Hand in Hand, due puzzle sono meglio di uno – Recensione PC

La recensione del puzzle-platform cooperativo di MaxMedia, un’esperienza da vivere in coppia, creativa ma a tratti un po’ legnosa

di Jacopo Retrosi

Il mondo ha bisogno di più puzzle-platform cooperativi. Che si tratti di un Trine a caso, uno dei due Unravel, l’eccellente It Takes Two o il Kuri Kuri Mix di From Software (se proprio vogliamo andare a ritroso nel tempo), sono esperienze estremamente divertenti che stuzzicano l’ingegno e fanno fare grasse risate, spesso per i motivi sbagliati 

Ecco perché è sempre un piacere poter mettere le mani su un nuovo esponente del genere, come Hand in Hand, uscito in questi giorni su Nintendo Switch (noi invece stiamo recensendo la versione PC, disponibile dallo scorso novembre). Il titolo MaxMedia propone rompicapi in split-screen con un sistema di controllo talmente semplice che può ospitare entrambi i personaggi su un singolo pad, ma per comodità (e quieto vivere) abbiamo preferito utilizzare due periferiche separate per testare il multiplayer (solo locale, niente online).

In Hand in Hand, i due protagonisti vengono allontanati quando il male si abbatte sul loro mondo. Il loro viaggio li porterà quindi a vivere in due realtà distinte, ma in grado di comunicare tra di loro, e qui entra in gioco la principale caratteristica dell’avventura: l’azione avviene su due schermi separati, tuttavia leve, interruttori e poteri attivati da una parte consentiranno di manipolare lo schermo dell’altro. Tra i due piani di gioco si crea quindi un continuo scambio molto intrigante che vede i due protagonisti aiutarsi a vicenda per risolvere gli enigmi che sbarrano loro il cammino. 

Se giocato da soli Hand in Hand diventa oltre che un esercizio mentale anche una prova di abilità niente male, visto che si è obbligati a ragionare sulla soluzione del rompicapo di turno mentre si controllano due personaggi contemporaneamente, che spesso devono coordinarsi per poter proseguire, ma a nostro dire il gioco dà il meglio di sé (banalmente) in co-op, spartendo così il carico di lavoro e arrovellandosi in compagnia.

Le soluzioni dei puzzle ma non sono mai troppo ovvie, ma neanche particolarmente complesse, considerati i pochi elementi con cui interagire di volta in volta. La difficoltà sta nel trovare la corretta sequenza di azioni da eseguire, e in questo Hand in Hand tende a scricchiolare, non perché le soluzioni del team di sviluppo facciano acqua, al contrario, ma perché spesso si è costretti a ripetere lo stesso pacchetto di operazioni per ripristinare lo schermo al suo stato originario, tra marchingegni che si muovono lentamente e fasi platform farraginose e non proprio riuscitissime. Un tasto di reset o la possibilità di aggrapparsi ai bordi avrebbero fatto miracoli. 

Abbiamo poi trovato uno dei due protagonisti decisamente più interessante da utilizzare dell’altro; la capacità di diventare invisibili e alterare porzioni del livello nella medesima maniera è molto più stimolante rispetto a poter lanciare sonic boom come Guile di Street Fighter (ok, detto così non si direbbe) dalla portata risibile, tanto più se forza a “combattimenti” con la fauna locale che mostrano tutte le ruggini del sistema di controllo; a tal proposito, le api sono una vera seccatura e ne avremmo fatto volentieri a meno.

Detto questo, non rimpiangiamo il nostro tempo trascorso con Hand in Hand, ma avremmo gradito un’esperienza più frizzante. Il titolo MaxMedia è flemmatico, solenne quasi, complice l’atmosferica colonna sonora dal piglio orchestrale (ottima per la cronaca, ma forse un pelo eccessiva rispetto a quanto accade a schermo; partono i cori ogni volta che premiamo un pulsante o si apre una porta), e per questo poco vivace, tanto nella presentazione quanto nell’esecuzione.  

L’impressione è quella di giocare ad un Limbo più colorato, ma senza le forti atmosfere che caratterizzano l’opera Playdead, e fiaccato da puzzle che sì funzionano ma risultano un po’ più macchinosi del dovuto, pieni di tempi morti e passaggi obbligati che smorzano la curiosità dello spettatore. Nulla di insormontabile, sia chiaro, però anche qualcosa che non ci vediamo a rigiocare volentieri in futuro.

Forse una formula di gioco più spigliata, in linea con la veste grafica, con una componente platform più fluida e reattiva, e meccaniche più snelle, aiuterebbe a dare quella spinta che manca a Hand in Hand; di sicuro gli consentirebbe di entrare in sintonia con il sottoscritto. E a proposito di veste grafica, la splendida direzione artistica dalle tinte acquerello è davvero un piacere da ammirare, ma soffre di una penuria di ambientazioni (solo quattro, una per “boss”) ed elementi dello scenario non sempre leggibilissimi in termini di navigazione, come passaggi quasi invisibili o piattaforme da cui ci si può calare indistinguibili dalle altre.