presenti, ad inizio avventura, più difficoltà da selezionare). Quanti si sono lamentati dell'eccessiva difficoltà del predecessore, insomma, forse potranno in cuor loro gioire, benché anche qui i nostri virtua-compagni di schermaglia scompariranno qualora caduti (non è possibile infatti farli tornare in vita: cosicché i perfezionisti dovranno iniziare nuovamente, se lo vorranno, il capitolo in questione).
Questa componente è, a parere di chi scrive e con riferimento al futuro, inamovibile, in quanto assicurare la sopravvivenza dei singoli personaggi se da una parte può risultare frustrante (specie quando la perdita avviene negli ultimi istanti di uno scontro durato decine di minuti), dall'altra garantisce una discreta dose di soddisfazione del proprio operato (si ricorda a proposito di questo aspetto che ai lord va evitata a tutti i costi la sconfitta, pena il game over, e che è possibile reclutare i reclutabili o parlandogli con personaggi affini, o in maniera automatica, o incontrandoli nei centri abitati).
Il resto è un susseguirsi di missioni, classiche e non, di colpi di scena e di scelte atte a promuovere la rigiocabilità (dopo un susseguirsi di capitoli formanti il preludio si dovrà difatti stabilire con quale dei gemelli proseguire nel cuore del gioco: i due riuniranno poi le loro forze all'avvicinarsi della resa dei conti).

Sul reparto estetico c'è poi poco da dire. Le mappe dei combattimenti sono tuttora votate al funzionale, mentre spiccano, in ambito grafico, le sontuose animazioni d'attacco: fluide e dinamiche come non mai.
Sono inoltre pregevoli sia il character design, sia le illustrazioni offerte durante i dialoghi (in sé, il motore 2d è evidentemente tratto da "Rekka no Ken", sebbene le migliorie si notino).
La colonna sonora stupisce invece nuovamente, andandosi anzitutto ad affiancare ai migliori esponenti acustici dell'attuale generazione portatile ed in secondo luogo spingendo il giocatore ad entrare nella Sound Room per ascoltare, aldilà dei limiti tecnici della macchina, qualche pezzo rimasto impresso su quella parte di encefalo dedita a queste mansioni.

11