Gungrave G.O.R.E. – Recensione: non aprite quella porta
Non aprite quella porta, anzi, lasciatela proprio chiusa per sempre!
Capita ormai sempre più spesso di veder pubblicare prodotti che si rifanno al passato. Sia che si tratti di remastered, piuttosto che di remake, l’operazione di base resta essenzialmente la stessa: la tendenza è quella di rievocare emozioni del passato. Il mood in casa IGGYMOB deve essere stato sicuramente questo, quando durante il meeting in sala riunioni si è deciso di riprendere in mano il franchise Gungrave, ovvero quell’action in terza persona dove si sparava tante di quelle pallottole da far impallidire persino Topper Harley.
Di Gungrave ce ne furono due, anno domini 2002 e 2004, poi più nulla. Almeno sino a oggi, in cui appunto la casa di sviluppo IGGYMOB ha deciso senza colpo ferire di creare un vero e proprio sequel del gioco, con tanto di personaggi, ambientazioni e situazioni che rievocano gli stessi ricordi del periodo. Quel profumo che, a distanza di vent’anni, ha forse perso mordente per via di scelte non proprio azzeccate. Insomma, Gungrave G.O.R.E. è un’operazione nostalgia oppure un prodotto che poteva tranquillamente non esistere?
L'antieroe con la bara a tracolla
Veniamo al punto della questione. La storia di Gungrave G.O.R.E. riprende direttamente da dove eravamo rimasti, ovvero alla conclusione del capitolo Overdose, e sempre nei panni del tenebroso Grave, o Brandon Heat (che già così fa ridere, ma tant’è). Quest’ultimo ricorda stilisticamente personaggi come Dante di Devil May Cry, sempre ben armato e sempre accompagnato musicalmente da una colonna sonora dalle note metal, solo che in questo caso Grave si porta per tutto il tempo a tracolla una bara.
Una vera e propria cassa da morto, probabilmente pensata per spaventare i suoi nemici ancor prima di sparargli. Nel capitolo odierno non c’è molto da raccontare a livello di storia, ci viene essenzialmente spiegato che la nostra squadra deve infiltrarsi all’interno di una location segreta per impedire la diffusione di una droga chiamata SEED, uccidendo con l’occasione qualsiasi cosa si muova e opponga resistenza.
Ecco, potremmo anche finirla qui. Questo perché all’interno del titolo non c’è davvero altro, tranne tutta una serie di sparatorie intervallate dall’utilizzo di abilità più o meno utili, che onestamente si fa fatica persino ad usarle data la monotonia espositiva dell’opera. In Gungrave G.O.R.E. si spara un sacco, non si fa altro a dirla tutta, e lo si fa pure male, complice un gameplay che ricalca i tempi andati scordandosi dei vent’anni che sono passati nel mezzo, un problema grosso che i giocatori non faranno fatica ad apprendere. Dall’inizio alla fine si percepisce un reale senso di noia, che nemmeno i sorrisi di un trentaseienne attempato, quello che prova a ricordare i pomeriggi davanti alla PlayStation con gli amici, possano in qualche modo alleviare.
E così si va avanti scenario dopo scenario, si perde quasi subito il conto dei nemici uccisi, se non altro perché “escono dalle fo****e pareti” senza una ragione logica, sparandoci nell’attesa di essere uccisi a colpi di pistola o bara. È tutto molto pesante, lo stesso Grave che schiva i colpi sembra più goffo della stessa bara che si porta al collo, ed è un peccato perché un titolo simile, inteso come uno sparatutto in terza persona, vive essenzialmente del dinamismo conferito dall’azione.
Ho sparato davvero milioni di colpi
Potrebbe rivelarsi una citazione presa dal gioco, ma in realtà così non è. Quando ci si ferma a parlare del gameplay, Gungrave G.O.R.E. finisce per restarvi in mente per un’unica ragione: per sparare bisogna premere ogni volta il grilletto del pad dedicato. Non è possibile insomma tenere premuto il tasto per sparare, ma bisogna ogni sacrosanta volta premere ripetutamente il tasto.
La tendenza a specificarlo è proporzionata alla stessa sorpresa che abbiamo provato nel doverlo fare dall’inizio alla fine. Si tratta di un elemento fuori scala, una condizione necessaria e sufficiente per farti prendere e buttare direttamente le dita direttamente nel cesso. La stessa frustrazione la si prova utilizzando le altre abilità in dotazione di Grave, come il poter respingere indietro i razzi con la bara (e anche qui si ride) oppure attirare a noi i nemici con una catena, utile a giustiziare i nemici per ottenere punti stile.
Gli stessi counter con il punteggio in sovraimpressione puzzano di Devil May Cry, diciamo che Gungrave G.O.R.E. tenta di esserne la brutta copia, il che è un peccato perché poteva tranquillamente esserne un reskin con tanto di situazioni differenti, ma non per questo meno incalzanti qualora sviluppati nel modo giusto.
A un certo punto è possibile utilizzare delle abilità più distruttive, ma onestamente non se ne sente minimamente la necessità andando avanti nel gioco, complice sempre lo stesso gameplay incespicante citato sinora. Il level design pecca di semplicità, impoverito dalla mancanza di elementi scenici che possano aggraziarne la resa finale, o anche di semplici strade alternative che possano farci uscire dai binari prestabiliti, tanto quanto basta per aggiungere combattimenti extra o altro.
A un certo punto ci si chiede per quale motivo Grave debba per forza compiere questa missione, avremmo preferito cento volte sparare un’atomica e sperare nella distruzione massiva del complesso, che vi assicuriamo avrebbe avuto gli stessi effetti del passaggio del nostro alter ego digitale.
La cosa più complicata che ci è toccata fare, oltre a sparare, è stato cercare di saltare tra piattaforme in movimento senza cadere nel vuoto.
Cristallizzato nel tempo
A impoverire ulteriormente il prodotto ci pensa tutto il comparto tecnico, fermo immobile negli anni 2000 con tanto di grafica che farebbe impallidire il famoso falegname messo a confronto con Garpez lo scultore. Sembra di aver montato un emulatore della PlayStation 2, al punto che più volte ci siamo fiondati nelle impostazioni alla ricerca di un qualsiasi parametro che fosse dedicato all’argomento, come se per sbaglio avessimo attivato un filtro vintage creato per l’occasione.
In realtà non c’era nulla di tutto questo, anzi. Gungrave G.O.R.E. sembra realizzato apposta per farti sentire che sono passati anni dai giorni sul divano davanti alla Play, anni in cui però non è cambiato nulla, almeno nelle stanze di IGGYMOB. Ed è un peccato, perché un titolo simile avrebbe potuto ricevere una buona accoglienza se standardizzato ai giorni nostri, con grafica, gameplay ed elementi a corredo sul generis.
Invece qui si percepisce un immobilismo davvero pericoloso, elemento quasi diabolico quanto chi persevera nell’errore con l’intenzione di farlo. Il comparto sonoro è gradevole grazie alla colonna sonora, ma Grave tanto è muto, perciò, le voci che sentiremo sono da attribuire ai compagni di quest’ultimo. Alcune cutscene sono meglio realizzate di altre, questo perché sono fatte con grafica diversa da quella in game, ma non bastano da sole a migliorare l’esito generale sul prodotto.