Ghost in the Shell Stand Alone Complex
di
Antonio Norfo
Tanto le pagine quanto le uscite cinematografiche di Ghost in the Shell (opera magna di Shirow Masamune) condividono come loro forza motrice l'atmosfera squisitamente futuristica e marcatamente corrotta. Ed a differenza dell'approdo interattivo del brand (in veste di sparatutto ed ospitato nella precedente console Sony) si può ben dire che questo secondo nuovo esponente (propostoci in suolo europeo da Atari) vanti a favore, oltre al differente genere di riferimento, il fatto di rispettare maggiormente le tematiche estetiche del suddetto filone manga-anime.
In un contorno visivo che pure non brilla per eccellenza tecnica e qualità stilistica (la mesta texturizzazione è, per ambedue gli aspetti, una prova più che sufficiente da avanzare), risulta quantomeno piacevole trovarsi immersi in una moltitudine di costruzioni ed ambienti (siano interni o rivolti all'esterno) che non disdegnerebbero d'essere inseriti nelle tavole aventi come protagonista la sensuale maggiore Motoko Kusunagi. Non importa allora in che mondo di invenzione ci si trovi (se scritto, tratteggiato, giocato od animato): l'importante, per essere fino in fondo fedele alla fonte d'ispirazione, è che sia quel malinconico ed anomalo "agglomerato d'imprese" (il futuro Giappone, in ottica pessimistico-futurista), dove la terra che conosciamo è sì oltremodo informatizzata, ma "non tanto da cancellare popoli e nazioni" (intenti l'uno contro l'altro ad immergersi in un pazzo ed ambiguo gioco diplomatico).
Nelle sue componenti prettamente ludiche il titolo in analisi (sottotitolato Stand Alone Complex) risulta un modesto action game in tre dimensioni, reso tale (cioè modesto) per via di un semplicismo nel progredire e di una longevità assai bassa (sebbene dipendente dal grado di difficoltà selezionato). Anzitutto va detto come l'avventura si suddivida per personaggi, andando ad ospitare il dualismo ed alternanza fra l'agilissima Motoko (personaggio femminile, per quanto cyborg) ed il roccioso Batou (personaggio maschile ed inseparabile collega della prima). Il tutto si basa dunque sul canone che vuole contrapposti muscoli con scaltrezza e mentre i primi mezzi concederanno l'indiscussa devastazione e linearità di movimento, la seconda darà luogo ad acrobazie feline e rapidi attacchi con tanto di salti modello enigma, invero non sempre esenti da frustrazione (risultando però uno dei pochi punti di contatto interattivo con le ambientazioni).
All'interno dell'arsenale si ritagliano uno spazio rilevante le armi da fuoco, alle quali si accompagna oltre alla dilagante azione una scelta "strategica" non di nulla importanza. Il numero di pistole e/o fucili da prendere con sé ammonta infatti a due, ed ai ferri in dotazione si aggiungeranno quelli rilasciati dai malfattori caduti (altrettanto generosi nel cedere numerose pallottole e sebbene non brillanti pronti a muoversi con costanza).
La varietà delle opzioni combattive potrebbe invogliare il giocatore (da segnalare armi da lancio e scontri corpo a corpo in pieno stilema Matrix); pur riconoscendo nel complesso un sistema di controllo a tratti macchinoso e bisognoso, per essere padroneggiato alla meglio, di una consistente pratica iniziale (il tutorial è caldamente consigliato, se non altro per comprendere quanto è e quanto non è nelle nostre facoltà motorie).
Nell'arco dell'avventura si inseriscono infine alcuni elementi strutturali alquanto noiosi, ossia gli assidui dialoghi studiati per riempire il fruitore d'informazioni (spesso evitabili) e la spesso complementare richiesta di raggiungere terminali da manomettere (al fine magari di infiltrarsi in sistemi di sicurezza o di mettere in funzione marchingegni momentaneamente fuori servizio).
Entrambi, a parere di chi scrive, potevano essere ampiamente sacrificabili in nome di un ritmo maggiormente omogeneo, anche se l'eliminarli fosse andato ad ulteriore discapito delle ore trascorse (un numero di per sé precario, come accennato poche righe sopra). Gli affezionati del brand nipponico in questione, poiché è a loro che principalmente si rivolge Stand Alone Complex, sapranno in definitiva enucleare pregi e difetti riscontrabili, chiudendo a favore della propria passione un occhio o due sulle evidenti mancanze ludico-concettuali ed aprendoli sui meriti citati. Una passione che verrà inoltre premiata in primo luogo con dei fedeli filmati narrativi (la colonna sonora è anonima e risulta sottotono anche nella fasi di gioco; il doppiaggio anglosassone e gli effetti sono invece discreti), ed infine con una modalità multiplayer funzionale quanto basta ad intrattenere.
In un contorno visivo che pure non brilla per eccellenza tecnica e qualità stilistica (la mesta texturizzazione è, per ambedue gli aspetti, una prova più che sufficiente da avanzare), risulta quantomeno piacevole trovarsi immersi in una moltitudine di costruzioni ed ambienti (siano interni o rivolti all'esterno) che non disdegnerebbero d'essere inseriti nelle tavole aventi come protagonista la sensuale maggiore Motoko Kusunagi. Non importa allora in che mondo di invenzione ci si trovi (se scritto, tratteggiato, giocato od animato): l'importante, per essere fino in fondo fedele alla fonte d'ispirazione, è che sia quel malinconico ed anomalo "agglomerato d'imprese" (il futuro Giappone, in ottica pessimistico-futurista), dove la terra che conosciamo è sì oltremodo informatizzata, ma "non tanto da cancellare popoli e nazioni" (intenti l'uno contro l'altro ad immergersi in un pazzo ed ambiguo gioco diplomatico).
Nelle sue componenti prettamente ludiche il titolo in analisi (sottotitolato Stand Alone Complex) risulta un modesto action game in tre dimensioni, reso tale (cioè modesto) per via di un semplicismo nel progredire e di una longevità assai bassa (sebbene dipendente dal grado di difficoltà selezionato). Anzitutto va detto come l'avventura si suddivida per personaggi, andando ad ospitare il dualismo ed alternanza fra l'agilissima Motoko (personaggio femminile, per quanto cyborg) ed il roccioso Batou (personaggio maschile ed inseparabile collega della prima). Il tutto si basa dunque sul canone che vuole contrapposti muscoli con scaltrezza e mentre i primi mezzi concederanno l'indiscussa devastazione e linearità di movimento, la seconda darà luogo ad acrobazie feline e rapidi attacchi con tanto di salti modello enigma, invero non sempre esenti da frustrazione (risultando però uno dei pochi punti di contatto interattivo con le ambientazioni).
All'interno dell'arsenale si ritagliano uno spazio rilevante le armi da fuoco, alle quali si accompagna oltre alla dilagante azione una scelta "strategica" non di nulla importanza. Il numero di pistole e/o fucili da prendere con sé ammonta infatti a due, ed ai ferri in dotazione si aggiungeranno quelli rilasciati dai malfattori caduti (altrettanto generosi nel cedere numerose pallottole e sebbene non brillanti pronti a muoversi con costanza).
La varietà delle opzioni combattive potrebbe invogliare il giocatore (da segnalare armi da lancio e scontri corpo a corpo in pieno stilema Matrix); pur riconoscendo nel complesso un sistema di controllo a tratti macchinoso e bisognoso, per essere padroneggiato alla meglio, di una consistente pratica iniziale (il tutorial è caldamente consigliato, se non altro per comprendere quanto è e quanto non è nelle nostre facoltà motorie).
Nell'arco dell'avventura si inseriscono infine alcuni elementi strutturali alquanto noiosi, ossia gli assidui dialoghi studiati per riempire il fruitore d'informazioni (spesso evitabili) e la spesso complementare richiesta di raggiungere terminali da manomettere (al fine magari di infiltrarsi in sistemi di sicurezza o di mettere in funzione marchingegni momentaneamente fuori servizio).
Entrambi, a parere di chi scrive, potevano essere ampiamente sacrificabili in nome di un ritmo maggiormente omogeneo, anche se l'eliminarli fosse andato ad ulteriore discapito delle ore trascorse (un numero di per sé precario, come accennato poche righe sopra). Gli affezionati del brand nipponico in questione, poiché è a loro che principalmente si rivolge Stand Alone Complex, sapranno in definitiva enucleare pregi e difetti riscontrabili, chiudendo a favore della propria passione un occhio o due sulle evidenti mancanze ludico-concettuali ed aprendoli sui meriti citati. Una passione che verrà inoltre premiata in primo luogo con dei fedeli filmati narrativi (la colonna sonora è anonima e risulta sottotono anche nella fasi di gioco; il doppiaggio anglosassone e gli effetti sono invece discreti), ed infine con una modalità multiplayer funzionale quanto basta ad intrattenere.
Ghost in the Shell Stand Alone Complex
6.5
Voto
Redazione
Ghost in the Shell Stand Alone Complex
Gli affezionati del brand nipponico in questione, poiché è a loro che principalmente si rivolge Stand Alone Complex, sapranno enucleare pregi e difetti riscontrabili, chiudendo magari un occhio sulle evidenti mancanze ludico-concettuali per favorire la loro passione. Il secondo esponente interattivo di Ghost in the Shell (il primo apparve, diversificandosi per genere, su Playstation) risulta in definitiva un modesto action game 3d, il quale avrebbe probabilmente raggiunto maggior consenso se avesse eliminato elementi strutturali di dubbio divertimento (alcuni salti, dialoghi informativi e terminali da manomettere) e se avesse al contempo trovato diversi stratagemmi per incrementare la longevità della modalità Single Player.