Indika, recensione di un gioco diabolico
Seguiamo la giovane suora Indika nel suo viaggio alla ricerca di se stessa assieme a un insolito compagno: il diavolo
Indika è un gioco... singolare. Dal lavoro dello studio russo Odd Meter, pubblicato da 11 bit studios, non sapevo bene cosa aspettarmi pur avendo visto i trailer e, una volta concluso, sono comunque rimasta qualche minuto a chiedermi cosa avessi giocato. È una di quelle esperienza sopra le righe la cui pubblicazione ce la si aspetterebbe da parte di Devolver Digital – non estraneo a giochi tutt'altro che comuni. A livello superficiale si potrebbe descrivere come un'avventura in terza persona con protagonista una suora, Indika appunto, intenta a compiere una missione assegnatale dal monastero.
Sotto questa patina c'è un po' di tutto. Molte riflessioni soprattutto, in un continuo contrasto tra dogmi religiosi, autorità e mondo reale che paiono in continuo conflitto tra loro. Come in conflitto è la stessa Indika, perché lei non è una suora come le altre, no: lei ha il diavolo in testa. E lo intendo proprio letteralmente, essendo lui non solo la voce narrante della storia ma un'entità che si confronta spesso con la protagonista in merito a ciò che succede attorno a lei; lo fa con quell'ironia pungente e quel senso dell'umorismo nero che ci si potrebbe aspettare da una figura come la sua, sempre dedita al motteggio ma in grado di diventare ferocemente insistente quando si tratta di girare il proverbiale dito nella piaga. È un personaggio di cui ho apprezzato moltissimo la costruzione e il doppiaggio, a mio avviso estremamente azzeccato per il tipo di entità con cui si ha a che fare durante l'avventura.
In generale è difficile inquadrare l'esperienza offerta da Indika, che comunque si è rivelata una vera sorpresa e un gioco con un inizio e una fine, che più di questo non avrebbe potuto dire. Come poi lo dica, ovvero la quantità di sottotesto che porta con sé, è un altro discorso e una scelta specifica degli sviluppatori sulla quale poi si regge tutta l'esperienza. Per quanto in terza persona, questo rimane lo stesso il viaggio di Indika alla scoperta di se stessa e di quello che davvero si cela sotto l'abito nero.
Chiedi e sarai ingannato
Anche dal punto di vista ludico, Indika si dimostra particolare. Da sezioni oniriche durante le quali la suora deve sfidare il diavolo (o le sue stesse debolezze?) mantenendo una salda presa sulla realtà affidandosi all'esicasmo, per uscire da una prigione che prima ancora di essere fisica è mentale, fino a momenti in 16-bit che esplorano il suo passato facendoci capire di più non solo di lei ma anche del motivo per cui ha preso i voti – discorso sul quale, peraltro, c'è un interessante scambio con un altro personaggio che ci accompagnerà lungo tutto il corso del gioco. Ci sono poi altri momenti più in linea con un'avventura in terza persona ma non per questo meno bizzarri, che ci presentano una Russia di fine XIX secolo decisamente alternativa rispetto a quella che possiamo dire di conoscere; in alcuni casi sono condite da sezioni platform piuttosto fastidiose che tuttavia mi hanno lasciato in bilico nel capire se fosse un'esecuzione poco brillante o una scelta consapevole.
Di alcune ne avrei comunque fatto volentieri a meno, preferendo di più i puzzle con cui il gioco mi sfidato ogni tanto. In generale, per essere una suora, Indika è un personaggio che avrebbe qualcosa da insegnare a Lara Croft e al buon Nathan Drake, perché sebbene priva della loro libertà di movimento vanta lo stesso non poche acrobazie e momenti sul filo del rasoio per salvarsi la vita o anche solo passare da una zona all'altra, spesso all'interno di uno stesso livello. Non farò esempi specifici perché Indika è quel gioco da vivere nella completa ignoranza su cosa ci aspetta: molto del suo fascino risiede infatti qui, nel non avere idea dove possa portarci quello che sembrava un semplice incarico di consegna e si trasforma invece in un viaggio, per Indika, alla scoperta di sé e dei contrasti di cui è fatto il mondo attorno a lei. Un viaggio che, come ho già anticipato, non compie da sola. Tolta la costante presenza del diavolo, un altro personaggio non meno particolare ma perfettamente umano la accompagnerà in quest'avventura, guidato da proprie profonde convinzioni che finiranno per scontrarsi con la realtà.
C'è stato più di un momento in cui l'esperienza di gioco mi ha fatto pensare a Hellblade, per via delle voci nella testa, ma sebbene possa ricordarlo a carattere generale non siamo sullo stesso livello perché il gioco di Ninja Theory fondava tutto se stesso sul concetto di malattia mentale e come poi mostrarlo a livello ludico mentre la voce del diavolo, in Indika, è quasi una compagna gradita. Una mano che solleva il velo dell'ottusità religiosa per mostrare la cruda realtà, o che comunque mette in continuo dubbio le convinzioni secondo cui è cresciuta la protagonista da quando ha preso i voti.
I discorsi che hanno tra loro prendono spesso il sopravvento su quanto succede, portando il giocatore a fermarsi per tenerne traccia perché non sono nemmeno così semplici da seguire se lo fa in maniera distratta: il giusto e lo sbagliato, la morale, l'anima, sono tutti temi su cui il diavolo sembra avere più presa rispetto a Indika, che cerca di controbattere ma si ritrova a volta beffata proprio da quelle argomentazioni con le quali cercava di prendere il controllo della situazione. Quasi mi dispiace che il gioco sia, nel complesso, abbastanza breve perché è una scrittura che avrei voluto seguire ancora a lungo: coinvolgente, ben distribuita durante l'avventura e soprattutto fonte di molte riflessioni.
Tornando ancora un attimo all'aspetto ludico, Indika ha anche un bizzarro sistema di level up determinato da quelli che potrei definire punti fede: più azioni “religiose” compie, come pregare in determinate circostanze o trovare reperti di vario genere ma comunque legati alla religione, più ottiene questi punti – che però possono anche essere raccolti (sì, sono oggetti fisici) nei momenti di flashback in 16-bit. Raggiunta una certa soglia si sale di livello e si deve scegliere tra diramazioni che ricordano a loro volta un percorso di penitenza religiosa. La loro utilità? Come dice lo stesso gioco in alcune schermate di caricamento dove sono certa ci sia lo zampino del diavolo, inesistente. Non sembrano avere alcun impatto sul gioco, poiché sono tutte legate alla possibilità di ottenere in un modo o nell'altro più punti. Potrebbero rappresentare lo sforzo, apparentemente inutile, di Indika di seguire il percorso sul quale si trova ora senza mai lasciare il sentiero per indulgere in tentazione.
Nel complesso, Indika è un gioco da approcciare solo se siete pronti a scendere a patti con un sistema ludico a tratti claudicante, soprattutto in alcune sezioni trial-and-error, e una storia che si basa tantissimo sul non detto mentre, nel mezzo, vivono riflessioni più profonde sull'animo umano e su concetti a tratti anche filosofici. È un'esperienza quasi più da vivere che semplicemente giocare, senza dubbio sorprendente nella sua bizzarria. Come bizzarri sono i momenti in cui si sente chiaro il chiptune non nelle sequenze in 16-bit (anche) ma in quelle sviluppate in Unreal Engine, creando un contrasto pressoché impossibile da ignorare. E a proposito di UE, esteticamente e artisticamente il gioco è molto gradevole da vedere soprattutto nei volti, che mantengono anche una buona dose di espressività pur senza raggiungere vette che abbiamo visto, per ovvi motivi, in giochi più blasonati.