Infinity Strash: Dragon Quest The Adventure of Dai, né carne (di drago), né pesce – Recensione PS5

La recensione dello spin-off nato da una costola di Dragon Quest, un action-RPG che cerca di rivolgersi sia ai fan della serie animata che ai nuovi arrivati, senza convincere nessuno dei due 

di Jacopo Retrosi

In madre patria la serie è conosciuta come Dragon Quest: The Adventure of Dai, manga nato dal gruppo Bird Studio di Akira Toriyama. Da noi i più probabilmente ricorderanno invece il cartone animato, prima Dragon Quest e qualche anno dopo rinominato in “I Cavalieri del Drago” (censurato in malo modo, tra l’altro, com’era solito fare all’epoca). 

Dopo quasi 30 anni dalla messa in onda del primo episodio (in Giappone s’intende, in Italia ci è voluto il 1997 solo per arrivare il fumetto), è stato trasmesso il remake dell’anime, che copre l’intera serie cartacea, e considerato il successo Square Enix non si è fatta attendere con un tie-in dedicato.

Sviluppato in collaborazione con GameStudio e Graphics, Infinity Strash: Dragon Quest The Adventure of Dai è un action-RPG che copre i primi 41 episodi della serie animata del 2020, proponendosi di narrare (riassumere sarebbe più corretto NdR) gli eventi chiave e lasciare al giocatore il compito di combattere le battaglie più importanti di Dai e compagni contro le forze del male. Ma qualcosa è andato storto...

Infinity Strash: la storia - Me lo ricordavo più interessante

Sin dall’avvio della campagna viene spontaneo domandarsi: per chi è stato realizzato Infinity Strash? A chi si rivolge? Il titolo sfrutta infatti il primo combattimento con Baram per infilare nel tutorial il classico stereotipo del protagonista privo di memorie, in modo da riportarci agli albori del viaggio e ricominciare daccapo la storia (anche se poteva partire tranquillamente dal principio e nessuno avrebbe battuto ciglio NdR); quella che segue è una scelta di design assolutamente incomprensibile.

L’intento del gioco è racchiudere interi episodi, della durata di circa 20 minuti ciascuno, all’interno di brevi riassunti, saltando tutto il “superfluo”, e decide di farlo con degli slideshow doppiati e parzialmente animati, con una voce fuori campo per i riassunti più sostanziosi e dialoghi con il cast originale per i momenti clou; e non potrebbe essere più noioso. 

Trattandosi di uno shounen (il genere principe per ragazzi in età prepubescente), se rimuovi dall’equazione qualunque forma di world building, conversazione secondaria o gag, quello che resta sono personaggi che sottolineano l’ovvio e spiegoni di varia natura, che rendono ogni singolo filmato interminabile e difficile da digerire. Non c’è atmosfera, i tempi comici sono da buttare, una pessima censura rende ogni scontro una ciofeca, tra sangue che diventa bianco, fasci di luce e inquadrature falsate che impediscono di comprendere l’entità dei danni; persino le musiche riecheggiano timide in sottofondo, incapaci di dare un po' di tono.

Occasionalmente partono anche sequenze create con il motore di gioco e non sono affatto male, avvicinandosi parecchio all’anime come regia e qualità delle animazioni, ma sono sporadiche. Se l’intero gioco fosse stato realizzato in questo modo avremo tra le mani tutt’altra bestia, e invece Infinity Strash non riesce a soddisfare né i fan della serie, che di sicuro si aspettavano riassunti più dettagliati e informazioni aggiuntive rispetto a quanto proposto, né chi pensava di dargli una chance, poiché difficilmente riuscirà a capirci qualcosa o ad apprezzare la storia originale.

Infinity Strash: il gameplay: one's Strash is another's Streasure

Prima abbiamo descritto il titolo come un action-RPG, ma si gioca come un musou, o un anime arena fighter: i campi di battaglia sono ampi e spogli, salvo un paio di casse o elementi dello scenario distruttibili, e ci sono un sacco di nemici a schermo (pescati dall’universo di Dragon Quest), accompagnati regolarmente da dei “capitani” con una barra vita a tutto schermo e un indicatore dello stagger da rompere. Il feedback dei colpi è quasi inesistente e il parco mosse abbastanza elementare, con una solo combo base, tre abilità selezionabili, una specialità legata al personaggio (in genere un power-up o una ricarica rapida delle skill) e una mossa finale.

La peculiarità del sistema di combattimento è la possibilità di equipaggiare delle “memorie”, ognuna delle quali rappresenta un pannello in particolare del manga e fornisce bonus di varia natura, da statistiche extra a tempi di cooldown ridotti. Salendo di livello si sbloccano slot aggiuntivi dove collocarle, parametri bonus e nuove abilità, ma la difficoltà resta sempre al passo del giocatore e propone regolarmente sfide piuttosto ardue, soprattutto in occasione dei boss, che infliggono un bordello di danni, se ne fregano di quello che gli tiriamo addosso e hanno pattern con aperture assai ristrette. 

L’esperienza sarebbe anche stimolante, grazie alla presenza di guardia e schivata, che consentono di evitare danni con il giusto tempismo; tuttavia, entrambe le opzioni non cancellano l’animazione corrente al momento dell’uso, impedendo di alternare rapidamente attacco e difesa, e sono afflitte da un leggero ritardo dal momento in cui si preme il tasto dedicato all’effettiva esecuzione della mossa, con conseguenze disastrose nei momenti cruciali. Non aiuta poi il tracking dell’IA che rivaleggia quella di un boss di Elden Ring (o di Armored Core 6 prima della patch NdR), trasformando un potenziale action di qualità in un quadretto maldestro e frustrante.

I 4 personaggi selezionabili sono ben differenziati, però per l’appunto sono solo 4 (Maam e Hyunckel sono disponibili in 2 versioni, ma poco importa), nonostante la serie vanti numerosi eroi, comprimari e cattivi che ben si prestano alla formula di gioco (Crocodine in primis), per un roster in cui potevano figurare dozzine di beniamini e aggiungere non poca varietà al canovaccio. 

E se proprio avere missioni slegate dalla storia o campagne dedicate ad eventuali new entry scoccia, c’era sempre il Tempio delle Memorie. Si tratta di una modalità roguelike in cui si riparte sempre dal livello 1 e si cerca di raggiungere il “layer” più basso possibile (16 in totale, 5 piani per ciascuno); non ci sono vincoli di party, gli obiettivi e le ricompense sono randomiche, il palco perfetto per buttare a schermo qualunque figuro gli autori abbiano mai creato per il manga, ma niente.

Il tempio aggiunge una discreta rigiocabilità e aiuta a farsi strada nella storia grazie agli oggetti ottenuti, ma siamo incuriositi dal formato adottato: le memorie ottenute sono casuali e i doppioni vengono automaticamente convertiti in punti per potenziare l’originale; sulla stessa scia anche le skill si potenziano con i materiali accumulati, con la richiesta che aumenta ogni volta di quantità e rarità. Il grind incessante e quasi obbligatorio; le location vuote e povere di dettagli; l’interfaccia pulita, come se ogni indicatore fosse un pulsante da premere... Ma non è che Infinity Strash è nato come titolo mobile e solo dopo è stato convertito per il mercato console? Spiegherebbe molte soluzioni bislacche. 

Si salva se non altro la veste grafica: i modelli sono ricchi di dettagli, dai capi di abbigliamento dei personaggi umani alle superfici corazzate dei mostri, tra scaglie e armature, e caratterizzati da contorni molto marcati che lo rendono dal punto di vista stilistico un gioiellino. I già citati filmati in-game sono veramente splendidi (con qualche scivolone nei campi lunghi) e anche gli effetti durante le sessioni sono sgargianti e spettacolari al punto giusto.

Quanto alla longevità, la vostra tolleranza nei confronti della pessima direzione di dialoghi e riassunti influenzerà la durata complessiva del viaggio, ma in generale bastano una decina di ore per arrivare ai bruschi titoli di coda. Dopodiché ci si può avventurare nelle profondità del Tempio delle Memorie all'infinito oppure rigiocare la campagna in modalità Sfida per avversari ancora più coriacei. Per il platino toccherà grindare parecchio...