Inside

di Simone Rampazzi

Un viaggio interiore e ricco di metafore



Se c'é una cosa a cui ci hanno abituato i danesi di Playdead é l'assenza di banalità nelle proprie opere e basterebbe solo qualche ora in compagnia di Limbo, il loro titolo d'esordio, per capire come quello del “viaggio interiore” sia un elemento ricorrente nelle loro offerte ludiche. Inside riprende la stessa impostazione di base, regalandoci questa volta un mondo distopico, caratterizzato da una palette cromatica più ricca rispetto al passato (Limbo era in bianco e nero), ma tendente sempre a tonalità spente o appena accennate e, soprattutto, un protagonista senza volto che potrebbe essere la chiave di lettura di un gioco che, ancora una volta, metaforicamente, parla della nostra esistenza.

Proprio per questo, Inside é privo di qualsiasi incipit narrativo. Il protagonista si ritrova all'interno di un bosco e deve tentare una fuga disperata verso la città che vede sullo sfondo dello scenario. Nessuna spiegazione viene data al giocatore, non sapremo mai cosa ci aspetta all'interno della città, né da cosa stiamo scappando. Ma siamo obbligati a correre e il trasporto emotivo nei confronti del piccolo protagonista é immediato. E così, corriamo con lui.



Andando avanti le scene cambiano, cominciamo ad incontrare quelli che sembrano adulti sconosciuti con il volto coperto da una maschera e qualcosa, intorno al protagonista, cerca di braccarlo senza sosta. Le interpretazioni sono molteplici (potremo discuterne più avanti), ma la concretizzazione del gameplay e degli scenari realizzati ad arte sono l'esempio lampante di una direzione artistica riuscita al 100%, che riesce a riprendere saggiamente gli elementi sfruttati con Limbo per completare un prodotto originale ed avvincente, pronto a tenervi attaccati allo schermo con la voglia di capire “come andrà a finire”.

Il bambino che avanza disorientato ed impaurito in questo mondo pericoloso ci dimostra, con tinte di chiaro scuro, una perfetta metafora della vita che ci circonda. Il bosco iniziale, utilizzato in maniera quasi dantesca per indicare il topico smarrimento nella selva oscura, serve solamente da catalizzatore per farci raggiungere la città dai fitti palazzi grigi che quasi coprono il sole, pieno di persone che vengono rappresentate sotto forma di automi insensibili, capaci solamente di seguire una routine forzata molto simile alla catena di montaggio delle fabbriche.

E dopo un'ardua salita comincia la discesa, simile ad un baratro e ricca di riferimenti inconsci, nella quale il protagonista scende senza sosta sempre più in basso in un grande mare. L'acqua é scura e pericolosa, popolata da creature antropomorfe che cercano di soffocarci, braccandoci come se fossero i nostri peggiori incubi o le nostre più sopite paure. Un po' come la metafora “restare senza fiato dalla paura”. Ma non ci teniamo ad andare oltre, proprio per evitare di rovinare la vostra permanenza all'interno di un gioco che dura all'incirca due ore.



Gameplay a forma di sentimenti



Ciò che appare chiaro fin dal primo momento é che la struttura del gameplay appare completamente asservita alle dinamiche del gioco. Tutto é semplice, i comandi sono praticamente ridotti all'osso poiché oltre al movimento avrete la possibilità di utilizzare solo altri due tasti, uno per saltare e l'altro per interagire con gli oggetti.
La struttura del platform riprende moltissimo Limbo, proponendo una serie di puzzle via via più sfidanti (senza esagerare) che passa dalla semplice interazione con casse ed oggetti simili, ad una più intricata macchinazione utile ad aprire alcune porte, la quale sfrutta tramite un casco la possibilità di comandare gli adulti dormienti presenti nel gioco.

Graficamente il comparto tecnico sfrutta saggiamente effetti di luce ed ombra, soppesandoli con intelligenza al fine di regalare una perfetta atmosfera ideale per il gioco, coadiuvata da una colonna sonora basica (la tracklist é essenziale, ma giusta) dove spesso compare assordante un rumore simile al battito del nostro cuore. Come starete certamente notando, anche qui appare chiara l'intenzione degli sviluppatori di asservire completamente l'anima del gioco ad un messaggio metaforico, facendo apparire una sequela di messaggi importanti e contemporanei, interpretabili a seconda della nostra sensibilità.
Questo aspetto, che ci sentiamo di sottolineare, é probabilmente il motivo per cui il gioco appare come il titolo più interessante dello scaffale videoludico di luglio, vista la sua struttura completamente estemporanea ed alternativa. E questo, senza mezze misure, é un plauso nei confronti di una software house che decide di osare al posto di uniformarsi a ciò che la circonda.



Ogni viaggio ha la sua meta da raggiungere



Come in ogni racconto, fiaba, viaggio o dir si voglia ciò che si cerca di comprendere risiede nelle motivazioni per cui si é intrapreso. Inside, un titolo che é già tutto un programma, é un viaggio da compiere più di una volta, perché una scena potrebbe regalarvi, ad un secondo passaggio, un elemento in più. Nel gioco sono presenti delle aree segrete, c'é la possibilità di morire con una crudezza inaudita, ma in fondo tutti questi elementi compongono un quadro più grande nel quale bisogna trovare la propria chiave di interpretazione.
Il bello di Inside é proprio questo. Ti offre una finestra sul mondo senza etichette o titoli, lasciandoti la libertà di lasciar esprimere il tuo io senza barriere architettoniche d'ogni sorta, siano esse una trama avvincente o il semplice aspetto regalato al proprio alter ego.