Hollowbody, un survival horror vecchia scuola troppo imperfetto

Headware Games tenta il ritorno al passato ma fallisce nell'offrire un'esperienza coesa

di Alessandra Borgonovo

Non è raro per sviluppatori emergenti di videogiochi horror, siano essi di sopravvivenza o psicologici, puntare su un più o meno sicuro fattore nostalgia ispirandosi a un passato che ancora trova l'appoggio di molti videogiocatori: è questo il caso di Headware Games con Hollowbody, un tech-noir survival horror che prende a piene mani dai titoli classici del genere andando ad aggiungere qui e lì un tocco più moderno - come l'unione di telecamera fissa e dinamica, che permette una miglior gestione di spazi e opportunità in fase di combattimento.

Il gioco si apre con una giovane donna, Sasha, vestita con una tuta di biocontenimento, che assieme ad altre persone si reca su una spiaggia dell'Arcipelago Britannico non lontana dal luogo in cui decenni prima una catastrofe biologica di natura incerta ha costretto a isolare l'area per evitare il diffondersi di qualsiasi cosa stesse mietendo vittime. Laddove lei sembra essere lì con l'intento di svelare la verità sui fatti, altri sembrano non aver avuto scelta: non è chiaro chi sia il committente né quali leve abbia per arrivare a obbligare qualcuno a fare come dice. Spostandosi in cerca di tale Mark, scomparso chissà dove, Sasha si addentra in una caverna dove sull'orlo di un abisso viene improvvisamente aggredita da quello che potrebbe essere Mark stesso. Si chiude così il prologo per portare l'attenzione sulla protagonista: Mica.

Corriere senza licenza del mercato nero, è la compagna di Sasha e dodici giorni dopo non aver più avuto notizie da lei decide di andare a cercarla in barba ai divieti che impediscono l'accesso alla zona isolata. Con l'aiuto di un certo Tax, Mica riesce a portare l'hovercar sul posto ma una tempesta manda in tilt il sistema di controllo del veicolo facendola piombare bruscamente nel centro di una cittadina. Sola, senza possibilità di comunicare con Tax a causa della mancanza di segnale e ignara di cosa l'aspetti in un luogo dove i morti non rimangono tali, Mica prosegue nella ricerca di Sasha.

Hollowbody, una storia priva capo o coda

Hollowbody ricorda da molto vicino qualunque survival horror possiate aver giocato tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000: a partire da una grafica ricercata in tal senso fino a elementi cardine come la già citata telecamera fissa (modernizzata dall'unione con una dinamica), un inventario vecchio stile, enigmi e una serie di ambientazioni familiari, il gioco omaggia il passato in modo evidente. Vorrei dire qualcosa di positivo in più, perché le premesse e l'inizio stesso sembravano promettenti, ma Hollowbody non riesce a imprimersi come dovrebbe: c'è un buon lavoro in termini di sound design, valorizzato dal fatto che le creature nemiche emettono suoni raschianti come di chi fatica a respirare, e l'illuminazione è a tratti discreta, mentre per quanto riguarda il resto si scivola verso un risultato facilmente dimenticabile.

La storia non è chiara in pressoché nessuno dei suoi aspetti - a partire da chi sia Mica stessa. Gli spizzichi e bocconi di informazioni che si trovano in giro, nella forma di note o articoli di giornale, sono stati introdotti in questo modo per lasciare volutamente un'aura di mistero ma così è fin troppo: non si capisce, se non sforzandosi di collegare qualche punto alla fine, cos'abbia portato al disastro né come sia possibile che dopo tutto quel tempo non sia stata adottata una soluzione definitiva.

C'è una figura che, tramite i telefoni fissi o delle cabine telefoniche con cui salvare il gioco, si fa beffe di Mica e pare sapere di lei qualcosa che tuttavia alla fine non viene mai esplicitato al giocatore: sembra una presa in giro fine a se stessa che vuole solo suggerire l'idea di trascorsi discutibili della protagonista. Arrivati alla fine, a seconda che si abbia avuto successo o meno in un particolare momento del gioco, si sblocca o il finale negativo o quello positivo ma nessuno dei due fa qualcosa per rendersi soddisfacente. Insomma, al netto di un inizio promettente Hollowbody scade presto in una generale mediocrità narrativa.

Vecchia scuola solo negli intenti

Non che le cose vadano meglio dal punto di vista del gameplay. I comandi sono reattivi, l'unione delle due telecamere funziona abbastanza bene (anche se non ovunque), le armi da fuoco o corpo a corpo non sono male fatta eccezione per l'ascia improvvisata, talmente lenta nei movimenti rispetto ai mostri da risultare inutile, e a Mica bastano pochi colpi per morire il che ci mette sempre in allerta su come affrontare eventuali minacce. A non funzionare sono proprio queste minacce tanto in termini di varietà quanto di disposizione nel corso di tutto il gioco, quando non effettiva pericolosità.

Escluso il boss finale, abbiamo tre tipi di nemici: gli abitanti della cittadina divenuti cadaveri ambulanti, creature più grosse e feroci che non saprei definire ma potrebbero essere state a loro volta umane, e i cani - gli onnipresenti cani che riescono a essere più fastidiosi che minacciosi. Tranne nelle zone chiuse o più ristrette, il combattimento è tutto fuorché essenziale in Hollowbody: memorabile è la sezione subito dopo gli appartamenti, nella quale dobbiamo raggiungere un parco, tornare indietro al quartiere abitato dopo aver preso una chiave, tornare al parco una volta ottenuta una seconda chiave e in tutto questo tempo è sufficiente correre schivando occasionalmente i mostri, non importa quali siano.

Nessuno è davvero in grado di toccarci, a meno che l'oscurità non l'abbia nascosto così bene da coglierci di sorpresa, e l'intera sezione si rivela un noioso tragitto avanti e indietro in cui collezionare proiettili o spray medici per strada. Addirittura, dopo che un mostro ha fatto la sua entrata improvvisa nella casa che stavo esplorando, mi è bastato uscire e rientrare perché non ci fosse più - facendomi di fatto risparmiare diversi proiettili. A proposito di questi ultimi, la rara necessità di combattere rende le risorse presenti più che generose, a maggior ragione sapendo (a posteriori ovviamente) che per il boss finale non servono: la creatura che dovremo affrontare, le cui origini non sono spiegate al punto che al suo posto avrebbe potuto esserci chiunque, è tutt'altro che soddisfacente in termini proprio di scontro in sé e non richiede appunto nessuna delle risorse accumulate fino a quel momento.

Breve senza essere memorabile

Gli enigmi presenti nel corso della disavventura sono piuttosto banali, nulla in grado di tenervi impegnati più di due o tre minuti e anche in questo caso sembra siano stati messi per il gusto di replicare le strutture dei vecchi survival horror più che per vera logica. A volte dovrete combinare assieme due oggetti per ottenere quello definitivamente utile, altre ricordarvi che non c'è input da parte del gioco sull'utilizzo di alcuni e dovrete farlo voi dall'inventario, ma a carattere generale tutto scorre anche troppo liscio. Nel mio caso, poi, è occorso un bug in mio favore per cui la parte finale di un enigma si è volatilizzata per farmi passare alla parte successiva: non che all'inizio l'avessi capito, anzi pensavo si trattasse di una conseguenza delle mie azioni e la stavo apprezzando, finché non mi sono resa conto del passaggio saltato a pie' pari.

Hollowbody è un'esperienza breve, tre massimo quattro ore, tuttavia non riesce a catturare quanto mi sarei aspettata soprattutto dopo un inizio interessante. Sembra di trovarsi davanti tantissimi pezzi di puzzle messi assieme a una qualche maniera, che funzionano perché devono ma non riescono a trasmettere alcun senso di coesione - questo anche a causa di una trama non pervenuta nemmeno negli aspetti basilari. Resident Evil, per citare un esempio, non vantava certo una storia d'eccezione ma funzionava dall'inizio alla fine e trovava persino spazio per qualche colpo di scena. Hollowbody invece si trascina quasi per inerzia, fallendo nel creare interesse dal punto di vista narrativo e non coinvolgendo abbastanza sotto l'aspetto ludico per quantomeno compensare la mancanza. Molto apprezzabile il doppiaggio ma come elemento per sé non è sufficiente a tenere in piedi una produzione che traballa in tutto il resto.