Fist of the North Star: Lost Paradise

di Fabio Fundoni

Ken il guerriero. Kenshiro. Il salvatore. Il successore della divina scuola di Hokuto. L'uomo dalle sette stelle. Il guerriero dell'Orsa Maggiore. Il pugno divino che spezza il cielo, lo riduce a carne tritata e lo prepara in padella con soffritto per sfamare i poveri orfanelli del mondo post apocalisse. Ecco, abbiamo utilizzato solo una piccola parte degli pseudonimi utilizzati per chiamare il buon Ken, prendendoci una vaghissima licenza poetica solo sull’ultimo. E Fist of The North Star Lost Paradise è l’ultimo dei titoli videoludici dedicati alla saga fumettistica e animata che ne ha fatto uno dei personaggi più amati di sempre. Crediamo che, bene o male, la trama di Ken il Guerriero sia conosciuta praticamente anche ai sassi, ma per chi avesse abitato negli ultimi 35 anni su marte e fosse da poco tornato sul pianeta Terra, ricordiamo che ci troviamo in un futuro estremamente distopico, dove una guerra nucleare ha devastato il mondo, lasciandolo in condizioni a dir poco critiche e decimando la popolazione. Con la totale mancanza di governi organizzati, tutto è in mano alla legge del più forte, per la disperazione dei più deboli costretti a subire le angherie di bande di sciacalli. Ken è il successore della Divina Scuola di Hokuto, una potente arte marziale che permette di far esplodere il corpo del nemico dall’interno, andando a premere specifici punti di pressione. nel suo girovagare, Ken troverà diversi amici, ma anche moltissimi avversari tra cui spiccheranno i suoi fratelli adottivi, anch’essi maestri di Hokuto e esperti di altre arti marziali tra cui spicca, nella prima parte delle sue avventure, la Sacra Scuola di Nanto.

Videoludicamente (e non solo) parlando, abbiamo vissuto le imprese di Ken praticamente su ogni console e in ogni salsa, passando da picchiaduro per arrivare agli RPG, senza dimenticare titoli a scorrimento e via dicendo. Mediamente, quanto giocato sino ad oggi, ha sempre cercato di seguire più fedelmente possibile, la trama originale, ma Lost Paradise ha scelto una via alternativa da ogni punto di vista. Se dopo aver battuto Shin, Ken non fosse stato indotto a credere nella morte della sua amata Juria (o Julia, che dir si voglia), e si fosse messo alla sua ricerca, su confessione dello stesso Shin? Partite da questo presupposto e continuate a immaginare un universo dove le arti marziali sono le stesse di sempre, dove i personaggi hanno i soliti poteri, ma hanno un ruolo più o meno diverso rispetto a quelli che abbiamo imparato a conoscere, sempre in base ad alcune differenza nel loro passato che ha, così, creato un vero e proprio mondo alternativo per la saga di Ken. Ai ragazzi di SEGA è venuta questa idea e, per darvi forma, hanno deciso di attingere a piene mani ad uno dei sistemi di gioco più rodati e funzionali della loro libreria, cioè quello della premiata saga di Yakuza, un action/picchiaduro in terza persona che ha fatto di un’ottima giocabilità, di trame sempre accattivanti e di un mare di minigame il proprio marchio di fabbrica. Ecco, in soldoni, la ricetta che ha dato vita a Lost Paradise.

Così, eccoci a guidare Ken in questa nuova ricerca di Juria, subito dopo aver preso a mazzate il biondo Shin. Ci troveremo davanti alle porte di Eden, una città che, a sentir dire la massa di gente che cerca di entrarvi, è un vero paradiso dove acqua e cibo permettono una vita dignitosa e decisamente più sicura che nel deserto circostante. Ken riuscirà, ovviamente, ad entrarvi per cercare di recuperare informazioni sulla fidanzata perduta, in quella che si rivelerà essere una trama che, sebbene colga a piene mani dalla storia originale, saprà dare nuova linfa per gli appassionati per la cui gioia compariranno tantissimi dei personaggi più amati della saga. Certo, da bravi fan, non avremmo battuto ciglio anche se ci avessero fatto rivivere nuovamente la trama storica, dobbiamo ammettere che seguire il nuovo filo narrativo è stato sia piacevole che stimolante, anche grazie all’inserimento di alcuni nuovi character ben studiati.

Affidare l’impianto ludico al gameplay di Yakuza è stata una scelta azzeccata, sia dal punto di vista esplorativo, tra città e esterni (quanta sabbia, nel deserto…) sia per il combat system. Quest’ultimo ha subito alcuni aggiustamenti per adeguarsi all’uso delle arti di Hokuto, nonostante veda sempre l’utilizzo di due tipi di attacchi con l’aggiunta di parate e schivate in puro stile Kazuma Kiryu. Le novità arrivano riguardo all’utilizzo delle mosse speciali, con un ventaglio di opzioni estremamente variegato. Dopo aver mazzuolato per bene i nostri avversari, avremo l’occasione per colpirne i punti di pressione e dar il via all’esecuzione di una tecnica segreta (opzione che sostituisce le prese di Yakuza), la cui efficacia sarà maggiore se sapremo eseguire con il giusto tempismo dei brevi quick event.

Con il proseguire del gioco ci renderemo conto della profondità del sistema, grazie a diverse opzioni grazie alle quali potremo variare le nostre strategie. Più metteremo a segno colpi, più riempiremo un indicatore a forma della costellazione dell’orsa maggiore che, una volta completo, permetterà di scatenare tutta l’aura di Ken che diventerà esponenzialmente più forte. Inoltre avremo accesso a oggetti di vario genere, tra cui spiccano i talismani: portafortuna legata a diversi personaggi della saga che avranno specifici effetti in battaglia, tutti da scoprire e sbloccare portando avanti la trama. Tante parole che nascondono un concetto estremamente semplice: SEGA ha messo in campo un combat system estremamente divertente e particolarmente fedele al feeling della serie animata: quando vi renderete conto del piacere di sferrare su qualche malcapitato i cento pugni di Hokuto o una delle tante altre mosse disponibili, non potrete più farne a meno. Lasciatemelo dire: una vera goduria, che cresce a dismisura nelle battaglie contro gli altri maestri di arti marziali (e non mancheranno piacevoli rimandi alla saga originale). Non fatevi “fregare” dalle primissime impressioni: dopo aver giocato per qualche ora, i combattimenti saranno più snelli e soddisfacenti di quanto il primo impatto potrebbe far pensare.

La crescita del protagonista si muove poi sulla classica raccolta di punti per salire di livello, con quattro alberi di abilità da gestire con un sistema di “orbs”, sfere di varia fattura che permetteranno di sbloccare bonus o funzioni particolari. Il tutto, ovviamente, mentre la fase esplorativa ci darà modo di trovare una gran quantità di avversari “carne da macello”, missioni secondarie e minigame. Proprio qui, Lost Paradise mostra maggiormente il fianco, soprattutto per i fan di lunga data. Sappiamo bene che la saga di Yakuza è sempre stata in bilico tra una trama principale estremamente drammatica e momenti ai limiti del comico e dell’assurdo, ma vedere situazioni altrettanto leggere in un contesto come quello dell’universo di Kenshiro, ci ha lasciati interdetti. Certo, il tutto aumenta la longevità a dismisura (per completare tutto quello che gli sviluppatori hanno messo sul piatto, dovrete giocare per decine e decine di ore), ma sarà necessario scendere a patti con situazioni limite. Piacevole la costruzione della macchina per esplorare il deserto, divertente il minigame simil-baseball dove Ken prende a sprangate teppisti in moto, ma per godersi i minigiochi dove l’uomo di Hokuto sarà il manager di un night club, un barman o un medico che cura i malati a suon di musica, si dovrà fare appello alla propria sospensione di incredulità. Un piccolo sforzo in nome del risultato globale.

Graficamente il gioco poggia sul Dragon Engine di Yakuza 6, ma il team di sviluppo ci è sembrato aver avuto qualche difficoltà nella resa in cell shading, inferiore rispetto a quanto mostrato nell’ultimo episodio delle avventure di Kazuma. Quantomeno il frame rate non delude, con qualche sporadico rallentamento non troppo giustificato, vista anche una quantità di poligoni a schermo non certo proibitiva. Di altra caratura il sonoro, con un doppiaggio giapponese che sale in cattedra e soddisfa a pieno. Possibile anche selezionare quello inglese, ma abbiamo trovato molto più godibili le voci nipponiche. Purtroppo anche questa volta SEGA ha deciso di non inserire i testi in italiano, sebbene i dialoghi non siano in un inglese poi troppo complicato, ma diversi utenti non apprezzeranno la scelta.

Fist of The North Star Lost Paradise non è certamente un titolo perfetto, ma ha un pregio enorme: mettere nuovamente i fan della saga nei panni del loro eroe preferito, grazie a un gameplay che sa dare il massimo esattamente dove serviva, nel combattimento. Il gioco diverte, soprattutto se si avrà la pazienza di lasciargli prendere quota. Capiamo che potrebbero storcere il naso i fan più intransigenti, proprio le situazioni poco consone al personaggio, ma sarebbe un peccato perdersi tutto il resto per non voler chiudere un occhio su quelle che, in effetti, sono concessioni fuori luogo. Un piccolo sforzo da fare per poter nuovamente impersonare Ken il guerriero, non vi pare?