GoldenEye: Rogue Agent

di Giuseppe 'Sovrano' Schirru
Istantanee di scene da film: Gamesurf si immagina al bancone di un bar malfamato che sorseggia un bicchiere di bourbon, dopo una giornata passata ad analizzare meticolosamente GoldenEye Rogue Agent (GoldenEye: Al Servizio del Male nella localizzazione italiana). La Electronic Arts riesce nel duplice tentativo di dissacrare GoldenEye 007 (Rare, 1997) con un seguito qualitativamente pietoso e un gameplay che pare convogliare i propri sforzi nel collezionare i difetti che il manuale del perfetto programmatore segnala alla voce "evitare come la peste". Come se non bastasse, la software house ce la mette proprio tutta per coprirsi di ridicolo imbastendo il classico spettacolo circense dietro al quale si cela un gameplay con lo spessore della carta-velina. Errare è umano, perseverare diabolico. "Seguito", scusateci l'inesattezza, è una definizione da cui questo titolo rifugge: dopo averci sonoramente delusi con Medal of Honor Rising Sun e piacevolmente colpiti con Medal of Honor Pacific Assault, la EA LA in questa veste appare una copia sbiadita, slavata, imbruttita della RARE. Ma diciamocelo chiaro: la Rare sta alla EA LA come una Mercedes Benz classe S sta ad una qualsiasi utilitaria. Se il concetto ancora non vi è chiaro, a breve capirete i motivi della nostra allegoria. Rogue Agent è un lontano parente del GoldenEye apprezzato su N64, così lontano che quest'ultimo negherebbe perfino in tribunale la consanguineità, magari rivoltandosi dalla tomba e lanciandogli in testa lo scettro di miglior fps su console dell'era a 64 bit. E Perfect Dark, della stessa casa londinese, potrebbe incollerirsi rivendicando metà proprietà dello scettro poco sopra menzionato.


I più scrupolosi fan delle serie potrebbero aver trovato in apertura di recensione una "chicca mancata". Il perché del citare un bicchiere di bourbon piuttosto che un vodka martini agitato, non mescolato, è dovuto sostanzialmente alla mancanza di Pierce Brosnan che lascia il testimone a GoldenEye, agente rinnegato e indesiderata new entry di questo capitolo. Il muro fatto di licenze e trovate cinematografiche le citazioni "colte" faranno impazzire i puristi - ben presto si sgretola perché costituito da mattoni di pessima consistenza. GoldenEye RA (da ora GRA) infatti, in pieno spirito EA, punta davvero in alto. Ma più in alto va la scimmia, più le si vede il posteriore. O se preferite, in una dialettica meno metaforica, più si va in alto, più è dolorosa la caduta. La sintassi di gioco porta a una sola considerazione: GRA è sostanzialmente un fps ignorante, dove l'impulso reciproco di due cellule (dicasi sinapsi) che si trasmettono l'ordine di premere il grilletto è l'unico sforzo intellettivo richiesto. E magari schivare qualche proiettile. Nemmeno alcune audacie ludiche quali i poteri dell'occhio del protagonista riescono a rinverdire la formula o interrompere la lezione di superficialità impartita dai programmatori. La EA ancora una volta rivendica con orgoglio la sua potenza monetaria che le permette di mettere in scena personaggi ufficiali, Judi Dench e Pierce Brosnan al doppiaggio, il contributo del dj Paul Oakenfold alla colonna sonora, licenze MGM e la furbesca riesumazione di personaggi storici quali Oddjob, Pussy Galore o il Dottor No. Ma il suo prodotto, laddove Halo 2 (paragone forzato, ma indicativo) mostra raffinatezza stilistica e nutrite qualità ludiche, sfoggia una rozzezza quasi disarmante. Rozzezza individuabile in due fattori imprescindibili per la buona riuscita di qualsiasi prodotto: grafica e giocabilità.

La perizia dei programmatori non emerge nemmeno nel disegnare scontri tatticamente credibili o divertenti e sfocia nell'abilità di proporre un fps ignorante, convenzionale, qualitativamente trascurabile. Nemici che scompaiono dopo essere caduti in battaglia sono un segnale d'allarme preoccupante, specie se dotati d'intelligenza artificiale risibile e curiosa indifferenza nell'impatto coi nostri proiettili, a cui non consegue alcuna variazione pur infrangendosi in specifiche parti dei loro scarni modelli poligonali. In questi anni Soldier of Fortune 2 ha regalato un unico insegnamento: la localizzazione dei danni. I programmatori EA LA sono stati disattenti durante la lezione impartita. Non meno distratti sono stati durante la conferenza di IA applicata ai bot, per quanto il panorama videoludico mostrasse ben più d'un prodotto che in tal campo avesse da dire la sua. Increduli dinnanzi ad avversari che si nascondono dietro a bidoni esplosivi, siamo portati a pensare che su questi gravino manie suicide. O che la vita gli faccia proprio schifo.


La presenza del Dual-Wielding si immola sull'altare della prevedibilità, insieme all'accoppiata arma-granata o al livello di energia auto-ricaricante. Poco male, la scopiazzatura va più di moda dei jeans a vita bassa, ma un sistema di controllo ostico e impreciso ci impedisce di goderci appieno la "sagra del già visto". Un vero peccato perché lo stesso sistema di controllo rovina la festa ad alcune trovate quantomeno interessanti, associate al GoldenEye, gingillo che nel corso dell'avventura verrà aggiornato con una pluralità di funzioni. Meritano menzione la possibilità di guardare attraverso i muri (e sparare con un'apposita arma), usare lo scudo di polarità per respingere i proiettili, assumere il controllo di armi e dispositivi elettronici telecomandati o altro ancora. Inoltre, l'essere un agente rinnegato apre il portone alle soluzioni meno "politically correct" come prendere ostaggi, crivellare di piombo donne e bambini, spegnere la console dopo il ciclico ripetersi di situazioni analoghe. Pardon, questa era una meschinità. Portavoce di una filosofia fps primitiva, GRA propone una campagna in singolo da otto missioni (nemmeno tante) che, per gli evidenti problemi sopra menzioni, non riesce a catturare il giocatore. Affini problemi che affollano le sezioni multiplayer offline ed online. Il dato è tratto.

Halo è un mirabile esempio di estetica applicata al format videogioco, GRA la malinconica esposizione di modelli poligonali che riuscirebbero perfino a sfigurare con i primi prodotti di questa generazione videoludica, in un comparto grafico che propone più ombre che luci. Le troppe superficialità concessesi dai programmatori in fase realizzativa sono un ostacolo troppo grande per consentirci di esprimerci in termini positivi. Il reparto audio invece, per quanto proponga una colonna sonora in Bond-style, si fa apprezzare per un buon doppiaggio e degli effetti sonori discretamente riprodotti. Ma ciò è ben poca cosa. I problemi evidenziati in sede di recensione, che i fan accaniti potrebbero considerare come un insetto spiaccicato nel parabrezza dell'intera esperienza videoludica, sono in realtà un aquila che si infrange con forza distruggendo anche le più flebili possibilità di avere tra le mani un prodotto qualitativamente positivo. Niente di tutto ciò: Rouge Agent è una pozzanghera di fango e il giocatore si ritrova senza le scarpe adatte, metaforicamente parlando. Il modo più sicuro per uscirne indenni è la celere pressione del tasto power. Oggi la EA ha perso, ma non vuole dire che debba farci l'abitudine.