Indiana Jones and the Infernal Machine

di Redazione Gamesurf
Dopo anni di assenza ingiustificata l'archeologo più famoso del mondo torna finalmente a calcare gli schermi del Game Boy con la trasposizione dell'interessante "Indiana Jones e la Macchina Infernale", videogame sulla falsariga di Tomb Raider (praticamente un clone) pubblicato per Nintendo 64 e PC lo scorso anno. THQ si ripropone di mantenere intatto lo stile di gioco, adottando su Game Boy Color tutta una serie di accorgimenti che facciano sentire meno traumatico l'inevitabile passaggio dalle tre dimensioni delle versioni originarie a una più canonica (per la piccola console Nintendo) grafica bidimensionale: questa "missione" é stata affidata al team Hot Gen, già autore del discreto Obi Wan Adventures e padre del mai pubblicato porting di Resident Evil. Vediamo se e come HotGen é riuscita nell'impresa

PERICOLO DALL'ANTICHITA'
A quanto pare, gli dei del mondo antico erano dei grandi inventori. A parte "dettagli" come il pianeta Terra e l'essere umano, tali divinità sembra si divertissero a creare marchingegni di tutti i tipi, generalmente dotati di poteri innaturali e devastanti. Così, dopo aver avuto a che fare con l'Arca dell'Alleanza, Indy si trova nuovamente alle prese con uno di questi artefatti del mondo antico: una misteriosa macchina costruita nientemento che dal dio babilonese Marduk in persona, dai poteri sconosciuti ma ipoteticamente devastanti. Tale marchingegno andò perduto nel crollo della Torre di Babele, e solo successivamente fu rinvenuto dai seguaci del Dio, suddiviso in quattro componenti e nascosto in luoghi segreti sul pianeta allo scopo di proteggerlo dalla cupidigia degli uomini. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, però, una spedizione archeologica sovietica rinviene quello che con tutta probabilità é uno dei pezzi della macchina: la C.I.A. assolda così Indiana Jones affinché recuperi gli altri componenti della macchina prima che cadano in mano alla neonata potenza Sovietica
INDY CON UNA DIMENSIONE IN MENO
Generalmente la trasposizione su Game Boy Color di videogiochi originariamente sviluppati in tre dimensioni si é risolta con la produzione di platform bidimensionali (Turok, Tomb Raider) o giochi con visuale a volo d'uccello (Perfect Dark, Daikatana). Nel caso di Indiana Jones and the Infernal Machine, invece, i programmatori hanno optato per una scelta leggermente più azzardata, ma allo stesso tempo più fedele alla versione originaria del gioco. L'azione é mostrata da una prospettiva rialzata dell'area di gioco, in assonometria, e in questo ambiente che in qualche modo riproduce le tre dimensionsioni Indy può effettivamente eseguire la maggior parte delle azioni che poteva compiere nei suoi panni tridimensionali. Ovviamente tutti i livelli hanno subito un totale riarrangiamento, che ha comunque permesso di adattare le vecchie mappe alla nuova "filosofia" del gioco, garantendo ai giocatori una qualità dei livelli piuttosto buona. Indiana Jones può camminare, saltare, arrampicarsi e persino nuotare e in casi particolari può interagire con l'ambiente circostante, spostando grandi blocchi di pietra e agendo su pulsanti e meccanismi. Dunque il processo di "trasferimento" del gioco può considerarsi abbastanza riuscito, sebbene questo abbia anche creato alcuni difetti non trascurabili, come vedremo in seguito